Mente e corpo, da quando separati?
Storia confusa di una convivenza difficile
Quando si parla di separazione di mente e corpo si tende a riferirsi al concetto di dualismo che, applicabile a qualsiasi campo dello scibile umano, viene usato quando si mettono a confronto due aspetti differenti fra loro e normalmente inconciliabili.
Un antico detto greco diceva che ‘kalos kaghatos’, ovvero ‘ciò che è bello è anche buono’ ma nel tempo il pensiero si è sviluppato creando una dualità, spesso frutto di pregiudizi ulteriormente alimentati dalla cosiddetta società dell’immagine, che porta a vedere con aria stranita gli intellettuali che si prendono cura del proprio corpo, gli sportivi che si laureano o le belle donne in carriera. Pregiudizi.
Come se le pupe dovessero essere per forza sceme e i secchioni per forza sfigati fuori forma.
UN PO’ DI STORIA DEL RAPPORTO CORPO-MENTE
1700. Inghilterra. L’orientalista britannico Thomas Hyde da alle stampe l’opera principale della sua esistenza dal titolo ‘Historia religionis veterum Persarum’ nella quale si mette a confronto la religione persiana di Zarathustra a quella di Mani del regno dei Parti come esempio di opposizione tra due estremi (la Luce/il Bene e le Tenebre/ il Male); la prima volta, in pratica, che si usa il termine dualismo.
La storia delle contrapposizioni è però antica quasi quanto il mondo e allora bisogna risalire al VI secolo a.C. per trovare lo scontro tra corpo e mente nel mito che racconta la nascita dell’umanità dai resti dei Titani e di Dionisio, sbranato da questi ultimi, rappresentante dell’anima che deve purificare il corpo (raffigurato proprio dai Titani). Un concetto che sarà ripreso da Platone, approfondito con la messa a confronto tra corpo mortale e anima immortale, e ulteriormente allargato da Aristotele con il termine di ‘sostanza’.
Nella filosofia moderna, prima che il termine ‘dualismo’ fosse codificato da Thomas Hyde, il nome di partenza è quello di René Descartes (in italiano più semplicemente noto come Cartesio) quando si parla di separazione tra corpo e mente. Fu infatti il filosofo e matematico francese Cartesio il primo a teorizzare in maniera netta la distinzione corpo e mente, nel 1600, distinguendoli rispettivamente in ‘res extensa’ e ‘res cogitans’ e spiegando che dovevano essere studiati come entità separate che parlano due lingue differenti con la sola ghiandola pineale a fare da interprete.
MENTE E CORPO AI GIORNI NOSTRI
Arrivando ai giorni nostri la questione è ben lontana dall’essere risolta nei termini della discussione critica, per certi versi anche più complessa che in passato, e oggi resta vivo l’interrogativo sulle proprietà nascoste della mente, rafforzando così la teoria cartesiana della dualità. Quello che però si è aggiunto a questo dibattito e che appartiene all’età contemporanea è l’aspetto edonistico che ha portato, con l’avvento della televisione, ad associare l’immagine di una donna, come di un uomo, particolarmente bella e dal fisico allenato e curato, o con uno specifico colore di capelli (il biondo), ad una persona frivola e naturalmente poco intelligente.
Come se insomma certi tipi di corpo particolarmente piacenti non comunicassero con la mente tanto bene quanto invece avverrebbe nel caso di persone dal fisico meno attraente. Uno stereotipo duro a morire che marca la distanza fra chi si prende prioritariamente cura del corpo e chi, invece, della mente.
Come se una cosa escludesse l’altra.
L’ATTIVITÀ SPORTIVA E GLI INTELLETTUALI
Prendiamo il calcio, lo sport più conosciuto e praticato al mondo e certamente il più amato in Italia. Nel 1995 l’uruguaiano Eduardo Galeano nel libro ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’ sottolinea come il mondo degli intellettuali disprezzi il pallone, relegandolo ad essere una sorta di oppio per il popolo.
Un’idea, quest’ultima, che alla fine degli anni ‘60 era molto diffusa nel nostro Paese tra gli intellettuali, al punto che restano storici gli interventi dello scrittore, poeta e regista Pier Paolo Pasolini che volle sottolineare che se pure il calcio fosse una distrazione da problemi ben più importanti, era comunque un’occasione di liberazione per il pubblico che poteva così evadere dai pensieri della società per quasi due ore.
Lo stesso Pasolini che sul calcio giocato aveva un’idea ancora ben più netta e precisa, considerandolo come scrive Valerio Curcio nel volume ‘Il calcio secondo Pasolini’, ‘un’occasione imperdibile di libertà e spensieratezza, di socialità e attività fisica’, tanto da praticarlo con grande dedizione nei momenti liberi, arrivando a rappresentare un modello contemporaneo di intellettuale che unisce corpo e mente.
MURAKAMI E MAURO COVACICH, INTELLETTUALI SPORTIVI
Oggi la figura del letterato che si prende cura di sé fa meno scalpore e se avete letto ‘L’arte di correre’ (2007) di Haruki Murakami, un autore molto amato nel nostro Paese, saprete che lo scrittore giapponese oltre a portare in fondo romanzi con una certa frequenza, va a correre regolarmente tutti i giorni, o restando in Italia conoscerete forse Mauro Covacich che alterna la sua carriera di scrittore a quella di runner amatoriale, prendendo parte anche a impegnative maratone come quella di New York.
MENTE E CORPO SEPARATI. UN MITO DA SFATARE
La lista è abbastanza lunga da sfatare il concetto che mente e corpo debbano essere per forza due sconosciuti sotto lo stesso tetto, o che intellettuali e sport siano così inconciliabili, e attraverso una ricerca canadese condotta nel 2015, tra ragazzi nati tra il 1997 e il 1998, e pubblicata sugli Annals Journal Health Promotion, la stessa scienza ha dimostrato che chi fa sport va meglio a scuola sviluppando un maggior rispetto dei ruoli, oltre a un accresciuto senso di responsabilità e di cooperazione.
Una constatazione che trova conferma anche in altri numerosi studi, come quelli condotti dall’Università dell’Illinois su bambini di 9-10 anni; fra di loro, chi si dedica all’attività sportiva regolarmente ha risultati migliori nei processi di memorizzazione rispetto a chi invece preferisce il divano.
Sempre più insomma si conferma come non soltanto attività fisica e attività culturale e intellettuale non debbano per forza stare separati ma, viceversa, si dimostra come la prima sia uno strumento per migliorare i risultati della seconda. Un’evidenza che però soffre ancora dei pregiudizi che solo alcune culture come quella anglosassone “combattono”, costringendo gli studenti che vogliono accedere ad istituti prestigiosi per quanto riguarda gli sbocchi nell’ambito sportivo (pensate a come lo sport sia integrato nelle università americane) ad eccellere anche sul piano dei risultati scolastici tra i banchi.
Ora scusate vi saluto che devo andare a correre.