Cos’è la canguro terapia e quali sono i suoi benefici?
Nata alla fine degli anni ‘70 in Colombia aiuta i bambini nati prematuri
Quando parliamo di canguro terapia ci si riferisce a un metodo per il trattamento e l’assistenza ambulatoriale dei bambini nati prematuri.
Calore, allattamento e posizione del canguro, con il contatto pelle a pelle, sono alla base di questo metodo, il cui obiettivo è quello di permettere ai bambini di sopravvivere grazie soprattutto al rapporto, stretto e affettuoso, che si instaura tra la madre e il figlio.
Fattori scatenanti come la voce della madre, la presenza della famiglia circostante, sono fondamentali dal punto di vista dello sviluppo neurologico-cognitivo del bambino e questo modello che consente non solo tassi di sopravvivenza più elevati ma anche una miglior qualità di vita.
La canguro terapia che, per un importante rapporto costi-benefici, può essere applicata nei Paesi meno sviluppati (anche da un punto di vista tecnologico), garantisce il rafforzamento del legame tra madre e bambino, fornendo il supporto e l’equilibrio necessario, grazie alla giusta combinazione di assistenza ospedaliera, ambulatoriale e domiciliare.
Se come riportato dall’UNICEF il costo stimato delle cure in un’unità di terapia intensiva per neonati prematuri negli Stati Uniti è di circa 3.000-5.000 dollari al giorno e di 200 dollari nei Paesi in via di sviluppo, attraverso il programma di canguro terapia il costo si riduce a 4,60 dollari per l’incontro in ospedale.
Quando è nata la canguro terapia
Le origini di questo metodo risalgono al settembre del 1979, quando presso l’Istituto materno-infantile (IMI) di Bogotà, in Colombia, i medici Héctor Martinez Gomez e Edgar Rey Sanabria iniziarono a cambiare la tradizionale cura dei bambini nati prematuri, dunque con un basso peso alla nascita.
Il nome di questo metodo deriva dalla somiglianza con cui un canguro porta il suo bambino dopo la nascita e, già a partire dal 1979, l’UNICEF ha sostenuto lo sviluppo della canguro terapia, che si è diffusa rapidamente in gran parte dei Paesi dell’America Latina, in Europa, in alcuni Stati degli Stati Uniti, in Asia e in Africa.
All’epoca della nascita della canguro terapiaa si stimava che, nel periodo tra il 1977 e il 1984, la mortalità neonatale media fosse di 52 bambini ogni 1000 e, secondo le statistiche dell’ospedale di Bogotà, prima dell’inizio della canguro terapia nessun bambino sopravviveva con un peso alla nascita inferiore a un 1 kg, sopravviveva il 35% dei neonati con un peso tra 1 kg e 1,5 kg e l’81% nel gruppo di bambini tra 1,5 kg e 2 kg.
Data la gravità della situazione, il personale dell’IMI decise quindi di trovare una rapida soluzione e il primo passo fu quello di sostituire l’allattamento artificiale con quello materno, incoraggiando quindi le madri ad entrare nei reparti di cura dei neonati per nutrirli direttamente.
Grazie alla presenza degli anticorpi nel latte materno e al rafforzamento del rapporto tra madre e figlio si notò una riduzione delle infezioni, anche se il cambiamento più importante fu quello di fornire assistenza ai neonati prematuri non in base al peso ma alle condizioni cliniche, con l’obiettivo di dimetterli dall’ospedale il prima possibile.
Nel 1991, nel corso della 44° edizione dell’Assemblea Plenaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Héctor Martinez e Edgar Ray hanno ricevuto, per questa innovazione, il Sasakawa Health Prize.
Come funziona (in pratica) questo metodo
Nella pratica il bambino che è nato prematuro e sottopeso lascia l’ospedale per ricongiungersi con la madre il prima possibile dopo la nascita, solamente dopo aver avuto conferma che le sue condizioni sono stabili e comunque non prima che la madre abbia partecipato a un processo di adattamento ed educazione rispetto alla metodologia del programma.
A questo punto, una volta a casa, la madre si prende cura del bambino in maniera continuativa, nello stesso modo in cui la madre di canguro fa con il suo cucciolo, tenendolo sotto i suoi vestiti e a contatto con la pelle.
L’alimentazione viene fatta esclusivamente con latte materno e il bambino viene monitorato attraverso visite ospedaliere.
Per la precisione, il bambino viene posizionato contro il seno della madre, a contatto diretto con la pelle, e in posizione a rana per evitare eventuali rigurgiti e aspirazione bronchiale. Come detto, poi, la cura deve essere continuativa e per questo motivo il bambino deve rimanere 24 ore al giorno sotto i vestiti della madre che dovrebbe dormire in posizione semiseduta.
Grazie alla vicinanza alla madre, con il continuo contatto pelle a pelle ma anche con il suo battito cardiaco, la sua voce e le sue carezze, il bambino mantiene un’adeguata temperatura corporea, stimolando così uno stretto legame emotivo.
A chi è rivolto questo metodo?
Il programma è, generalmente, rivolto ai bambini che hanno un peso inferiore ai 2 kg all’uscita dell’ospedale e le madri possono entrare nei reparti di cura dei neonati anche più volte al giorno, così da esercitarsi nella posizione del canguro in attesa che il bambino venga dimesso dall’ospedale.
L’accettazione dei bambini nel programma viene gestita seguendo un diagramma di flusso che parte dalle condizioni cliniche del neonato, decisive per stabilire successivamente una rapida dimissione dall’ospedale.
Di prassi il personale incoraggia e consente alle madri di recarsi in clinica tutte le volte in cui è necessario nelle prime settimane di vita e non è raro che il padre sia la figura indicata per mantenere il bambino nella posizione del canguro mentre la madre partecipa a colloqui educativi.
Quali sono i benefici?
Grazie alla canguro terapia è stato notato che l’aumento di peso durante il primo anno di vita è di 4,5 volte superiore rispetto a quella alla nascita, mentre la crescita durante lo stesso periodo è, in media, di 28 cm e la circonferenza cefalica aumenta di circa 14,5 centimetri.
La posizione permette di proteggere i bambini dall’aspirazione bronchiale (una delle cause più comuni di malattia e morte nei bambini con un peso ridotto) e tra i benefici sociologici dello stretto contatto c’è quello relativo alla diminuzione del problema dell’abbandono.
In Italia la situazione è un po’ a macchia di leopardo e come emerge da un’indagine del 2017, condotta dalla Società italiana di neonatologia (SIN) ‘la canguro terapia veniva proposta in quasi tutti i centri di terapia intensiva neonatale (TIN) intervistati, ma il suo utilizzo era ridotto e penalizzato dalle restrizioni all’ingresso in reparto (consentito H24 solo nel 61% dei casi) con forti disparità regionali. Inoltre, esistevano ancora grosse limitazioni nell’utilizzo legate all’età gestazionale e alla caratteristiche strutturali dei reparti e forti differenze nella durata e frequenza delle sedute’.
Una situazione che non è certamente migliorata durante il periodo di emergenza sanitaria per il Covid-19 anche se, come sottolineato da SIN, è ‘soprattutto in questo momento che la canguro terapia continua a essere un aspetto unico dell’assistenza, in grado di migliorare gli esiti e ridurre la durata del ricovero’.
Le ricadute positive sono d’altronde notevoli e un incremento della consapevolezza rispetto a questo metodo non potrà che portare ad un aumento dell’applicazione di questo metodo anche nel nostro Paese.