Farmaci per il colesterolo senza statine: quando sono indicati?
Ci sono validi sostituti per questa classe di farmaci, che ormai da tempo dominano il panorama della lotta al colesterolo?
Le statine rappresentano quello che si chiama “gold standard” per il trattamento del colesterolo alto, ovvero sono i farmaci più efficaci per questo tipo di patologia. Ma purtroppo ci sono anche dei “ma” dietro alla terapia, che molto spesso fanno optare per soluzioni alternative. Vediamo insieme il perché e le possibili alternative.
L’importanza della prevenzione
Le malattie cardiovascolari imperversano costantemente anche in Italia, rappresentando la prima causa di morte, col 34,8% di tutti i decessi. Sono patologie in gran parte prevenibili, in quanto coesistono fattori di rischio non modificabili (età, sesso e familiarità), ma anche fattori modificabili, legati a comportamenti e stili di vita, spesso a loro volta causa di diabete, obesità, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa.
La prevenzione è la strategia principale per mantenere la colesterolemia entro i livelli consigliati. Tra gli stili di vita consigliati ci sono quindi:
- mantenere un’alimentazione sana, riducendo i grassi (soprattutto quelli saturi) e il consumo di alco;
- controllare il peso corporeo;
- fare attività fisica in modo regolare;
- evitare il fumo.
Le statine
Le statine, come abbiamo detto, rappresentano i farmaci più potenti per quanto riguarda il trattamento del colesterolo alto. Sono inibitori dell’enzima HMG-CoA, che partecipa ai primi step della sintesi biologica del colesterolo a livello epatico. Interrompendo questo processo, si stimola l’assorbimento dal circolo sanguigno delle lipoproteine LDL (low density lipoprotein), chiamate anche “colesterolo cattivo”.
Alcuni principi attivi di questa classe sono:
- atorvastatina;
- simvastatina;
- pravastatina;
- rosuvastatina.
Sono ben assorbite dall’intestino, e capaci di abbassare i livelli di LDL dal 20 al 50%.
Purtroppo, però, si portano dietro alcuni effetti collaterali che raramente hanno conseguenze gravi, ma possono essere:
- disturbi gastro-intestinali;
- spossatezza;
- dolori muscolari (mialgia);
- alterazioni dei valori delle transaminasi (enzimi della funzionalità epatica).
Inoltre, sono metabolizzate dalla famiglia di enzimi CYP450 (allo stesso modo di altri principi attivi come sildenafil, alprazolam, etc..), quindi suscettibili di interazione farmacologica con altre sostanze (inibitori) come il succo di pompelmo, alcuni antibiotici, antivirali o farmaci per il cuore, che quindi ne alzano i livelli nell’organismo.
Questi disturbi, soprattutto la mialgia (di cui c’è alta incidenza), portano molto spesso alla sospensione o alla rivalutazione della terapia, modificabile dal proprio medico. Infatti la terapia rimane altamente personalizzata, in quanto si presenta variabilità tra individuo e individuo. Se i dolori muscolari si ripresentano, dopo aver provato con due diversi tipi di statine somministrati fino alla massima dose tollerata, allora il paziente è dichiarato intollerante alle statine. Più di 4 pazienti su 10 smettono di prendere le statine: per i dolori muscolari, perché pensano di aver raggiunto l’obiettivo del calo del colesterolo, oppure ne riducono autonomamente le dosi. Questa scelta però può aumentare di gran lunga il rischio cardiovascolare, a cui si lega l’aumento del colesterolo circolante.
Le alternative farmacologiche
Ezetimibe
Ezetimibe abbassa il quantitativo di colesterolo assorbito a livello intestinale: riesce a farlo tramite il blocco di un trasportatore chiamato Niemann-Pick C1-Like, localizzato sulle cellule dell’intestino tenue. L’inibizione del trasportatore abbassa la quantità di colesterolo portata al fegato, e ne incrementa il raccoglimento dal circolo sanguigno. Anche se la sua efficacia prescinde dalle statine (abbassamento delle LDl del 18-20%), se usato in associazione ad esse si riesce a raggiungere un abbassamento additivo del 10% delle LDL. Grazie al suo meccanismo di azione particolare, non presenta interazioni con altri farmaci e ha un buon profilo di tollerabilità (tra gli effetti collaterali possiamo trovare diarrea, dolori addominali o cefalea). D’altro canto, la modesta efficacia sull’abbassamento dei livelli di LDL non lo rende la scelta elitaria per il colesterolo alto.
Resine sequestranti gli acidi biliari
Ne fanno parte colestiramina, colesevelam e colestipolo. Questi polimeri (carichi negativamente) si legano agli acidi biliari e vengono escreti come complesso. L’escrezione induce la sintesi di altri acidi biliari e, dal momento che sono prodotti a partire dal colesterolo, ne abbassa il livello e aumenta l’assorbimento epatico. Essendo poco assorbite nel circolo sanguigno, queste resine sono ben tollerate e sicure, ma di limitata efficacia. Tuttavia, non sono esenti da fattori limitanti come: stitichezza, gonfiore, nausea e flatulenza. In più, non sono proprio il massimo da assumere (a causa della texture granulosa delle polveri) e possono ridurre l’assorbimento di alcuni farmaci, carichi negativamente in soluzione (come warfarin, digossina, beta-bloccanti e diuretici tiazidici).
Fibrati
I fibrati, come clofibrato, fenofibrato e gemfibrozil, sono di grande aiuto nell’abbassare i trigliceridi nel sangue (stimolazione dell’attività delle lipasi), dove sono la prima scelta, ma aumentano anche i livelli di HDL, o colesterolo “buono”. D’altro canto, hanno effetti trascurabili sui livelli di LDL. Sono da evitare in caso di insufficienza renale, biliare o epatica.
Niacina (acido nicotinico)
È una vitamina del gruppo B, capace di modificare le concentrazioni dei lipidi nel sangue. Riduce la mobilitazione degli acidi grassi dall’adipe (deposito tissutale di grasso), generando di conseguenza minor quantità di LDL.
Omega-3
Eccoli qua, il motivo per cui viene consigliato il pesce in una dieta equilibrata. Detti anche PUFA (acidi grassi polinsaturi), sono disponibili come integratori o farmaci veri e propri. Anche in questo caso si mantiene un maggiore effetto sui trigliceridi, abbassandone i livelli. Di rimando, anche minor produzione di LDL nel fegato.
PCSK9-inibitori
Sono farmaci innovativi, nello specifico anticorpi monoclonali (confermando gli svariati casi in cui possono essere usati). La FDA (Food and Drug Administration) ne ha approvati due: alirocumab e evolocumab. PCSK9 è una proteina che si lega ai recettori per le LDL nel fegato, causandone il riassorbimento (down-regulation). Questo risulta in un aumento delle LDL circolanti, poiché non possono essere assorbite a livello epatico. Lo scopo di questi anticorpi è proprio di bloccare il legame tra la proteina e i recettori per le LDL, permettendo di conseguenza l’abbassamento dei livelli di LDL circolanti. Generalmente, il profilo di sicurezza di questi inibitori è favorevole, e anche le iniezioni sembrano essere ben tollerate. Il problema fondamentale, che ne limita l’utilizzo e la diffusione (e la sostenibilità per i servizi sanitari nazionali), è il costo elevato.