Professori VS didattica a distanza: chi avrà la meglio?
Tutta la verità sulla didattica a distanza, raccontata da un professore
Il Coronavirus ha ridisegnato la nostra quotidianità, ribaltando con nonchalance anche le cose che davamo per scontate. Tra queste c’è sicuramente la scuola; il suono della campanella, l’intervallo e le temute interrogazioni sono state messe da parte, in favore di uno strano surrogato chiamato didattica a distanza. Alunni e insegnanti sono stati costretti a fare di necessità virtù, stringendosi attorno a strumenti tecnologici mai utilizzati prima e sperimentando anche qualche inciampo. Ma come se la passa un professore ai tempi oscuri della DAD (questo il nome in codice della didattica a distanza)? L’abbiamo chiesto a Roberto Gerace, che insegna italiano, storia e geografia in una scuola media di Cologno Monzese, alle porte di Milano.
Prima di addentrarci nei meandri dell’insegnamento a distanza, ti tocca la domanda di rito: perché hai scelto di fare il professore?
Perché ero curioso di conoscere da vicino i ragazzi, verso cui nutriamo spesso troppi pregiudizi, e perché volevo vedere se quello che avevo studiato nelle aule dell’università potesse interessare anche agli adulti del futuro. E poi mi lascia abbastanza tempo per leggere: insomma, mi sembrava un modo bello e onesto per campare.
Però prima del Coronavirus non avevi mai insegnato a distanza, giusto?
Esatto, è la mia prima volta. All’inizio facevo fatica a gestire bene il mio tempo: lavoravo troppe ore rispetto alle solite abitudini, un po’ perché imparare a usare nuovi strumenti tecnologici mi divertiva, un po’ perché i messaggi di colleghi, studenti e genitori mi arrivavano a tutti gli orari, e mi sentivo in dovere di rispondere all’istante. Poi alcuni ragazzi hanno cominciato a lamentarsi perché dovevano studiare il triplo rispetto a quando eravamo in classe, e ho imparato a darmi dei paletti.
Non deve essere stato facile cimentarsi all’improvviso con i nuovi strumenti.
Devo ringraziare la mia scuola, e in particolare la dirigente e i suoi collaboratori, perché sono stati particolarmente rapidi nell’organizzare questa nuova fase. Già all’inizio dell’anno a tutti i docenti e a quasi tutti gli alunni era stato fornito un account Gmail istituzionale, con accesso libero alle funzionalità della GSuite. Ogni professore ha quindi potuto creare una Classroom specifica per la sua materia in ogni classe. Per le videoconferenze abbiamo scelto un orario settimanale che prevede all’incirca la metà delle ore di lezione che si farebbero in presenza, guidati dall’idea che tenere dei ragazzini per sei ore di fila davanti a un computer, magari per sentire discorsi smozzicati per il va e vieni di una connessione ballerina, sarebbe stato chieder loro troppo. Senza contare che anche molti dei compiti vanno svolti al computer e che questo avrebbe significato virtualmente tenerli davanti a uno schermo tutto il giorno.
Svelaci le tue strategie, i tuoi “trucchetti”.
Preparo spesso dei quiz su Google Moduli oppure chiedo ai ragazzi di svolgere degli esercizi sul libro o sul quaderno oppure di registrarsi mentre spiegano a modo loro un argomento o leggono in modo espressivo una pagina dal loro libro preferito, per poi caricare tutto il materiale in un Drive. In generale credo che sia importante privilegiare un’elaborazione personale dei contenuti proposti, altrimenti i ragazzi si limitano a copiare.
Ma davvero riuscite a fare a meno delle lezioni frontali?
Nì. Quello che non riusciamo a fare durante le lezioni in sincrono cerchiamo di compensarlo con brevi videolezioni registrate (a questo scopo uso Screencast-o-matic) o con la condivisione di materiali già presenti in rete. Naturalmente sappiamo che per quest’anno, purtroppo, sarà molto difficile completare i programmi ministeriali.
Adesso ti tocca la domanda bollente: a distanza è più difficile gestire gli alunni o i genitori?
Ti dirò, i genitori con cui ho avuto a che fare si sono dimostrati assennati e responsabili. Per il lavoro che stiamo svolgendo come corpo docente abbiamo ricevuto molti più ringraziamenti che lamentele, almeno per ora, e questa è una bellissima soddisfazione. Senz’altro con gli alunni è più difficile, non sempre per colpa loro: non tutti hanno a disposizione un clima domestico tranquillo, una stanza silenziosa, una connessione affidabile e un pc o un cellulare che funzionino. Abbiamo potuto toccare con mano delle disparità che tutti sappiamo esistere fra i nostri alunni, anche se a molti fa comodo dimenticarle. Ora noi entriamo letteralmente in casa di tutti loro e fa una certa impressione vederle da così vicino. E la distanza aumenta il senso di impotenza.
A proposito di connessioni affidabili, ti è capitato che un alunno si sottraesse a un’interrogazione con la scusa di un bug tecnico?
Sì, questo può succedere, anche se a me avviene piuttosto di rado. In questi casi tendo a segnalare sul registro che l’alunno “dichiara di avere problemi tecnici”, che mi pare la formula più neutra (e che lascia intendere la possibilità di un dolo). Ma naturalmente questa è una delle tante cose su cui noi docenti non possiamo avere controllo in questo momento. Bisogna affidarsi alla responsabilità dei ragazzi – molti stanno crescendo assai velocemente.
A scuola non mancano i professori maturi. Domanda bollente numero due: ti senti un po’ orgoglioso per il fatto di saper maneggiare la tecnologia meglio di loro?
Sicuramente la mia dimestichezza col pc mi facilita, ma non mi sento all’altezza di guardare dall’alto in basso i colleghi che hanno molta più esperienza di me. Cerco di non dire di no quando mi chiedono una mano e a volte ho preparato per loro anche dei piccoli tutorial. Se dovessi dare un consiglio generale, con un po’ di malizia direi che, se si guardano attorno con attenzione, troveranno sempre uno o due colleghi appassionati di computer, che sono disposti a tutto pur di far vedere quante cose sanno fare: ecco, parlate bene di loro nel gruppo docenti della scuola e, quando vi ringrazieranno, li aggancerete in privato per porre loro una richiesta di aiuto più specifica!
Bella parata. Raccontaci la tua giornata tipo.
Ci ho messo un po’ a ricavarmi una routine sensata. Al momento cerco di alzarmi al massimo alle otto per poter dedicare due ore a mente fresca alla scrittura di un romanzo a cui lavoro quasi da due anni. Dalle 11 alle 12 faccio lezione in videoconferenza e a volte posso trattenermi un po’ più a lungo per discutere coi ragazzi delle loro esigenze. Poi cucino, pranzo con la mia compagna guardando una puntata dei Soprano, e mentre lei lava i piatti comincio a organizzarmi per un’altra oretta di videoconferenza postprandiale, di solito dalle 14 alle 15 o dalle 15 alle 16. Correggo un po’ di quiz, compilo il registro elettronico, registro una o due videolezioni, lascio altri compiti, rispondo ai messaggi dei gruppi Whatsapp degli insegnanti o alle mail spedite dagli alunni: a seconda dei giorni posso finire alle quattro, alle cinque o alle sei, ma, se ho delle riunioni coi colleghi, mi capita di tirare anche fino a cena. La sera la lascio per lo studio in vista di un articolo accademico che devo consegnare entro la fine di maggio, per delle letture libere o per un’altra puntata dei Soprano. Se ci riesco faccio 20 minuti di cyclette. Pensandoci, direi che ho più tempo e sono un po’ più riposato, perché non impiego le solite due ore di mezzo per arrivare a scuola. Ma il tempo effettivo che dedico all’insegnamento forse è un po’ aumentato.
Prima di salutarci, un appello per ragazzi e professori alle prese con la DAD.
Approfittate della distanza per vedere il mondo in cui vivete più lucidamente, perché toccherà a loro rifarlo da capo. Noi siamo abituati a credere che tutte le cose si capiscano meglio solo se guardate da vicino, ma quasi sempre è vero il contrario. A volte è necessario salire su un albero e starsene fermi là in alto per un po’, come il barone rampante di Calvino.