The Crown 4 e la bulimia di Lady D: la testimonianza di donne che l’hanno vissuta sulla propria pelle
L'uscita di The Crown 4 ha riportato all'attenzione il disturbo alimentare del quale soffriva Lady Diana: ma cos'è la bulimia? Conosciamola meglio attraverso la testimonianza di donne che hanno vissuto questa esperienza sulla loro pelle.
Un successo crescente di pubblico e critica, un ritratto romanzato e senza tanti peli sulla lingua della famiglia Reale del Regno Unito dal dopoguerra a oggi, una serie che dal 2016 ha raccolto quasi 30 riconoscimenti tra i più prestigiosi di tutto il mondo.
‘The Crown’, ideata da Peter Morgan che di Reali inglesi se ne intende (sue la sceneggiature, per dire, di ‘L’altra donna del re’ e, soprattutto, di ‘The Queen – La regina’ di Stephen Frears), è senza dubbio uno dei Netflix Originals più amati dagli abbonati alla piattaforma e nella quarta stagione vede l’ingresso in scena di Lady Diana Spencer, conosciuta come Lady Diana o più semplicemente Lady D.
Conoscendo la storia e la personalità della Spencer, chi ha visto la serie dalla prima puntata (alzo la mano) ne può facilmente intuire l’effetto dirompente. La tradizione che mette la Corona al centro di tutto e davanti a qualsiasi cosa (sentimenti, persone, affetti, valori) non lascia grande spazio di manovra all’umanità , se non per pura convenienza di facciata, allontanando chi ne mina la stabilità o, nella peggiore delle ipotesi, piegandolo al proprio volere.
Il fidanzamento con il principe di Galles Carlo che, come racconta nella biografia a lei dedicata, ‘mi ha fatto sentire inadeguata, in ogni modo possibile, e ogni volta che riuscivo a sollevarmi il suo atteggiamento mi spingeva verso il baratro’ ma anche la pressione mediatica la spinsero sin da subito a soffrire di bulimia nervosa (stress, rabbia, sentimenti repressi sono i disturbi alla base della bulimia come vi diciamo nell’articolo su come riconoscere il mal di stomaco psicosomatico).
Sulla scia della tragica vicenda di Lady Diana, intrappolata in un matrimonio durato quindici anni a cui fece seguito la tragica morte l’anno successivo, il 1997, abbiamo pensato di raccontarvi due storie di due donne, Debora e Chiara, che hanno avuto a che fare con quel ‘mostro che ti porti dietro latente’, come mi ha detto una di loro, ma che nonostante questo hanno trovato la forza di vivere.
E di scrivere il loro futuro.
Debora: ‘Nella spiritualità ho trovato la soluzione’
‘La bulimia ha iniziato a convivere con me quando avevo 18 anni. – mi racconta Debora che ora, di anni, ne ha 42 – Prima ero una ragazzina come tutte, mangiavo e stavo bene con me stessa. Pesavo 60 kg ma avevo problemi con il ciclo’. Una visita dall’endocrinologo svela dei problemi alle ovaie: se vuole avere dei figli, un giorno, deve assolutamente dimagrire.
‘Cominciai così una dieta “fai da te” e a perdere i primi chili. Una mattina, mentre guardavo la tv iniziai a mangiare delle fette biscottate con la Nutella e a un certo punto mi resi conto che ne avevo finita un’intera confezione’. Debora pensa che tutti i sacrifici sono stati buttati all’aria, va in bagno e si lascia andare al vomito che, però, insieme al cibo mescola il suo dolore.
Quale dolore? Dobbiamo fare un passo indietro.
Quando Debora ha 15 anni suo padre gli muore davanti agli occhi di infarto. Per lei, lui, è un mito ma un giorno sua sorella acquisita, in lacrime, le rivela che il padre, quando la madre era incinta di Debora, l’ha violentata. ‘A quel punto ho iniziato a farmi schifo perché io assomiglio a mio padre e quindi ho iniziato a rifiutare me stessa’.
Uno shock che si mescola con il bisogno di dimagrire che la porta a passare da 60 a 48 kg ‘perché vomitavo dieci volte al giorno’. Debora intanto si fidanza, inizia un percorso terapuetico e scopre di essere incinta del primo figlio (‘poi ne ho avuti altri due’) ma a questo punto muoiono la sorella e la madre e lei rischia l’anoressia, da cui la salva il buddismo.
Oggi ‘nonostante il modo in cui ho maltrattato il mio corpo, non ho niente, né un mal di schiena né di stomaco. Non ho problemi di salute e la bulimia non mi ha portato conseguenze’.
Le chiedo, prima di salutarla, dei consigli per chi in questo momento non vede la luce in fondo al tunnel della bulimia.
‘Non sono brava a dare consigli, perché sono stata la prima a rifiutare una terapia, un percorso, perché non mi portava a nulla. Quello che mi ha dato dei risultati è stato invece un percorso spirituale, perché comunque per qualche anno sono riuscita a non avere lo stimolo del vomito; un percorso interiore che mi ha fatto capire le cause. La bulimia è una malattia della mente e come tutte le malattie è la manifestazione di una causa’. C’è bisogno però di determinazione perché ‘se non sai tu che è ora di guarire e risolvere, non può dirtelo nessuno, sia che si scelga una cura medica o una spirituale. Senza appoggiarti su i tuoi cari’.
Chiara: ‘Adesso vivo senza rimpianti’
‘Sto bene. Mi sto godendo la grande felicità per quello che ho vissuto e i miei ultimi 7 anni sono stati i migliori della mia vita’.
Sono quelli trascorsi da quando Chiara ha chiuso la porta in faccia alla bulimia anche se ancora, complice il Covid che ‘mi ha dato una botta economica, potrei ricadere sul cibo e a volte penso che avrei bisogno della mia malattia, anche se ora sarebbe tempo perso’. La bulimia, a Chiara, ha lasciato addosso l’invalidità del 76% e ha radici profonde nella prematura perdita del padre, quando lei aveva appena undici anni. Mi dice subito una frase bellissima che mi colpisce al cuore, anche perché non riguarda solo chi soffre di una malattia: ‘Crescere è guarire sempre di più’.
Chiara, che di anni ne ha 48, è cresciuta a fianco della bulimia da quando ne aveva 18 e il nemico, oggi, è stato indebolito fino a quasi scomparire dalla sua esistenza.
‘Ho provato tanti percorsi terapeutici, ma tante volte ho abbandonato. Sono stata ricoverata tre volte e una volta mi hanno dato sei giorni di vita. Ho pensato anche di uccidermi. Poi ho trovato la consapevolezza (e di consapevolezza in ambito alimentare ne abbiamo parlato nell’articolo sul Mindful eating: mangiare consapevolmente) perché tante volte è il ‘come che fa la differenza e il sincero desiderio di aiuto, trovando i giusti professionisti che non sono in grado di dartelo’.
Chiara adesso vive nel presente, ‘senza rimpianti né rimorsi del passato, perché pensare al passato e al futuro stanca, progettando senza ansia e ritengo la mia vita un successo perché non sono morta’.
Quando chiedo anche a lei qualche consiglio per chi in questo momento sta affrontando un momento difficile legato alla bulimia, Chiara suggerisce una riflessione: ‘Chiedersi se uno vuole vivere o morire. Perché essere bulimico significa essere morti mentre si è in vita e la vita è una cosa seria, non si può stare in una via di mezzo’. Ma anche guardare il proprio vissuto da una prospettiva diversa: ‘Quando uno vede delle rovine ci vede un disastro. Io ci vedo una storia’.
Ci salutiamo e io rifletto guardando fuori dalla finestra con la sensazione di essermi lasciato alle spalle due incontri che mi ricordano uno dei motivi per cui vale la pena fare il giornalista: raccontare storie, anche quelle che ci sembrano piccole.
Spesso nel particolare c’è l’universale.
P.S. = due giorni dopo la nostra chiacchierata telefonica Chiara mi scrive la mattina molto presto su Facebook. Mi chiede la pazienza di leggere tutto il messaggio e, in fondo, si scusa per essersi dilungata troppo e aggiunge: ‘Credo che Diana come mio padre non abbia fatto in tempo a scegliere la libertà’ .