L’orsacchiotto che parla troppo: i rischi dell’IA nei giochi dei più piccoli

Perché un compagno smart a 2-3 anni può ostacolare lo sviluppo emotivo, il linguaggio e la fantasia dei bambini

C’è chi segretamente lo stringe ancora la notte, chi lo ha posato sullo scaffale in bella vista, chi lo tiene in una scatola colma di ricordi e chi lo ha tramandato ai figli o ai nipoti. Proprio lui, l’orsacchiotto.  Tenero, silenzioso, compagno fedele delle notti e delle paure infantili, ma non solo. Un grande amico con il quale confidarsi, quasi come potesse parlare e rispondere sempre con la parola giusta al momento giusto. E guai a dire il contrario, perché se lo chiediamo ai bambini di un tempo – ma forse nemmeno troppo in là – le sue parole erano e sono vere. Vere nella fantasia del piccolo, certo. Una fantasia stimolata e sviluppata proprio dalla possibilità di immaginare un dialogo, un’interazione e quindi la costruzione della percezione di sé, dell’altro e anche del problem solving.  L’orsacchiotto che tutti conosciamo, però, sembra stia crescendo, o meglio, facendo nuove conoscenze e in particolare con l’intelligenza artificiale.  No, ancora non è accaduto realmente, ma i colossi mondiali dei giocattoli sono già attivi. Emblematico il caso della collaborazione tra Mattel e OpenAI avviata per introdurre il modello Sora 2 nella progettazione dei giocattoli, con l’obiettivo di accelerare i processi creativi e rendere le esperienze sempre più interattive. Un progetto che ancora è sotto osservazione critica e, attualmente pensato per un pubblico over 13. Ma occhio vigile, perché quando la tecnologia bussa alla porta dell’infanzia, l’età rischia di diventare solo un numero. E cosa potrebbe accadere? Cosa succede al cervello quando a due o tre anni il nostro primo confidente non è più muto custode di sogni, bensì una voce artificiale, per quanto realistica, che interagisce in tempo reale?

Lo sviluppo cognitivo e linguistico nei bambini

Intorno ai tre anni, la mente del bambino è un cantiere in piena attività. Le connessioni tra i neuroni si moltiplicano a un ritmo veloce, costruendo i circuiti che un giorno gli permetteranno di ragionare, fantasticare, ricordare, concentrarsi.  È il momento in cui la curiosità esplode, in cui ogni oggetto può trasformarsi in domanda e ogni gesto in scoperta. La memoria e la flessibilità cognitiva cominciano a prendere forma, questo implica la costruzione mentale di essere in grado di cambiare prospettiva e immaginare alternative. Anche il linguaggio vive una stagione di crescita impetuosa. Le parole si intrecciano, diventano frasi, poi racconti. È in questo arco di tempo che il bambino comincia a narrare se stesso e costruire la propria identità. Se da un lato, inserendo in questa fase un giocattolo che parla e risponde automaticamente potrebbe stimolare la velocità di apprendimento, dall’altra si potrebbe correre il rischio di interrompere il flusso dell’immaginazione. Quando la mente si sta aprendo al linguaggio e alla creatività, offrire risposte preconfezionate rischia di ridurre l’esperienza a semplice ascolto, spegnendo proprio quella scintilla che dà forma al pensiero astratto.

La fantasia che si perde tra risposte automatiche

“Facciamo che tu sei un supereroe e io il cattivo?” Quale bambino, almeno una volta, non ha mai cominciato un gioco in questo modo?  Questo tipo di interazione non è solo divertimento, ma è il cuore del gioco simbolico. Si tratta di una fase fondamentale dello sviluppo infantile, in cui la mente sperimenta e solidifica i ruoli, le emozioni e le relazioni, fino ad arrivare alla netta comprensione tra finzione e realtàIl bambino attribuisce significati nuovi agli oggetti, consapevole però di cosa essi siano. Inventa scenari e sviluppa capacità narrative, empatiche e sociali. Ogni “finta battaglia” o “avventura eroica” è un esercizio di creatività, problem solving e regolazione emotiva. Il gioco simbolico permette anche di sperimentare conflitti e soluzioni in un contesto sicuro: il bambino impara a negoziare regole, ad anticipare le reazioni degli altri e a modulare la propria aggressività o curiosità.  Gli psicologi evidenziano come queste esperienze siano fondamentali per stimolare il cervello, il pensiero astratto e la capacità di raccontarsi. Ma, dunque, cosa accade quando la storia è suggerita dal dispositivo?  Il bambino ascolta invece di creare, subisce scenari preconfezionati anziché plasmarli con la propria fantasia. Il rischio è che il laboratorio interno della mente, dove nascono le storie, i personaggi e i mondi, perda parte della sua funzione educativa. Con effetti, naturalmente, nel lungo periodo.

Emozioni vere, voci artificiali

C’è un’altra differenza cruciale tra il gioco tradizionale e quello tecnologico: l’empatia. Un orsacchiotto di pezza non parla, non guida, non corregge eppure permette al bambino di attribuirgli emozioni, stati d’animo, desideri e segreti.  In quell’interazione silenziosa si esercita l’immaginazione emotiva, si imparano le prime regole del rispetto, della comprensione e della condivisione. Un giocattolo dotato di intelligenza artificiale, al contrario, risponde sempre in modo coerente e programmato. Non sbaglia, non tace, non esita: tutto è prevedibile, controllato. Eppure è proprio nel silenzio, negli errori e nelle pause che si costruiscono le prime competenze sociali fondamentali: aspettare, interpretare, negoziare, adattarsi all’imprevisto.  Un robot non insegna il mistero o l’incertezza della vita reale, né permette al bambino di sperimentare la propria capacità di mediare e di inventare soluzioni. A sostegno della tesi, studi recenti hanno evidenziato come l’uso precoce di dispositivi interattivi possa ridurre le opportunità di sviluppare un lessico emotivo ricco e le competenze empatiche, entrambe essenziali per il sano sviluppo affettivo e relazionale dei bambini.

Ma quindi orsacchiotto IA sì o IA no?

Non si tratta di demonizzare la tecnologia. Un peluche smart può avere un ruolo, purché non diventi il sostituto della relazione. La chiave è l’equilibrio, limitare il tempo di utilizzo, privilegiare giochi liberi e creativi e perché no, alternare l’innovazione con la tradizione. Gli esperti consigliano di mantenere momenti di gioco analogico come costruzioni, libri, disegni e racconti inventati insieme. Attività che, al contrario dell’IA, chiedono al bambino di immaginare e di riempire spazi vuoti con parole e gesti.  Forse l’orsacchiotto che parla troppo è un affascinante prodigio tecnologico, ma non dimentichiamo che il valore inestimabile del vecchio orsetto di pezza era proprio il fatto che non lo fosse. O meglio, poteva esserlo nel momento in cui il bambino lo desiderava. Non parlava e nel suo silenzio lasciava lo spazio per immaginare, inventare, crescere. La vera sfida per i genitori di oggi è custodire quel silenzio e continuare a essere la voce vera, viva, imprevedibile, che accompagna i primi passi della fantasia.