Perché mi sento solo?

Come trasformare la solitudine in un’occasione per definire la propria identità. Ne abbiamo parlato con lo psicologo Davide Lo Presti

Che la solitudine sia fra di noi e il silenzio che ci portiamo dentro sia il segnale dell’inquietudine di vivere una vita senza lui/lei o che si tratti della solitudine dei numeri primi, il tema del sentirsi soli è qualcosa con cui tutti noi abbiamo fatto i conti nella nostra esistenza. E lo spazio della solitudine, ancora prima che un luogo fisico privo di altre persone intorno a noi, è in questo caso inteso come un luogo dell’anima in cui ritrovarsi ma in cui è facile anche perdersi.

Partendo dalla domanda sul perché ci sentiamo soli, ho attraversato con lo psicologo e saggista, docente di psicologia e appassionato di divulgazione scientifica Davide Lo Presti il tema della solitudine e come viverla con serena consapevolezza.

Perché mi sento solo/a?

‘La mente in se stessa alberga, e in sé può trasformare

Nel ciel l’inferno e nell’inferno il cielo’

(‘Paradiso Perduto’, John Milton)

La solitudine di cui parliamo in questo caso non è quella forzata (intesa come metodo di punizione e di tortura nel corso della storia) ma è quella che ha a che fare con la nostra interiorità, per cui anche in mezzo alla folla possiamo sentirci persi. Sentirsi soli significa fare i conti con i propri pensieri e con le nostre emozioni, paure anche ancestrali che rischiamo di farci sprofondare in un vortice di sensazioni dalle quali possiamo sentirci sopraffatti/e.

Una condizione non piacevole ma che, come esposto nel libro ‘The Handbook of Solitude: Psychological Perspectives on Social Isolation, Social Withdrawal, and Being Alone’ (2014) dei ricercatori Robert J. Coplan e Julie C. Bowker è tutt’altro che una situazione disfunzionale e indesiderabile e, al contrario, può consentire miglioramenti dal punto di vista dell’autostima, generando chiarezza e svolgendo una funzione terapeutica.

Il valore della solitudine

‘I momenti di solitudine sono dei momenti in cui, in realtà, uno si porta dentro un senso di identità che è in relazione anche agli altri. – mi spiega lo psicologo Davide Lo Presti quando lo raggiungo telefonicamente al termine della sua giornata lavorativa – Galimberti (Umberto Galimberti, psicologo, accademico, psicoanalista e giornalista. Ndr) dice che l’identità è quella che ci attribuiscono gli altri, che ci danno gli altri. Il momento della solitudine può essere un’occasione in cui noi possiamo ripensare la nostra identità. Staccarci dagli altri ci serve anche per ascoltare la nostra voce, le nostre emozioni, quindi ritornare alla base prima di ripartire’.

Lo stare da soli quindi come un’occasione e non come una condanna? ‘La solitudine può essere un momento in cui noi rientriamo in contatto con noi stessi, – puntualizza Davide – rivediamo anche la nostra identità per poi poterla eventuale “rigiocare” con gli altri, perché poi l’essere umano oscilla fra queste due dimensioni, quella relazionale e quella della solitudine’.

L’importanza della gratitudine

Mi chiedo e gli chiedo se e come le restrizioni legate alla pandemia da Covid-19 (nello specifico il lungo lockdown iniziato a marzo 2020 in cui ci siamo trovati a convivere con la solitudine) ci hanno reso migliori. ‘Potenzialmente può averlo fatto, però è una potenzialità. – mi spiega Davide – Diciamo che molto dipende da quanto, in questa solitudine, siamo stati in grado di ascoltarci e di attingere ad alcune forze vitali piuttosto che ad altre forze distruttrici’.

‘Alcuni – prosegue – ne usciranno più consapevoli, altri più arrabbiati, perché la differenza è tra la capacità di attingere in una forza di gratitudine di stare al mondo e quella di trovare motivi di rabbia per la situazione che viviamo. Nella solitudine è facile anche perdersi, smarrirsi. Non è un’avventura che fa per tutti e qualcuno avrebbe bisogno di una guida in questa solitudine, come nel caso di Virgilio per Dante nella ‘Divina Commedia’’.

‘Io da psicologo sono uno che un po’ accompagna in questi percorsi di ricerca, perché poi nella solitudine uno ricerca un senso, ricerca qualcosa. Nella solitudine possiamo trovare tante risorse, però possiamo incontrare anche tanta frustrazione, tanta rabbia e ci possiamo smarrire. Questo perché la solitudine è in parte silenzio, in parte voci, interrogativi, dubbi, ai quali dobbiamo saper rispondere e talvolta farci le domande sbagliate ci porta a darci le risposte sbagliate. Se io per esempio, nella mia solitudine, mi pongo la domanda ‘Di chi è la colpa?”, questo mi porta ad aprire alcune porte; se invece mi chiedo ‘A cosa deve essere grato?’ ne apro altre’.

Approfitto quindi della sua disponibilità per chiedergli un consiglio pratico per chi, magari leggendo questo articolo, cercasse un piccolo esercizio per trasformare la solitudine da qualcosa di doloroso in un’occasione di riscoperta e consapevolezza. Parto dalla mia di esperienza, ovvero l’uso della meditazione. ‘Sicuramente la meditazione è uno strumento molto importante, molto potente, – mi replica Davide – anche se va saputo applicare, va scoperto, va saputo praticare’.

Se vogliamo dare degli strumenti più semplici da mettere in atto, intanto, direi l’esercizio della gratitudine. Ogni giorno si pensa a tre cose di cui siamo grati e questo sicuramente può aiutarci a indirizzare la nostra attenzione, quindi a evocare certe emozioni piuttosto che altre. Ai miei pazienti consiglio spesso il diario della gratitudine con cui cercare tre cose per cui siamo grati. È un esercizio che non serve soltanto a farci rendere conto di quello che abbiamo ma a sforzarci di vederlo, perché talvolta arriviamo a fine giornata e non troviamo motivi per un essere grati’.

‘Se però ci mettiamo un po’ a riflettere qualcosa lo troviamo ed è quello sforzo che spesso va fatto, uno sforzo da prima consapevole ma che poi può diventare via via sempre più automatico e può trasformarsi un modo con cui vedere il mondo. Io posso vedere il mondo con gratitudine o con rabbia e quello fa una grande differenza. L’esercizio della gratitudine lo consiglierei sicuramente a tutti i lettori’.

Ringrazio e saluto Davide, facendo caso a quel silenzio che segue una telefonata, amplificato da quello che avverto da mesi (e così come me da milioni di italiani) al di fuori delle mie mura domestiche e del mio studio.