Purificatori d’aria portatili, tra dubbi e realtà
Un campo incredibilmente accidentato, non privo di luci e ombre, che abbiamo indagato per voi
Una innocua richiesta di recensione
Il 5 novembre 2020 ci arriva in redazione la proposta di recensire un purificatore d’aria tascabile, Breatheme, con una breve descrizione del prodotto.
La mia prima impressione, lo ammetto, non è delle migliori. Il piccolo apparecchio infatti promette di allontanare le polveri sottili, i pollini, i virus, i funghi, i batteri e perfino gli insetti, attraverso un meccanismo chiamato ionizzazione negativa, cioè caricando le particelle inquinanti con ioni negativi. Quest’ultimi si legano agli aerosol inquinanti ”rimuovendoli” dall’aria; una volta legati agli ioni vengono attratti verso una superficie “a massa” a cui aderiscono.
Lo studio preliminare della situazione lascia dei dubbi
Inizio a controllare il sito e noto subito che non ci sono riferimenti a studi specifici, condotti in laboratorio, che ne attestino l’efficacia, e in effetti, per qualcosa di così “invisibile” come la qualità dell’aria, mi sembrerebbe una condizione imprescindibile. Allertato sulla questione inizio a fare ricerche su prodotti simili, e noto, almeno sul mercato italiano, una mancanza sistematica di riferimento a parametri oggettivi, studi, e similari.
Decidiamo comunque in redazione di farci mandare l’apparecchio per uno spacchettamento, e nonostante l’aspetto curato, ovviamente permangono i dubbi.
Per dovere di cronaca, e ormai anche per sfida personale, inizio a contattare vari professionisti che immagino possano avere una preparazione di base sufficiente a darmi un parere, o almeno aiutarmi nel trovare uno specialista, ma, come scopro ben presto, non è facile trovare una figura simile e ricevo anche qualche deciso “no comment” da chi non me lo sarei mai aspettato. Poi l’illuminazione: un laureato in fisica saprà sicuramente darmi tutte le informazioni necessarie e liquiderà in pochi balletti la vicenda… mi sbagliavo.
Uno scienziato anonimo
Alla fine trovo un referente scientifico, Dottore magistrale in Fisica Teorica, votazione altissima, che però, pur prestandosi cortesemente a darmi una mano, non se la sente di comparire perché non ritiene di avere abbastanza conoscenza nella materia specifica e si limita a darmi la sua opinione e a fornirmi alcuni studi. La conclusione a cui si può facilmente arrivare leggendoli è che, smentendo la mia prima sensazione, il meccanismo teorico dietro i Negative Ions Air Cleaners sia interessante e possa essere preso in considerazione per la pulizia dell’aria da polveri sottili ed ultra-sottili. Ciò detto, l’efficacia dei dispositivi costruiti su questo principio dipende da come sono realizzati: studi hanno rilevato dispositivi che addirittura producono anziché rimuovere le polveri ultra-sottili e ciò è dovuto al fatto che l’ozono è un possibile sottoprodotto del processo di ionizzazione.
I parametri oggettivi su cui basarsi
Altra sensazione che mi viene confermata dal mio contatto è che esistano effettivamente alcuni parametri oggettivi che si potrebbero proporre al consumatore, tra tutti il Clean Air Delivery Rate (CADR).
Il CADR è sostanzialmente il tasso di riduzione dei contaminanti, in un ambiente controllato, con il purificatore o l’apparecchio da testare in funzione. La definizione è molto più complessa, ma quella che vi ho dato è una semplificazione credo accettabile. Parliamo di un test sviluppato dalla AHAM, e cioè dall’associazione dei produttori di elettrodomestici americani, ma riconosciuto dall’EPA (U.S. Environmental Protection Agency).
Altro parametro chiave sarebbe l’ozone emission rate, e cioè la quantità di ozono “generato” durante il funzionamento di uno ionizzatore d’aria, dato che l’ozono ha tante ottime proprietà, certificate in ambiti diversi però da quelli della sanificazione, e per di più alte concentrazioni sono dannose.
A essere sinceri, CADR e OZONE EMISSION RATE sembrano parametri più facilmente riscontrabili in apparecchi più grossi e la dimensione tascabile sembra complicare molto la questione, anche perché un ambiente chiuso e circoscritto è senza dubbio più facile da “controllare” rispetto all’effettivo funzionamento di un apparecchio all’aria aperta.
L’intervista a Lucio Lecchini
Ricco di queste informazioni e retroterra “teorico” posso finalmente intervistare Lucio Lecchini, Direttore Tecnico di Sanixair.
Ci parlerebbe brevemente di Sanixair e della sua storia personale? Come è arrivato a essere Direttore Tecnico di una azienda che si occupa di una tecnologia, in cui le specializzazioni sono difficili da trovare, da quanto ho potuto constatare durante le ricerche per questo articolo?
Sanixair nasce ufficialmente ad aprile 2019, data della sua costituzione, ma anticipata da circa 2 anni di analisi e studi sulla tecnologia della fotocatalisi, fenomeno alla base della maggior parte dei prodotti progettati da SANIXAIR. In questi due anni, operando con le stesse persone con le quali abbiamo fondato Sanixair, ma occupandoci principalmente di efficientamento energetico, quindi con una ragione sociale diversa, abbiamo ricevuto spesso la domanda: “Oltre all’efficientamento energetico, fate qualcosa anche per la qualità dell’aria?” Compreso che stava per nascere una crescente sensibilità sull’argomento della IAQ (Indoor Air Quality), abbiamo cercato di capire quale fosse lo stato dell’arte di questa attività in Italia, quali e dove fossero i produttori di riferimento e quale fosse l’adeguatezza del sistema rispetto al contesto generale. Abbiamo scoperto che:
– La fotocatalisi è un processo che generalmente si sviluppa in natura, e che è stato riprodotto artificialmente più di 30 anni fa.
– Ha avuto un forte sviluppo in ambiente aerospaziale tra la fine degli anni 80 e gli inizi del nuovo millennio.
– Le società che hanno sviluppato i prodotti, erano tutte nell’indotto aerospaziale, quindi americane, con sedi in Texas, Georgia, e altri stati americani.
– Il brevetto più recente di riferimento per questa tecnologia è stato fatto da RGF, che ha sede in Florida, nel 2011.
Siamo partiti da questi punti e abbiamo contattato e incontrato le 3 aziende americane, approfondendo i dettagli della tecnologia, e rendendoci conto che poteva essere migliorata e ottimizzata. Abbiamo quindi deciso di sviluppare prodotti nostri, partendo dai fondamentali chimici di questo fenomeno e ottimizzando la produzione. In questo modo, abbiamo recuperato molto tempo rispetto a quanto Lei sottolinea con “le specializzazioni sono difficili da trovare, da quanto ho potuto constatare durante le ricerche per questo articolo.”
– Ci siamo resi conto che i prezzi dei sistemi americani e le difficoltà logistiche di spedizione non permettevano uno sviluppo di questo settore su larga scala per tutte le fasce di mercato in Europa, e particolarmente in Italia. Anche chi aveva sviluppato una particolare sensibilità all’argomento, non aveva messo in conto le spese per la sanificazione e non era in grado di supportare l’investimento necessario.
– Ci siamo resi conto che in Italia esistono norme che regolano la sanificazione degli ambienti di lavoro, compresi spazi commerciali e ricettività (legge 81/2008, ex 626 del 94), e obbligano a controlli e interventi scanditi nel tempo, specie in ambienti sanitari e alberghieri, ma che non vengono applicate, se non dopo aver riscontrato gravi danni e addirittura decessi per questi motivi.
A questo punto, abbiamo deciso di:
– Produrre apparati nostri, migliorando la tecnologia degli americani e adeguandola alle ultime innovazioni tecnologiche.
– Diversificare la gamma dei prodotti, da B2C, B2B, progetti Custom e range di 42 diversi apparecchi, per affrontare le più diverse condizioni operative presenti sul mercato.
– Offrire “un servizio a canone su lunga durata” invece della “vendita” dei prodotti, in modo da non obbligare il cliente ad un investimento, ma al pagamento di una piccola rata mensile.
– Offrire un servizio “chiavi in mano”, in cui progetto, analisi, test microbiologici con laboratori esterni accreditati, installazione e manutenzione sono a carico nostro e il cliente ha la garanzia del risultato e la corretta corrispondenza alla legislazione in merito alla “Sicurezza della salubrità sul posto di lavoro”.
Parlo di me:
La mia storia personale è sempre stata caratterizzata dalla necessità di sondare nuove tecnologie, principalmente nel settore della luce, ma non solo. La mia formazione non è di tipo accademico. Ho solo un diploma di scuola superiore, peraltro avuto con un percorso in Istituto Tecnico, dove il quinquennio è stato svolto in sessione serale, quindi, 8 ore in fabbrica e 4 a scuola. Fortunatamente ho svolto nei primi 5 anni un Tour in tutti i reparti produttivi (stampaggio plastica, lavorazioni meccaniche, galvanica, costruzione stampi, centro assistenza), per poi essere trasferito prima alla qualità, poi ai laboratori e infine all’ufficio tecnico di R&D. Questo mi ha permesso di arrivare a una età relativamente giovane, 27 anni, con una formazione completa in ambito manifatturiero. Da qui, lo sviluppo nel settore della luce, nel quale all’inizio degli anni 90 ho sviluppato dei sistemi di illuminazione a fibre ottiche, con la particolarità di non trasmettere UV e Infrarossi alle parti illuminate, quindi particolarmente nel settore della conservazione delle opere d’arte (musei, mostre), nel settore sanitario e nell’automotive oltre che all’architettura. Posso citare il Museo egizio di Torino, la Sindone, il teatro “La Fenice” di Venezia, queste solo alcune applicazioni in un percorso che è durato 12 anni, e che è poi sfociato tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio nell’uso dei LED per l’illuminazione (fari da giardino outdoor nel 1998 alla fiera di Hannover), dove questa tecnologia sarebbe diventata “di mercato” solo nel 2004/2005. Altro settore innovativo è stato quello dell’elettroluminescenza”, praticamente dei fogli luminosi alimentati con frequenze dai 100 ai 27000 Hz, precursori di quelli che oggi sono gli O-Led, led a matrice organica.
In definitiva, ho sempre affrontato argomenti pionieristici, studiando quel poco di letteratura disponibile, ma principalmente sperimentando in laboratorio soluzioni empiriche, non direttamente derivanti dalla letteratura scientifica. Anche per la sanificazione, ci siamo mossi precocemente allo sviluppo del mercato e questo ci ha permesso di avere tempo per le sperimentazioni. Lo chiami pure intuito, dato che non è frutto di calcoli o previsioni di sviluppo di variabili misurabili.
Per i parametri di riferimento, pur non essendo attive norme per queste tecnologie, la letteratura scientifica, dà valori di riferimento per i limiti di emissione, di esposizione, di assunzione delle sostanze prodotte. Più semplice per la determinazione dei parametri elettrici, elettromagnetici, acustici e altro.
Durante la nostra chiacchierata ha accennato alle problematiche legate all’uso dell’Ozono, e dell’impossibilità a non generarne una certa quantità, usando la tecnologia in questione. Può spiegarci di cosa si tratta?
Come accennato sopra, esistono leggi che regolamentano i limiti di concentrazione dell’Ozono. Noi ci siamo rivolti alle università, in questo caso all’università degli studi di Milano, la quale ci ha confermato le nostre informazioni reperite dalla letteratura. la legge Lgs. 155/2010, definisce la “SI”, (soglia di informazione) in 180 μg/m3 e Obiettivo a Lungo Termine (OLT) per la protezione della salute umana in 120 μg/m3 calcolati come massimo giornaliero della media su 8 ore.
Il Clean Air Delivery Rate (CADR) e l’Ozone Emission Rate sono parametri interessanti, che iniziano a emergere nella letteratura scientifica, e sarebbero un’ottima carta nelle mani del consumatore, però, dalla mia ricerca su Breatheme e su prodotti concorrenti, non ho mai trovato questi due parametri riportati da qualche parte. Dalla nostra chiacchierata è emersa una potenziale ragione, vuole parlarcene ?
I parametri di cui parliamo sono di difficile misurazione. In particolare, per gli apparecchi portatili, (come ad esempio il nostro indossabile), per i quali non è possibile un collegamento con il circuito di messa a terra, l’andamento del valore di emissione degli ioni negativi è di tipo instabile e ondulatorio, in maniera ciclica. Sul mio apparecchio si misurano valori di concentrazione che vanno dai 70 milioni di ioni negativi per centimetro cubo allo start, a valori di qualche centinaio di migliaia dopo 30 secondi, per poi ritornare al massimo e poi ridiscendere. Il mio apparato, se collegato a terra con un cavo di massa, emette costantemente 70 milioni di ioni negativi al centimetro cubo. Intervengono numerose variabili, quali la materia prima con la quale è fatto il contenitore, le distanze tra parete del contenitore ed elettronica etc etc.
IL CADR poi, si applica principalmente a prodotti che hanno un flusso di ventilazione (in CFM o m³/h).
Ci ha spiegato che, usando tecnologie non ancora completamente normate, ci si ritrova a chiedere test a enti terzi, i cui risultati non sempre sono completi. Ha fatto riferimento a studi commissionati ad alcune università. Ha fatto riferimento anche alla mancanza di “parametri sperimentali” come distanza a cui misurare gli effetti del macchinario testato, etc, può parlarcene?
Non ci sono normative che hanno stabilito un protocollo di test, ad esempio per gli ioni negativi. Quando si parla ad esempio di concentrazione di 70 milioni per centimetro cubo, non si fa riferimento a quale distanza viene rilevata tale concentrazione. Mi spiego: se io misuro direttamente sul punto di emissione 70 milioni in un centimetro cubo, alla distanza di mezzo metro, non avrò sicuramente quel dato, che verrà disperso nell’ambiente e si diraderà a causa del volume, delle correnti d’aria, della capacità di saturare il volume in un determinato tempo. Ecco che, mancando un protocollo di riferimento, diventa impossibile fare confronti tra i differenti devices, in quanto misurati con parametri diversi e interpretati da ciascuno in modo differente. Il fatto che le misure siano in aria libera oppure in un ambiente asettico, a temperatura controllata e privo di aerazione, varia in modo significativo i risultati del test.
BreatheMe non è un prodotto elettromedicale e ha accennato al fatto di non cercare una certificazione in questo senso. È stato un atto di serietà, ce ne parlerebbe ?
Argomento che sta molto a cuore di Sanixair. Il ministero della salute aveva creato una serie di codici tra i quali risultavano anche quelli relativi alla sanificazione. Un paio di anni fa, il codice è stato rimosso perché riportava prodotti che non erano a diretto contatto con il corpo, caratteristica fondamentale per i dispositivi medici. I dispositivi medici sono raggruppati, in funzione della loro complessità e del potenziale rischio per il paziente, in quattro classi: I, IIa, IIb, III.
La classificazione dipende dalla destinazione d’uso indicata dal fabbricante e va attribuita consultando le regole di classificazione riportate nell’Allegato IX del Decreto legislativo 24 febbraio 1997, n 46.
La classificazione si attua fondamentalmente tenendo conto dell’invasività del dispositivo, della sua dipendenza da una fonte di energia (dispositivo attivo) e della durata del tempo di contatto con il corpo.
Diversi produttori di sistemi fotocatalitici e di ionizzazione hanno continuato a mantenere la denominazione di dispositivo medico, contravvenendo alle disposizioni e sfruttando questo vantaggio. È invece notizia di qualche mese fa che, anche a seguito della pandemia, è stato attivato un nuovo codice, che permette la registrazione degli apparati come dispositivo medico
Il codice creato, il v9099 “dispositivi non compresi nelle classi precedenti / altri” è l’ultimo della fila, come può vedere, molto “politico” e inglobante qualsiasi cosa venga in mente a chiunque. Preferiamo quindi non usufruire di un attestato così indefinito e, secondo noi, ingannevole per il cittadino medio, che non ha la possibilità di approfondire questo argomento.
Se siete giunti fino a qui, non posso che farvi i miei complimenti e condividere con voi la frustrazione e il piacere della complessa realtà in cui viviamo.
Una tecnologia promettente, interessante, non normata a sufficienza probabilmente, studi scientifici da consultare complessi da digerire per un profano, scienziati e referenti difficili da contattare e a cui non si puo’ chiedere per onestà intellettuale una risposta definitiva, perché il campo è vastissimo e accidentato, e produttori pieni probabilmente di buona volontà, preparati, ma che lamentano di non poter fornire prove pienamente certificate da enti terzi, dei propri apparecchi
Dolce, amarissima e complessa realtà.