Calano i consumi di vitamina D dopo la nota dell’AIFA

A distanza di un anno dalla diffusione della nota 96 da parte dell’AIFA, sono scesi consumi e spesa di oltre il 33%

Recentemente l’Agenzia Italiana del Farmaco ha diffuso i risultati del monitoraggio dei consumi di vitamina D in seguito alla nota 96 dell’autunno 2019, che rivedeva i criteri per la prescrizione di alcuni di questi farmaci a carico del SSN. I dati presentati indicano, nell’arco di 12 mesi, un calo del 34% per quanto riguarda il numero di confezioni e del 33,1% in termini di spesa, con un conseguente risparmio di oltre 109 milioni di euro.

Il periodo preso in esame va da novembre 2019 a ottobre 2020 ed è stato messo a confronto con il periodo novembre 2018 – ottobre 2019, per comprendere le conseguenze della nota in questione, che in particolare aveva incluso farmaci quali il colecalciferolo, il colecalciferolo/sali di calcio e il calcifediolo e descriveva in dettaglio le condizioni per la prescrizione.

Dall’analisi si è visto che per i farmaci selezionati c’è stato un decremento sia sui consumi che sulla spesa. Nello specifico, le variazioni percentuali registrate dopo 12 mesi sul numero di confezioni sono state del -36,1% per il colecalciferolo, di -0,9% per il calcifediolo e del -27,4% per il colecalciferolo/sali di calcio. In termini di spesa, le variazioni percentuali osservate dopo 12 mesi sono state del -34,7% per il colecalciferolo, del -1,1% e del -27,1% per il colecalciferolo/sali di calcio. Su questi numeri, è stato stimato un risparmio medio mensile di oltre 9,1 milioni di euro al mese, per un totale di circa 110 milioni di euro in termini assoluti, oltre naturalmente a un recupero in termini di appropriatezza.

Nella nota 96, istituita nell’ottobre 2019, l’AIFA aveva infatti rivisto le indicazioni per la prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale dei farmaci indicati per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D nell’adulto. Si stabiliva che la prescrizione a carico del SSN può avvenire indipendentemente dalla determinazione della 25(OH) D (vitamina D circolante) per le donne in gravidanza o in allattamento; per persone affette da osteoporosi da qualsiasi causa o osteopatie accertate non candidate a terapia remineralizzante, oltre che per le persone istituzionalizzate, con riferimento anche alla nota 79. Altri casi, invece, sono previsti previa determinazione della 25(OH) D: tra questi vi sono le persone che hanno livelli sierici di 25(OH) D inferiori a 20 ng/mL e che presentano un sintomo attribuibile all’ipovitaminosi, come spiegato nell’algoritmo allegato alla nota stessa. Nelle condizioni per la prescrizione a carico del SSN vi rientrano anche le persone con iperparatiroidismo secondario a ipovitaminosi D; persone affette da osteoporosi di qualsiasi causa o osteopatie accertate candidate a terapia remineralizzante per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia; casi di terapie a lunga durata che interferiscono con il metabolismo della vitamina D; malattie che possono causare malassorbimento nell’adulto.

Nella nota 96 a corredo venivano riportate anche le evidenze disponibili e veniva sottolineato che il dosaggio della vitamina D esteso alla popolazione generale è inappropriato; la determinazione dei livelli di 25OHD pertanto non deve essere intesa come procedura di screening e non è neppure indicata obbligatoriamente in tutte le categorie di rischio.