Social in farmacia: per misurare i risultati servono obiettivi chiari
Intervista alla dottoressa Emanuela Belloni, docente di retail marketing farmaceutico
Nell’anno della pandemia, l’accelerazione dei processi di digitalizzazione è stata notevole e questa corsa al digital non ha lasciato da parte neppure il settore health e farmaceutico. Tra e-commerce e social media, in modi più o meno encomiabili, tutti hanno provato a esserci – blog, tutorial su Youtube, post su Facebook e Instagram – la presenza, però, non basta e senza un obiettivo ben definito non si possono neppure misurare i risultati. Ce lo fa capire meglio la dottoressa Emanuela Belloni, economista aziendale e docente di retail marketing farmaceutico, che ad A Good Magazine spiega come una farmacia può trarre beneficio dai social network (per davvero!), insieme a qualche suggerimento per affrontare il “new normal” anche nel negozio fisico.
La dottoressa Emanuela Belloni è un’economista aziendale, si occupa in particolare di retail marketing, del quale è anche docente. Ha effettuato studi sulla percezione degli acquisti, per poi affacciarsi nel settore farmaceutico, da quando la farmacia è diventata molto più negozio di un tempo. Belloni ha anche ideato ed è direttrice scientifica del primo corso di vendita visiva all’interno della farmacia, importando in questo ambiente il concetto di shopping experience.
Dottoressa Belloni, nel suo lavoro di formatrice quali sono le principali lacune che incontra?
“Uno degli aspetti deficitari spesso è quello di non considerare la farmacia un’azienda, mentre è necessario chiedersi dove mi colloco? qual è la mia identità? Quando faccio formazione non vedo un’enorme disparità a livello di territorio, tra grandi o piccole realtà, piuttosto la vedo tra il farmacista e il farmacista imprenditore. L’impronta aziendale per adesso è molto più forte nei gruppi, nelle catene, mentre nelle farmacie private la differenza la fanno le persone”.
Le nuove generazioni, invece, fanno la differenza?
“Sì, ma non per una questione di età. Mi riferisco a quelle farmacie private dove sono entrati i figli che non erano farmacisti, ma laureati in comunicazione ed economia, con una visione più nuova. Ecco, la differenza non la fa tanto l’età, quanto le competenze”.
Gli strumenti digitali sono imprescindibili. Quali possono essere maggiormente utili a una farmacia?
“Il social più giusto è quello che ti fa agganciare il target che tu vuoi. La farmacia è tra i retail più trasversali, si possono fare anche cose creative, ma bisogna vedere prima di tutto qual è il social più utilizzato e ancora oggi è Facebook. Diventa quindi quasi un obbligo esserci, ma bisogna anche considerare che da qualche anno non sta più crescendo; la nuova generazione, per dire, Facebook non lo apre nemmeno. Pensiamo quindi sì a oggi, ma anche al domani e ai social in sviluppo: Instagram è cresciuto tantissimo, ha oltre 20 milioni di utenti, mentre se pensiamo ai giovanissimi bisogna guardare a Tik Tok”.
Marketing e comunicazione non sono la stessa cosa, però. Prendendo il concetto di redemption, come dovrebbe dovrebbe agire una farmacia per rendere davvero efficace la presenza sui social?
“Il social funziona se c’è un network, bisogna commentare, rispondere, perché il social è un canale a due vie, dove lo scambio e la reciprocità sono fondamentali. Per ogni post che si pubblica, poi, bisogna sapere quale obiettivo si vuole raggiungere con quel contenuto, in modo da poter misurare poi se quel risultato è stato realmente raggiunto. Un suggerimento, per esempio, potrebbe essere quello di diffondere delle promozioni mirate ai social e poi verificarne gli effetti.
Nel marketing c’è una continua evoluzione e la comunicazione e solo una delle sue leve, bisogna prima capire dove si vuole andare: voglio essere una farmacia che lavora sulla quantità o voglio specializzarmi nei servizi, per esempio? Poi arrivano anche i nuovi media, naturalmente, ma quelli sono uno strumento e deve essere sempre inserito in una coerenza realistica della farmacia. Spesso c’è questa tendenza a voler stare tanto sull’onda e molto meno sulla strategia, ma bisogna prima scegliere cosa vogliamo dire e a chi, decidere se si vuole conquistare un target o mantenerlo. L’effetto vetrina sui social è deleterio, c’è la spinta a voler fare ma senza chiedersi il perché”.
Di cosa può parlare la farmacia su un social? Ci sono limitazioni?
“Non si possono promuovere farmaci o pubblicizzare direttamente SOP o OTC, ma si può parlare di dermocosmetici, fare corretta educazione sanitaria, parlare di servizi e offerte commerciali, insomma, le possibilità sono molte.
Se si vuole incentrare la presenza sui social media sui prodotti, si possono fare dei tutorial su Facebook e YouTube, sull’utilizzo corretto di un prodotto, sui suoi benefici, ma si può scegliere di dare un valore aggiunto a questa presenza lavorando sulla relazione o sui servizi che si offrono. Proprio questi ultimi – i servizi – per mia esperienza dico che danno più redemption sul territorio, vanno incontro a un bisogno anche latente delle persone e ampliano il target. Proprio in questo periodo lo si sta vedendo con le farmacie che offrono i test per la diagnosi del Covid.”
Proprio a tal proposito, cos’è cambiato negli ultimi tempi con ingressi contingentati e meno tempo nel locale? Quali sono le azioni da mettere in atto?
“In questo momento vanno rivisti i punti focali della farmacia, vanno rivalutati il banco e retrobanco. Sul banco, per esempio, bisogna ottimizzare lo spazio, esponendo magari meno prodotti e facendoli ruotare di più. Secondo una mia analisi del processo di acquisto, si vede che l’acquisto emozionale, quello di visibilità, è diminuito, anche per via del plexiglass, che costituisce una barriera. La differenza ora non la può fare il prodotto, ma il dove e soprattutto il chi, cioè quella persona che dà un consiglio esclusivo a te, che sa fare cross selling ed è capace quindi di individuare i bisogni correlati, una cosa che un e-commerce non ha. Il ruolo del farmacista dovrà evolversi, non potrà più essere solo quello di dispensatore, ma sarà sempre più di consigliere. L’attenzione al cosiddetto “new normal” non va trascurata, perché ci sono nuove abitudini dei consumatori che capiremo ben presto quanto si sono già radicate.”