Farmaci antidepressivi: le origini

Ripercorriamo, in breve, i passi che hanno rivoluzionato il trattamento di uno dei disturbi psichici più diffusi al mondo.

Si definisce un vera e propria “rivoluzione”: una perfetta combinazione tra casualità e studio sistematico, portò alla luce una vera e propria manna per il trattamento della depressione. L’evoluzione che ne è conseguita ha permesso un netto cambiamento nella cura dei pazienti depressi; la scoperte stesse hanno rappresentato un indispensabile tool farmacologico nella neurobiologia, consentendo, tra le altre cose, il formarsi delle prime ipotesi riguardanti l’eziologia di questi disordini. 

Il punto di partenza

Si comincia dagli anni ‘50 in poi: in questo periodo avvenne la sintesi di due capostipiti antidepressivi, entrambi derivanti da modificazioni strutturali di composti noti.

Dopo la II Guerra Mondiale, ingenti quantità di idrazina avanzata (in uso come carburante per i missili) furono sfruttate per sviluppare composti anti-tubercolosi. Questo portò al primo veramente importante, ovvero l’iproniazide (1951), derivato dell’isoniazide. I malati di tubercolosi venivano portati nei sanatori, dove si somministravano tali farmaci a fini curativi.  Molto efficace contro questa malattia, l’iproniazide era altresì contraddistinta da elevata tossicità, che portò al ritiro dal mercato. Si notò però che, più che migliorare lo stato fisico (danno polmonare), si otteneva miglioramento dello stato psichico. Tra gli “effetti collaterali” annoverati vi erano aumento di vitalità, rasserenamento, aumento di peso e regolarizzazione del sonno. Fu proprio qua che entrò in gioco la serendipity, o casualità, nella scelta di considerare questi come “effetti primari” e non più secondari. Fu il precursore della classe dei MAO (monoamino ossidasi) inibitori, indirizzandone lo studio.

L’altro è stata l’imipramina, ottenuta tramite approfondimenti sulla struttura ciclica di alcuni antipsicotici. L’introduzione e il successo della clorpromazina, appartenente a questa classe, intensificò la ricerca in questo ambito. Spiccò il fatto che, intervenendo sulla struttura, ci si poteva spostare da un’azione neurolettica (erano composti destinati ai casi di schizofrenia) a un’azione antidepressiva. Si stava cercando di ottenere, partendo dallo scheletro, altri composti utili nei disordini psichici; oppure, data la struttura (e non solo, vedremo) somigliante, che avessero effetti antistaminici, analgesici o sedativi. Quando l’imipramina, ancora in prova, venne testata sui pazienti schizofrenici, si notò nessun miglioramento o addirittura un peggioramento delle psicosi. Ma grazie all’intuizione del Dr. Kuhn (1912 – 2005), i casi di depressione severa ne ottennero un grande giovamento (approvazione FDA nel 1959). Serendipity, capitolo II. Così facendo, si dette vita alla serie degli antidepressivi triciclici (TCA).

La ricerca delle cause

Si cominciò a delineare il fatto che la serotonina svolgesse un ruolo per la “sanità mentale” e, in particolare, per la depressione. Venne anche osservato che la depressione era connessa a un deficit di alcune monoamine, specialmente serotonina e noradrenalina, in specifiche aree del cervello. La mania invece, era dovuta a un loro aumento. Queste ipotesi erano supportate dal fatto che sostanze che abbassano i livelli di monoamine (ad esempio, la reserpina), inducevano stati depressivi. Non solo, i pazienti depressi mostravano anche concentrazioni più basse nel fluido cerebrospinale (basse concentrazioni trovate anche con l’autopsia in pazienti suicidi). Il sospetto era che i farmaci antidepressivi andassero, in vario modo, ad aumentare la trasmissione monoaminergica (ipotesi monoaminergica), coinvolgendo così anche la via della dopamina, il cui ruolo però rimane non molto chiaro.

MAO-inibitori

Non a caso, con questi composti si cercò di bloccare il catabolismo della serotonina e simili. Le monoamino ossidasi sono enzimi che demoliscono le monoamine, per l’appunto. Il tipo MAO-A ha una predilezione per la serotonina; MAO-B anche per dopamina, adrenalina e tiramina. Ad esempio, dalla struttura dell’amfetamina, usata in guerra dai piloti inglesi per aumentare lo stato di veglia, si arrivò alla tranilcipromina (potente MAO-inibitore). Questi composti amminici, insieme agli idrazinici, costituiscono la prima generazione di tali inibitori. Il problema era l’irreversibilità del loro blocco e la scarsa selettività, da cui derivano molti dei pesanti effetti collaterali. Il più importante tra quest’ultimi sono sicuramente le crisi ipertensive: sono dovute al mancato metabolismo della tiramina, sostanza contenuta in cibi come vino, birra e formaggi (cheese effect). L’effetto ipertensivante è dovuto ad un aumento del rilascio di noradrenalina, che interagisce con cuore e vasi sanguigni.

Antidepressivi triciclici (TCAs)

In questo caso il nome non fa riferimento al meccanismo di azione come gli altri, bensì puramente alla struttura. Questo perchè i TCAs hanno un profilo farmacologico molto vario, anche se il meccanismo d’azione di base è lo stesso. Sono inibitori del reuptake (riassorbimento) di serotonina e noradrenalina: bloccano i rispettivi trasportatori a livello neuronale, e a questo si devono gli effetti terapeutici (aumento di livelli delle monoamine). La selettività verso l’uno o l’altro trasportatore dipende da ogni composto, anche se i più preferiscono quello per la noradrenalina. Tuttavia, la tipologia di struttura li rende anche antagonisti verso altri sistemi e recettori: adrenergico, muscarinico e istaminergico. Questo conduce agli effetti collaterali tipici di questi composti: capogiri, deficit di memoria e sedazione, rispettivamente.

SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina)

Nei tardi anni ‘60, iniziarono a comparire prove del forte coinvolgimento della serotonina nella depressione, soprattutto in forma grave. Di conseguenza, l’industria farmaceutica Eli Lilly iniziò a sviluppare composti che andassero selettivamente ad interferire con i trasportatori della serotonina. Nel 1974 fu pubblicato il primo report, e l’anno seguente la dimostrazione, che un nuovo composto, la fluoxetina, ne era un potente e selettivo inibitore. Fu approvata da FDA nel dicembre del 1987 e lanciata sul mercato nel gennaio del 1988. Nel 1990 divenne l’antidepressivo più prescritto in America, con vendite che raggiunsero in poco tempo il miliardo di dollari. 

Durante la fase clinica della fluoxetina, durata 7 anni, Astra AB introdusse il primo SSRI zimeldina sul mercato europeo, nel marzo 1982. Ciononostante, fu altrettanto rapidamente ritirata nel 1983 a causa dei numerosi casi di sindrome di Guillain-Barré. 

La fluoxetina ed altri successivi SSRIs, come il citalopram, sono 20-1500 volte più selettivi verso l’inibizione del trasportatore della serotonina, rispetto a quello della noradrenalina. Anche l’affinità verso le altre tipologie di recettori è ridotta al minimo, e ciò permise di limitare di gran lunga gli effetti collaterali. I più comuni di questa classe sono nausea, insonnia e disfunzione sessuale

Molti più sorrisi

Il fascino di queste storie rimane nei diversi approcci adoperati, che sia un profondo e accurato studio (fluoxetina) o la cosiddetta “botta di…” (imipramina e iproniazide). Quello che ne è conseguito però, è stato un vero e proprio stravolgimento nel trattamento della depressione. Se si pensa che nei disordini psichici, fino a quel momento, venivano indotti brutali shock (chimici o elettrici) come cura, il passo avanti è stato incredibile. Per questo i farmaci antidepressivi sono associati, e associabili, al termine rivoluzione.

A volte, basta un leggero sguardo al passato, per apprezzare di più ciò che abbiamo nel presente.