Smartphone e tablet rovinano le relazioni familiari?
Sempre più attuale il fenomeno del phubbing: un’esperta ci spiega come è cambiato il rapporto tra genitori e figli con l’avvento dei devices tecnologici
Se in maniera più o meno consapevole vi è capitato di ignorare e/o trascurare il vostro interlocutore a favore dello smartphone avete praticato quello che in gergo viene definito phubbing. Moderno neologismo nato dall’unione di due termini inglesi – phone (telefono) e snubbing (snobbare) – si riferisce, appunto, all’atto di snobbare qualcuno in un contesto sociale preferendo armeggiare col proprio cellulare.
Il fenomeno può essere letto come una forma di dipendenza o, meglio, come un sintomo dell’altrettanto diffusa nomofobia, ovvero la paura ossessiva di non essere raggiungibili al cellulare che provoca, di conseguenza, il bisogno spasmodico di controllare il telefono, anche quando si è in compagnia di altre persone.
Superfluo sottolineare come lo smartphone sia ormai oggetto imprescindibile nelle nostre vite; interessante, invece, analizzare “quanto” la sua presenza occupi spazio nelle relazioni sociali – soprattutto in quelle familiari – e con quali conseguenze.
Phubbing genitoriale: cos’è?
Un importante spunto di riflessione in tal senso lo ha dato il risultato di un recente studio dell’Università Bicocca di Milano dal titolo “Mom, dad, look at me: the development of the Parental Phubbing Scale” – appena pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships – che ha rivelato come l’uso pervasivo dei devices digitali da parte dei genitori, anche durante i momenti riservati tradizionalmente alle relazioni interpersonali, abbia evidenti ripercussioni sul benessere psicologico dei giovani. In estrema sintesi, dalla ricerca condotta attraverso un questionario somministrato ad un campione di 3000 ragazzi, prestare troppa attenzione al proprio smartphone in presenza dei figli peggiora le relazioni familiari. I ricercatori hanno legato lo studio di un fenomeno nuovo (il phubbing genitoriale, appunto) alla lunga tradizione di ricerca sulle esperienze di esclusione sociale che possono avere conseguenze negative su chi le subisce, tra le quali, in casi estremi, lo sviluppo di sintomi depressivi e suicidi.
Genitori, figli e devices
Era comunque già noto che, negli ultimi anni, l’utilizzo sempre crescente di smartphone e tablet da parte – indistintamente – di grandi e piccoli, avesse portato molti cambiamenti in ambito relazionale, senza risparmiare ovviamente il rapporto genitori/figli. Approfondiamo il tema con Barbara Riccioni, family coach, ricercatrice in ambito educazione e nuovi media ed autrice del libro “Supereroi online. Il metodo educativo al digitale per crescere bambini di talento e sicuri di sé” (edito da Mind Edizioni).
Barbara, come è cambiato il rapporto genitori/figli con l’avvento degli smartphone?
Mentre prima si sfruttavano i momenti di condivisione in famiglia per parlare, confrontarsi, raccontare e quindi per costruire un rapporto, adesso capita spesso che sia gli adulti che i ragazzi scelgono di rispondere all’ultimo messaggio di Whatsapp oppure di controllare l’e-mail. Anni fa ci lamentavamo dell’eccessivo uso della tv, oggi forse qualcuno lo rimpiange! Se la televisione, infatti, prevede una fruizione comune e stimola ad un dialogo, la stessa cosa non avviene con lo smartphone, che di per sé predilige una visione individuale. Questo inevitabilmente mina i rapporti familiari e comporta un accrescersi della distanza tra i genitori e i figli che già normalmente si presenta con l’adolescenza. Ne consegue un rapporto sempre più privo di dialogo e punti di incontro, ma anche di litigi relativi all’utilizzo della tecnologia stessa che è sempre più presente all’interno delle nostre vite. I genitori spesso si sentono incapaci di gestire l’utilizzo dei devices multimediali dei propri figli e scelgono la strada dell’imposizione; questo non fa altro che creare maggiori tensioni in famiglia e un ambiente domestico sempre meno predisposto al dialogo. Molto spesso, inoltre, i genitori si dimenticano di rappresentare l’esempio più grande per i loro figli e cadono in contraddizione negando l’utilizzo dello smartphone o del tablet in determinati contesti, ma continuando loro stessi a farne un uso sbagliato in presenza dei figli.
A proposito di genitori: sono proprio loro i primi soggetti attivi nel fenomeno del phubbing. Con quali conseguenze per i minori?
L’utilizzo eccessivo dello smartphone in presenza dei figli, soprattutto in quei momenti che dovrebbero essere dedicati alla condivisione e al confronto, genera non poche conseguenze negative sul benessere psicologico dei ragazzi. I ragazzi si sentono ignorati e esclusi dai propri genitori, proprio in quell’ambiente nel quale invece dovrebbero sentirsi accolti e ascoltati; ne conseguono stati di apatia e disinteresse nei confronti delle normali attività quotidiane e una predilezione per l’utilizzo a loro volta dei devices, che divengono in questo caso un luogo nel quale rifugiarsi e intrattenere relazioni virtuali. Se è vero, inoltre, che i bambini e i ragazzi ‘imparano ciò che vivono’ e ciò di cui fanno esperienza, possiamo solo immaginare il tipo di relazioni che saranno capaci di instaurare i giovani che ad oggi sono vittime di phubbing genitoriale.
Tablet e smartphone ai bambini: cosa rischiamo?
L’utilizzo del tablet e dello smartphone nei bambini, se non gestito nel modo corretto, può avere ripercussioni sia dal punto di vista psicologico che fisiologico. Sempre più, i devices multimediali prendono il posto delle comuni babysitter: quando i genitori hanno bisogno di fare qualcosa e di “tener buoni” i bambini, consegnano loro smartphone o tablet. Ma a quale prezzo? Se i bambini non vengono guidati in un percorso di digitalizzazione consapevole, possono trovarsi di fronte a situazioni poco piacevoli. Parlo dell’isolamento sociale che i più piccoli iniziano a vivere già in tenera età ma anche della chiusura nei confronti del mondo e delle esperienze concrete che scelgono di vivere in modo sempre più filtrato, per non parlare della pigrizia fisica, che ormai contraddistingue le cosiddette generazioni “touch”. La possibilità di navigare in rete espone poi alla potenziale fruizione di contenuti inappropriati, alla possibilità di esporsi in maniera inadeguata sul web, non essendo capaci di gestire la propria immagine o identità digitale rischiando di diventare potenziali vittime di episodi di cyberbullismo o di adescamento. Le stesse relazioni interpersonali mediate attraverso lo schermo possono diventare fonte di problemi e di grande stress psicologico già nell’adolescenza: l’incapacità di gestire il rapporto ‘uno a molti’ a cui la rete espone inevitabilmente, richiede la capacità di saper mediare i conflitti e gestire le interferenze, cosa che i ragazzi non sono per natura abituati a fare.
Quale potrebbe essere un metodo “virtuoso” per inserire l’utilizzo dei devices nella vita familiare?
Il punto di partenza è quello di cogliere l’occasione per parlarne in famiglia. Affrontare la questione insieme porterà genitori e figli a prendere più consapevolezza del problema e servirà a instaurare un dialogo tra le parti. Non è detto che, fin da subito, le parti convolte siano consapevoli dell’eccessivo uso o addirittura del cattivo uso di tali mezzi, potrebbe quindi essere utile stilare un diario delle proprie abitudini digitali. Vedere scritto nero su bianco ciò che facciamo è un ottimo stratagemma che aiuta ad “aprire gli occhi”. Stabilire regole condivise, una sorta di vademecum sull’uso della tecnologia in famiglia (un manifesto del “digital wellbeing” domestico), resta poi il mezzo migliore per riuscire a stabilire delle sane abitudini. Suggerisco sempre ai genitori di sedersi a tavolino con i propri figli e di decidere insieme quelle che saranno le regole da seguire in famiglia; i figli devono essere coinvolti in questo processo, se vivranno queste regole come imposizioni avranno infatti più difficoltà nel rispettarle. Imparare a utilizzare i devices e a farne un uso corretto insieme può essere un’ulteriore occasione di avvicinamento. I bambini e i ragazzi sanno usare la tecnologia molto meglio di noi adulti; i genitori possono cogliere l’occasione per ascoltarli e per farsi raccontare qualcosa di più sul loro modo di approcciarsi a tali mezzi. Allo stesso tempo i genitori possono cogliere l’occasione per approfondire i temi riguardanti pericoli e opportunità che la rete offre. Possono approfittarne per dare inizio ad un percorso di educazione digitale che coinvolga sia loro che i loro figli.
È possibile – e se lo fosse con quali conseguenze – tenere i bambini lontani dalla tecnologia? Potrebbe essere una scelta educativa saggia?
No, non ritengo che sia possibile. In un mondo che, oggi più che mai, è permeato dalla tecnologia e dai devices multimediali non è più possibile far finta di niente. Possiamo stabilire un’età fino alla quale tenerli lontani, ma una volta che si troveranno ad interfacciarsi con i coetanei che già hanno uno smartphone personale non ci sarà scampo. Inizieranno a chiedere, a domandarsi del perché a loro sia negato, e per quanto tutti i genitori siano mossi dai più nobili propositi, i figli finiranno per sentirsi esclusi. Molto spesso, i genitori con i quali mi trovo a parlare mi presentano la situazione come se si trovassero ad un bivio: assecondare i loro figli nell’utilizzo dei devices multimediali oppure negare e continuare a rimandare? Però nessuno di questi genitori si è posto il problema se insegnare ai propri figli ad andare in bicicletta o meno: eppure, anche in bicicletta si può cadere e farsi male. Oggi gli smartphone, i tablet e i computer rappresentano le nuove “biciclette”: non possiamo non saperli usare. A mio avviso, in questo caso, la scelta educativa più utile è quella di scegliere di educarsi in prima persona al corretto utilizzo di tali mezzi e conseguentemente educare i propri figli. Abbracciare questa scelta significa non solo poter seguire più da vicino i nostri figli ed essere consapevoli e capaci di supportarli nella loro crescita digitale ma anche dar loro la possibilità di sfruttare appieno tutte le possibilità che questi devices offrono senza il rischio di incappare nelle più comuni insidie che invece nascondono.