Giuseppe Sciarra: ‘Sono un’ex vittima di bullismo che non vuole essere compatita ma cerco comprensione’
Il regista foggiano è stato vittima di bullismo quando era adolescente. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia.
Il tema del bullismo in età adolescenziale, così come quello del cyberbullismo (contrastato in Europa con una legge nata in Italia), è tanto attuale oggi così come in passato. Se ogni caso fa storia a sé e, purtroppo, alcune delle vittime hanno scelto la strada estrema del suicidio, esistono vicende di persone che, nonostante si siano trovate ad attraversare l’inferno, sono riuscite a liberarsi da queste situazioni, costruendosi una vita felice.
È il caso del regista foggiano Giuseppe Sciarra, classe 1983, che nel 2021 ha anche realizzato un cortometraggio dal titolo “Ikos” per raccontare le violenze subite dai bulli quando era piccolo. Lo abbiamo contattato per farci raccontare la sua storia.
Buongiorno Giuseppe, innanzitutto come stai? Oggi sei, fra le tue molte attività, un regista che vive e lavora felicemente a Roma. A partire dall’età di otto anni, quando abitavi nella provincia di Foggia, sei però stato vittima di pesanti atti di bullismo da parte dei tuoi coetanei. Episodi che ti hanno segnato profondamente. Vorrei però fare un ulteriore passo indietro. Che bambino era Giuseppe prima di precipitare in un vero e proprio inferno? Che ricordi hai della tua primissima parte di infanzia?
Sto bene, sto molto bene. Io ho avuto un’infanzia molto felice. Sono l’ultimo di tre figlie femmine e devo dire che questa cosa mi ha fatto sentire un po’ un privilegiato, vivendo in una sorta di gineceo dove c’erano tutte queste donne e dove anche mio padre era molto affettuoso nei miei confronti. Forse vivere in questa sorta di Eden, in un luogo idilliaco, è stato il problema, in un certo senso, perché non ero pronto alla realtà che mi aspettava fuori. Va detto che il luogo in cui ho vissuto da bambino, in provincia di Foggia, è un paese un po’ particolare. All’epoca, negli anni ‘90, c’era un bel po’ di delinquenza e c’era anche tanta ignoranza. Se parlavi in italiano, se eri educato, se non facevi a botte, se non eri rude o non giocavi a calcio eri “frocio” o comunque eri un fesso, eri una persona non in grado di difendersi, una persona a cui si poteva fare di tutto. Ritornando alla famiglia quindi io sono stato, in buona fede, iperprotetto e ho vissuto in un ambiente in cui sono stato amato, credendo che la realtà fosse quella di casa mia.
Arriviamo al primo episodio di bullismo che subisci. Lo hai raccontato anche nel tuo cortometraggio “Ikos”, che mostra la tua storia di vittima, ti va di parlarci qua come andarono le cose?
Guarda, in realtà ti devo fare una confessione riguardo il primo episodio. Quello che credo che sia il primo episodio non è detto che lo sia perché ti giuro che me ne sono successe talmente tante che a volte faccio fatica a capire quando è cominciato tutto. A volte credo che sia iniziata a scuola con quel ragazzo che mi ha strattonato senza motivo per le scale, per poi darmi del “frocio”, a volte penso che la prima volta sia stata a catechismo o per strada, perché sono successe talmente tante cose che è difficile stabilire quale sia stato il primo episodio.
Nel corto ho messo quello ma il corto è la punta dell’iceberg di tutto quello che mi è successo e ci potrei fare un libro o un film su tutta la mia vicenda.
Venendo a quel primo episodio mi ricordo che stavo tornando da scuola e c’era questo ragazzo di un’altra classe che mi aveva già preso di mira per una cazzata. Il giorno prima mi mancava una penna per fare un compito e la maestra mi mandò a prenderla in un’altra classe. Un ragazzino fu costretta a darmela e il giorno dopo, quando mi vide, iniziò a dirmi che per colpa mia era stato rimproverato dalla maestra, mi dette del “frocio” e mi disse che era scoppiato a ridere appena mi aveva visto per come mi muovevo, per come camminavo e per come parlavo. Iniziò a strattonarmi davanti a tutti e, appena arrivati nel cortile, a prendermi in giro pesantemente con io che non rispondevo, bloccato e senza sapere cosa fare. Non mi aspettavo una reazione così esagerata e immotivata per una penna e il fatto che nessuno dei ragazzi intervenne o disse niente mi fece sentire in difetto.Poi questo ragazzetto ha continuato a sfottermi anche in altre situazioni, addirittura una volta mi sputò addosso. Il motivo era che non mettevo le mani addosso, che ero educato.
A un certo punto c’è un cambio di città che sembra rappresentare la salvezza, la speranza di una nuova vita. Invece ancora una volta finisci vittima di un vero e proprio incubo, ancora vittima dei bulli che continuano a darti del “frocio”. Ci racconti come andarono le cose?
Faccio un passo a ritroso. Io non capivo perché venivo preso in giro. Un giorno un ragazzetto mi disse che venivo preso in giro perché avevo alcune movenze effeminate, giravo la testa in un certo modo e avevo certi tipi di atteggiamenti.Vivendo in una famiglia di sole donne era quello l’unico esempio che avevo, era l’unico modello che mi arrivava e quindi cercai di modificarmi, di fare un lavoro su me stesso, anche molto duro, cercando di togliermi questi atteggiamenti, studiano il modo in cui si muovevano gli altri ragazzini proprio per evitare di essere sfottuto. Il trasferimento a Foggia nel 1997, quando avevo 14 anni, era diventata un’occasione per rifarmi una vita, per averne una come quella dei miei coetani che mi avevano messo nelle condizioni di essere un reietto.
Un giorno conobbi una ragazza che mi presentò la comitiva che frequentava ma questi iniziarono a sfottermi e a darmi del “frocio”, dell’omosessuale. Fu uno shock e andai in crisi in seguito a questo episodio che fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Decisi quindi di ammazzarmi perché non ce la facevo più, perché quando subisci bullismo a quei livelli è come se tu diventassi il capro espiatorio di altre persone, una sorta di ricettacolo della loro rabbia, della loro nevrosi, della loro follia. Io di base sono una persona molto solare ma mi avevano talmente incupito, talmente esasperato con violenze verbali, fisiche e umiliazioni che non ce la facevo più. Presi delle pillole a caso, una decina all’incirca, ma mia sorella mi vide, chiedendomi cosa stessi facendo. Lei chiamò mia madre e mi portarono di corsa all’ospedale dove mi fecero una lavanda gastrica. Come disse il dottore a mia madre mi salvai per una questione di minuti.
Come e quando sei riuscito ad uscire definitivamente dall’incubo del bullismo?
A 16 anni tentai una seconda volta il suicidio ma proprio a quell’età uscii da questo incubo perché cominciai anche io a mettere le mani addosso ai miei coetanei, a rendermi anche più mascolino per difendermi, sostanzialmente a parlare il loro linguaggio. Dentro di me c’era però il caos più totale perché non sapevo chi ero e avevo completamente demonizzato l’altro Giuseppe. Per anni non ho più visto video di quando ero piccolo perché nella mia visione ero effeminato e la cosa mi irritava. Come avrai visto non c’era nulla di strano nei miei comportamenti, quindi questa è stata una cosa anche ingigantita. Ero semplicemente molto dolce e molto posato. Oggi anche con la mia parte femminile io sono pacificato e non ho alcun tipo di problema con chi è effeminato e nemmeno con la mia effeminatezza. Magari a volte capita che mi vengono degli atteggiamenti che sono femminili e non dico più ‘Cazzo, cosa ho fatto?’ ma ‘Questo sono io, chi se ne frega’.
Rispetto a quelle situazioni ti definisci un “miracolato”, un “sopravvissuto” e in debito con il destino. Rappresenti però un esempio che si può andare oltre gli atti di bullismo, anche estremamente violenti, e costruirsi una vita serena e piena di soddisfazioni. Cosa ti senti di dire a chi oggi è vittima di bullismo?
Questa è una domanda tanto semplice quanto complicata. Io mi sentirei di dire a questi ragazzi di non credere a quello che gli dicono i bulli, di non interiorizzare le loro parole, perché io ci credevo, credevo di essere in difetto, e per questo per tanto tempo non ho parlato ai miei genitori. Se avessi raccontato a mio padre di quello che succedeva sarebbe sicuramente intervenuto, invece facevo finta di nulla e quando tornavo a casa recitavo un copione, mi fingevo felice, però dentro avevo l’inferno per quello che mi accadeva fuori. Dico poi a questi ragazzi di cercare una persona adulta, di cui fidarsi, per parlare di quanto avviene, anche se non sempre si trovano insegnanti di riferimento o genitori all’altezza, alcuni dei quali arrivano addirittura ad attaccare e colpevolizzare i propri figli che non sarebbero in grado di difendersi. A questi ultimi ragazzi non so veramente cosa dire se non di cercare disperatamente qualcuno, un amico o qualcun’altro, che li possa mettere in contatto con una figura che gli dia una mano. Posso dirti un’ultima cosa…
Certamente
All’inizio mi hai chiesto come sto e questo è molto importante. Guarda, io ho deciso di fare questo corto perché sto bene. Io mi sento una ex vittima di bullismo, non mi sento una vittima, e quello che cerco con questo corto non è commiserazione ma empatia, comprensione della storia. Come tu ben sai viviamo nell’epoca della spettacolarizzazione del dolore o della commiserazione, con gli unici fini di fare spettacolo o di attirare l’attenzione su di sé, nel bene o nel male. Io voglio semplicemente comprensione, non compassione, perché non sono io quello che deve essere compatito in questa storia. Ti volevo dire questa cosa perché è molto importante.