Il diverso è una “meravigliosa unicità”: la storia di Chantal Pistelli McClelland

Nata con una aplasia al piede destro, convive con una protesi personalizzata da un artista e tra surf, trekking, snowboard e passerelle ha anche fondato un’associazione

In un momento storico come questo fatto di incertezze e difficoltà, ma anche di riflessione, introspezione e revisione (a volte forzata) dell’ordine delle proprie priorità, la storia di Chantal Pistelli McClelland offre spunti di riflessione importanti e tocca le corde più sensibili del cuore. Perché è una storia di forza di volontà e riscatto, di accettazione di sé e della sorte, che a volte può essere avversa. “Penso – ha dichiarato in un’intervista – che guardare cosa non si può fare non porti a niente, guardare cosa si può fare con quello che abbiamo porta a grandi soddisfazioni”. Sta a noi, quindi, decidere come reagire di fronte a ciò che la vita ci riserva. E Chantal ha deciso di farne… un’opera d’arte unica!

Protagonisti: chi è Chantal Pistelli McClelland

Giovane donna poco più che trentenne, Chantal è italo-americana, fa la modella e si nutre di sport ad alti livelli: dal trekking allo snowboard, passando per il surf, la sua grande passione, praticato a livello agonistico. Fin qui tutto regolare, se non fosse che Chantal è nata con una aplasia al piede che l’ha costretta a (con)vivere con una protesi. È lei stessa in un’intervista rilasciata a lavocedinewyork.com, a raccontare il non sempre facile rapporto con la disabilità: Nei primi anni di età – ricorda – non mi ha comportato alcun disagio: un bambino non conosce la “normalità”, perciò per me era perfettamente normale avere un piede solo, mi ricordo che guardavo mia sorella con curiosità quasi a chiedermi se non fosse strana lei ad averne due. Durante gli anni scolastici iniziai a percepire la mia situazione come una disabilità perché iniziai a vederla negli occhi degli altri”. “Da quel momento – continua – cominciò un lungo periodo nel quale la mia disabilità si trasformò in un peso, mi precedeva ovunque andassi, ero giudicata solo e soltanto per la mia condizione fisica e isolata come fosse contagiosa”. La commiserazione che leggeva negli occhi degli altri, l’insicurezza che conseguentemente comparve e l’adolescenza, già di per sé età abbastanza delicata, portarono ben presto Chantal alla depressione e a disturbi alimentari. Poi, la svolta. Satura del giudizio negativo esterno – racconta – mi rinchiusi in casa. Ci rimasi più di un anno fin quando non capii che quella soluzione non era un rifugio al sicuro dal mondo, ma un modo per non affrontare i miei demoni e così decisi, un giorno qualunque, di comprare online un biglietto per Parigi e di partire da sola. Prendere un po’ le distanze, iniziare a conoscermi lontana da influenze esterne fu il primo passo che mi ha portato a un reale cambiamento. Il secondo è stato, al mio ritorno, iniziare una terapia. Questa prevedeva degli incontri con psicologa, psichiatra e dietista, quest’ultima contribuì a farmi uscire dal guscio proponendomi di portare a spasso la sua cagnolina, Lucy. Uscivo di casa solo per andare a prenderla e portarla al parco, io e lei lontano da tutto. Giorno dopo giorno ho ripreso in mano la mia vita, grazie a una cagnolina e alla profonda determinazione di non voler più far condizionare la mia vita dal giudizio esterno”.

La svolta e l’impegno sociale

Forte di questa nuova consapevolezza, inizia la seconda parte della vita di Chantal, riassumibile nell’espressione “meravigliosa unicità”, con cui si intende proprio l’handicap fisico, visto non più come invalidità o difetto ma come tratto distintivo. Nasce, con questo spirito, l’impegno concreto di Chantal che fonda, a Pisa, Unique (appunto!) APS (Associazione di Promozione Sociale) che si avvale di teatro, radio, musica, performance, scrittura, pittura, arte digitale, esposizioni, mostre, laboratori, moda per veicolare messaggi di accettazione di sé e della propria disabilità, ma che è anche un omaggio a tutte quelle persone che vivono con passione e gratitudine e che non si lasciano ostacolare da una caratteristica fisica. “L’arte – spiega direttamente Chantal nell’intervista a lavocedinewyork.comcontribuisce a osservare le cose da varie prospettive e punti di vista e noi crediamo fermamente che questo possa aiutare a far aprire le menti e a vedere ciò che prima sembrava “diverso”, una meravigliosa unicità per il modo di essere nella sua interezza. Vogliamo abbattere le etichette e gli stereotipi presenti in molti ambiti, questi portano la persona a non sentirsi adeguata perché non corrisponde a dei canoni estetici creati a tavolino”. Non a caso “nessuno è come te, questo è il tuo potere!”, è proprio il motto dell’Associazione.

Protesi d’autore

E per rendere ancora più unica la propria unicità – d’altronde, come lei stessa ha dichiarato: “la mia protesi fa parte di me, ci conosciamo da tutta la vita e ho imparato a volerle bene – Chantal ha deciso di personalizzare il proprio arto artificiale. Seppur, infatti, esistano in commercio cover per protesi, la particolare conformazione del moncone di Chantal non le ha permesso di poterle utilizzare. E così ha contattato Francesco Spanò, un amico artista, che ha realizzato per lei veri e propri oggetti d’arte. Lui aveva una vena creativa incredibile, un genio – racconta in un’intervista rilasciata a iltelegrafolivorno.it – Così gli ho chiesto se avesse avuto piacere di ‘decorare’ le mie protesi, quasi come si fa con un tatuaggio. Ho indicato i miei gusti, lui li ha resi realtà. Per la protesi ‘da tutti i giorni’, ovvero bassa, ho scelto un tema animalier con la presenza di lupi nelle tonalità del blu. Quella per lo sport invece ha il tema dell’acqua, mentre quella più elegante e preziosa è un tacco 10 decorato con foglie d’oro e un dipinto di Gustav Klimt». «Ci vestiamo per comunicare la nostra identità – conclude – e ancora troppo spesso i gusti vanno ‘contro’ le diversità. Quello che vorrei dimostrare è che anche una protesi da semplice ausilio per camminare può diventare un pezzo unico, come lo è in fondo ciascuno di noi. Quando l’ho indossata a Pitti Immagine o in giro per Milano le persone mi fermavano stupite: è questo anche un modo per annullare il concetto di disabilità».

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