Le app anti-Covid nel mondo per tracciare i positivi al virus
Dall’app italiana Immuni alle estreme soluzioni della Cina
La diffusione del virus Sars-Cov-2 ha messo a dura prova i sistemi sanitari di tutto il mondo, mandando in tilt i reparti di terapia intensiva e portandosi via la vita di centinaia di migliaia di persone. Dopo una situazione iniziale di estrema emergenza, dove la priorità è stata ovunque salvare chi combatteva contro i sintomi del Covid-19, la maggior parte dei Paesi si è presto resa conto che, per allentare la pressione sugli ospedali, era fondamentale contenere il più possibile i contagi.
Tra le prime a studiare una soluzione per controllare la diffusione di nuovi casi ci sono state le realtà orientali, come Cina, Corea del Sud e Singapore, che hanno sfruttato la tecnologia attraverso il lancio di alcune app che tracciavano persone positive e in quarantena. Ben presto, anche altri Stati, compresi quelli europei, hanno iniziato a pensare a sistemi simili. Adesso anche l’Italia sta per lanciare la sua app anti-Covid, in vista della cosiddetta fase 2, dove le persone potranno spostarsi più liberamente.
Dalle misure più invasive di Paesi come Cina e Corea del Sud, fino alle app da utilizzare volontariamente scelte da Singapore e Australia, ecco alcune delle soluzioni tecnologiche adottate nel mondo per tenere sotto controllo i contagi da Sars-Cov-2.
Italia: l’app Immuni che uscirà entro maggio
Siamo a un passo dall’ingresso nel cuore della fase 2, quella in cui riapriranno ulteriori esercizi commerciali e aumenteranno gli spostamenti, dunque anche quella in cui il rischio di contagio sarà maggiore. Per questo, anche il governo italiano ha adottato la scelta di diffondere un’app per smartphone: si chiamerà Immuni, non sarà obbligatoria e i dati raccolti non saranno centralizzati. Il suo funzionamento si basa sulla tecnologia Bluetooth, che indicherà se si è entrati in contatto con un positivo, ma senza geolocalizzarci. Sul dispositivo sul quale l’app è stata installata arriverà una notifica nel caso ci sia stata una permanenza, per più di 15 minuti e a meno di 2 metri di distanza, con un individuo affetto da Covid-19. Da lì, sarà l’utente informato a dare comunicazione all’autorità sanitaria.
Germania: dietrofront sulla centralizzazione
La Germania si sta avviando al lancio della sua app dopo aver scelto di adottare una linea per certi versi simile a quella italiana. Contrariamente a una fase iniziale, infatti, adesso anche i Tedeschi hanno visto nella tecnologia DP-3T la soluzione migliore: significa che i dati saranno decentralizzati, dunque con una garanzia di tutela della privacy maggiore rispetto al sistema PEPP-PT. Ha contribuito a sostenere questa linea il suggerimento dato da Apple e Google, che si sono dichiarati disponibili a implementare i propri sistemi operativi per farli interagire tra loro con meno limitazioni di quelle che esistono attualmente.
Polonia: l’app che ti obbliga a scattare selfie
Rimanendo in Europa, c’è da segnalare il caso della Polonia, che ha messo in circolazione l’app Kwarantanna Domova, “quarantena domestica”. Ben più invasiva della nostrana app Immuni, l’app polacca crea in automatico un account ai cittadini sospetti, come quelli che hanno fatto ritorno dall’estero recentemente. Dal primo utilizzo, il programma periodicamente richiede un selfie all’utente per dimostrare che si trovi realmente in casa, pena l’arrivo pressoché immediato della polizia e una spiacevole e salata multa.
Australia: al sicuro (ma non troppo) con Covid-Safe
L’app Covid-Safe adottata dall’Australia ha molto in comune con l’app Immuni, a partire dalla non obbligatorietà. Come si legge sul sito del Ministero della Salute australiano, però, il download è caldamente raccomandato per proteggere se stessi e i propri cari: “più australiani la utilizzeranno, prima troveremo il virus” si legge nella descrizione a cura dell’organo governativo.
L’app richiede di fornire il proprio nome, numero di telefono, città e fascia di età, ma il codice identificativo creato sarà univoco e criptato. Proprio come Immuni, attraverso il Bluetooth Covid-Safe potrà notificare l’utente in caso di contatto ravvicinato con un positivo, anche in questo caso senza memorizzarne la localizzazione.
C’è solo un “piccolo” problema: l’app su iOS non funziona in background, quindi il cittadino che la scarica deve ricordarsi frequentemente di aprirla per farla funzionare. Per fortuna è stata prevista una notifica quotidiana che ricorda all’utente di tenere l’app attiva durante le attività di tutti i giorni.
Singapore: Trace Together coinvolge la popolazione senza obblighi
A Singapore da metà marzo per il contact tracing si usa Trace Together, l’app realizzata dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Governativa della Tecnologia. Nessun obbligo per i cittadini singaporiani, perché l’app si basa su un approccio community driven, che implica quindi il coinvolgimento della popolazione.
Trace Together fa comunicare i dispositivi tramite Bluetooth, questa tecnologia che stanno adottando molti Paesi in lotta contro il coronavirus. Viene specificato che i dati non saranno conservati sullo smartphone per più di 21 giorni.
Corea del Sud: un mix efficace ma più invasivo
Il modello della Corea del Sud è stato decantato come eccellente esempio di contenimento di contagi. Memore della terribile esperienza con la Mers, la Corea del Sud ha effettuato nel minor tempo possibile un alto numero di tamponi, in una percentuale rispetto al totale della popolazione che è tra le più alte.
Non meno importante, però, è stato il contributo dato dalla tecnologia e da controlli ben più invasivi di quelli in programma dalle nostre parti. L’app Corona 100 è stato lo strumento principale in Corea del Sud, che in questo caso centralizzava le informazioni e raccoglieva gli spostamenti grazie al GPS degli smartphone: la notifica arrivava in caso di contatto con un positivo nel raggio di 100 metri. In aggiunta, non sono mancati controlli ulteriori da parte delle autorità, che hanno sfruttato i filmati delle telecamere di sorveglianza e il tracciamento degli acquisti effettuati tramite carta di credito.
Cina: i dati arrivano da app per chat e pagamenti elettronici
La Cina ha messo in piedi un sistema ben più articolato rispetto al resto del mondo, utilizzando più strumenti che aveva a disposizione e sfruttando le app che la popolazione aveva già installato sui propri devices, senza dover porre obblighi a scaricarne. Il nome del sistema è stato chiamato Health Code, un software che è stato integrato a due applicazioni molto usate dai cittadini cinesi: AliPay e WeChat.
Con queste due app in Cina si può fare praticamente tutto: con Alipay si effettuano pagamenti elettronici, che corrispondono alla quasi totalità degli acquisti effettuati, mentre WeChat è di base un’app di messaggistica come il nostro WhatsApp, ma con molte più funzionalità integrabili. In questo modo, qualsiasi acquisto o attività effettuati con queste app sono diventati potenziali indizi per ricostruire la catena del contagio. Con Alipay e WeChat, infatti, i cinesi acquistano biglietti dell’autobus, prenotano viaggi o fissano visite mediche (oltre a tanto altro).
In base ai propri spostamenti e contatti, il sistema Health Code assegna un QR Code colorato in base alla pericolosità dell’utente in termini di contagiosità: verde, giallo o rosso, che determinano se si può entrare in ufficio, accedere ai mezzi pubblici o entrare in un negozio.
Come nel caso della Corea del Sud, anche la Cina non si è limitata alla tecnologia dei dispositivi personali, ma ha tenuto sotto controllo i propri cittadini con l’utilizzo aggiuntivo delle telecamere di sorveglianza.
Ogni Paese, quindi, sta cercando di trarre dalla tecnologia il meglio per poter controllare la diffusione del virus Sars-Cov-2, con sistemi più o meno invasivi. In Italia l’app Immuni dovrebbe garantire la massima privacy e potrebbe essere uno strumento fondamentale per la fase in cui ci stiamo inoltrando proprio in questi giorni.