Gli hashtag social durante l’emergenza Covid
Cosa raccontano i principali hashtag a proposito della quarantena e della pandemia? Di cosa hanno parlato gli italiani?
Marzo 2020, da un giorno all’altro l’Italia è in lockdown, da nord a sud un’unica grande zona rossa, il coronavirus chiude la popolazione tra le mura di casa, spegne le insegne dei negozi e la vita per strada. Tutti sono costretti a rinunciare agli incontri, ai contatti sociali, persino con i familiari, ma siamo appunto nel 2020 e ben presto il reale si sposta nel mondo virtuale, con un boom del tempo trascorso online, tra social network, app di messaggistica e videochiamate.
I social, in particolare, sono diventati una grande piazza per parlare di preoccupazioni, timori e dire la propria sull’emergenza sanitaria, ma quali sono state le parole più utilizzate per esprimere lo stato d’animo del momento? Possiamo scoprirlo curiosando tra gli hashtag a tema Covid-19 più utilizzati nell’ultimo periodo.
Vita online e uso dei social in quarantena
Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo scorso, gli italiani hanno riscoperto un tempo dilatato, da trascorrere in casa tra smart working, didattica a distanza e ovviamente anche tanta noia. Non sono stati i soli, però, perché molti altri Stati, prima o dopo, hanno dovuto attraversare un periodo di chiusure drastiche e le persone hanno trovato in internet un instancabile compagno di quarantena.
We are social, che analizza annualmente il mondo digital, ha persino rivisto il proprio report uscito a gennaio per capire che cosa stava cambiando nel mondo durante la pandemia. I dati, raccolti tra fine marzo e inizio aprile, ci dicono che il 74% degli intervistati ha dichiarato di aver incrementato il tempo trascorso sul proprio smartphone, in particolare, il 47% lo ha fatto passando tempo in più sui social, il 46% a utilizzare servizi di messaggistica e un buon 15% a creare e postare video, tanto che un’app come TikTok è prima in classifica per numero di download. Per certe attività, gli utenti coinvolti hanno dichiarato di passare significativamente molto più tempo online: il 35% lo ha fatto per cercare notizie, il 29% per guardare film on demand, mentre la percentuale per i social è del 23%, 24% per i servizi di messaggistica. Inoltre, è rilevante il dato secondo il quale il 15% degli intervistati crede che queste nuove abitudini saranno mantenute anche a emergenza terminata.
A tenere d’occhio il comportamento degli Italiani online ci ha pensato Blogmeter, che ha analizzato le conversazioni degli utenti sulle principali piattaforme social, cercando di capire dove si sono concentrate maggiormente. Di un totale di più di 48 milioni di conversazioni a tema coronavirus, il 51% ha avuto luogo su Facebook, specialmente per commentare news e dire la propria sulla situazione. In termini di engagement, cioè di coinvolgimento degli utenti, è stato Instagram a dominare, seguito da YouTube con un 30% delle interazioni totali. Non sono stati da meno app e programmi per videochiamare amici e amori lontani, tanto che le chiamate di gruppo con Facebook Messenger hanno subito un’impennata del 1000%, affiancato da strumenti come Zoom, Google Meet e Houseparty.
Il lato utile dei social
I social media sono ormai parte integrante della vita delle persone: non sono più solo un luogo in cui parlare del più e del meno, vedere cosa hanno mangiato gli amici per pranzo o dove sono stati in vacanza. I social, essendo così popolati, sono diventati prima di tutto un potente strumento di digital marketing e ultimamente, durante l’emergenza coronavirus, si sono rivelati anche utili per comunicare messaggi fondamentali per la salute e supportare le aziende in difficoltà per le chiusure forzate. Ecco che infatti alcune piattaforme hanno fatto uscire nuove funzionalità oppure hanno integrato messaggi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle autorità locali per informare gli utenti sul Covid-19. Non sono mancati anche contenuti utili proposti dalle organizzazioni, come quelli della Croce Rossa pubblicati sull’app per giovanissimi TikTok: qui, con dei brevi video, i volontari hanno cercato di sensibilizzare i ragazzi con consigli e raccomandazioni sulle misure per contenere il contagio.
Conversazioni sui social: quali argomenti?
Se è vero che il lockdown ha portato gli Italiani ad avere più tempo da trascorre online e in particolare sui social, è altrettanto palese che fin da subito la situazione terribile causata dal coronavirus ha dato loro argomenti di cui parlare.
L’agenzia di marketing digitale Intarget ha ascoltato il mondo social già da fine gennaio, quando si è notato un primo picco di discussione in tema coronavirus: il virus era ancora visto come una questione lontana e ciò dava alle conversazioni un tono piuttosto positivo, specialmente dopo la notizia arrivata dal team di ricerca dello Spallanzani, che era riuscito a isolarlo.
Il secondo picco è coinciso naturalmente con le vicende che hanno coinvolto il nord Italia nella seconda metà di febbraio. In questo caso, la paura ha cominciato a prendersi il suo spazio e i contenuti che trattavano della nascente emergenza sono passati dall’essere solo 15 mila a toccare quota 270 mila, per poi diventare nel tempo ben più di 2 milioni.
Vita in lockdown e stati d’animo attraverso gli hashtag
Se si vuole davvero curiosare tra i milioni di contenuti prodotti dagli utenti sulle piattaforme social più amate, si possono seguire gli hashtag utilizzati per accompagnare foto, video e parole. Si noterà come le emozioni che hanno accompagnato le varie fasi siano spesso condivise e come siano comparsi hashtag completamente nuovi legati alla salute e alla prevenzione.
Utilità degli hashtag (anche se sbagliati)
Gli hashtag sono delle etichette che si utilizzano sui social network per categorizzare i contenuti. Sono contraddistinti da un cancelletto (#) seguito da una o più parole che rappresentano un particolare argomento o un tema. Usati inizialmente solo su Twitter, hanno poi preso piede anche sugli altri social come Facebook e Instagram, dove sono spesso associati anche a contenuti visivi, quali video e foto. L’utilità sta nel riunire sotto un’unica parola chiave post simili, anche se talvolta vengono utilizzati con criteri arbitrari annullando la loro funzione primaria.
Per questo motivo, quando su Twitter sono comparsi hashtag come #coronavirius o #coronarovirus qualcuno può aver pensato a un errore di qualche utente frettoloso. La verità, però, sta nel funzionamento dell’algoritmo del social network dei cinguettii: è improbabile, infatti, che così tanti iscritti abbiano sbagliato a digitare la parola, mentre è molto più plausibile che questi hashtag sbagliati siano stati necessari. Twitter, infatti, mette in tendenza gli hashtag popolari in un determinato momento, senza considerare il volume totale. Se però un tema rimane popolare per giorni, come è accaduto per un avvenimento così impattante come la diffusione del virus, ecco che diventa necessario sostituire la parola che segue il cancelletto con una che sia molto simile: in questo modo, anche se con qualche fastidioso refuso, il tema rimane il trend topic del momento. Altro discorso è ciò che sta accadendo in questi giorni soprattutto su Instagram, quando gli esercizi commerciali riaprono e assicurano ai clienti che i propri locali hanno subito una #santificazione: qui probabilmente c’è lo zampino di un correttore automatico eccessivamente diligente.
Fase 1, quando l’unione fa la forza
Hashtag universali come #coronavirus, #covid-19, #pandemia, #pandemia2020, insieme a #coronavirusitalia, hanno accompagnato ogni momento della pandemia, sono stati i primi a comparire e tuttora sono protagonisti di molti post sul tema. A questo filo costante si sono intrecciati però hashtag che hanno seguito gli up e i down degli stati d’animo che gli italiani hanno affrontato in quarantena.
In una prima fase, nonostante i legittimi timori per il #lockdown (o per dirla all’italiana, per la #quarantena), il sentiment era positivo, il senso di responsabilità era forte e in tanti comprendevano l’importanza delle proprie azioni, citando anche la necessità dell’#autocertificazione. Rari sono stati i post non accompagnati dall’hashtag #iorestoacasa, che oltre a essere un dato di fatto era un invito a chi leggeva a fare altrettanto: un’analisi di Blogmeter ha contato #iorestoacasa ben 131 mila volte tra l’8 e il l’11 marzo, tanto che ha poi superato #coronavirus, fermo a 92 mila. Ben presto, con il dilagare della malattia, lo slogan si è poi fatto più internazionale, con lo spagnolo #yomequedoencasa o il mondiale #stayathome.
Nei primi tempi hanno dominato hashtag per farsi forza e per incoraggiarsi, da un grande classico come #andràtuttobene, al #restiamouniti, passando per il determinato #quarantenanontitemo. In questo momento è comparso anche qualche hashtag utile a diffondere messaggi, come quello sull’importanza di continuare a effettuare donazioni di sangue, attraverso #escosoloperdonare.
È qui che si sono scatenati i novelli panettieri, che quando non avevano le mani in pasta, pubblicavano foto di piatti più o meno riusciti. La cucina è stata la prima consolazione degli italiani in quarantena e a proposito l’Osservatorio di Blogmeter ha individuato gli hashtag più usati. Tra il 12 e il 15 marzo #food e #foodporn nei post nazionali hanno toccato quota 5 mila contenuti, seguiti da hashtag come #iocucinoacasa e #iorestoacasaecucino, spinti anche da challenge promosse da personaggi famosi e chef rinomati. Non sono mancate creazioni originali come #bakecorona, #confinementcooking, #coronafood, #kitchenquarantine, #quarantinebaking e #quarantinecooking. Tutti questi carboidrati hanno spinto poco dopo a improvvisare palestre e sale yoga in casa, con allenamenti di gruppo virtuale e selfie a suon di #homeworkout, #workoutathome e #iomiallenoacasa.
A quarantena inoltrata, tra scoramento e sfiducia
Giorno dopo giorno, i cantanti dell’ultima ora sui balconi hanno placato le proprie ugole, la distanza dai propri cari (e dagli aperitivi) si è fatta sempre più sentire, i malumori sono cominciati a crescere, è salita la preoccupazione e soprattutto l’insofferenza per la situazione. Ecco che sono comparsi meno entusiasti #vogliouscire, #fatemiuscire, #noncelafacciopiù, #esaurimento e il positivo #andràtuttobene si è trasformato in un più dubbioso #speriamobene.
Per fortuna, fuori il mondo non si è completamente fermato e se un po’ di ristoro è cominciato ad arrivare dalla #consegnaadomicilio attivata anche da piccole realtà locali, tanti erano anche i moniti di chi continuava a lottare contro il Covid-19: vari gli hashtag proposti dal personale sanitario che ha proseguito instancabile al grido di #iorestoincorsia e #noicisiamo, ma ricordando alla popolazione di stare attenta con #turestaacasa o #voirestateacasa.
Verso la fase 2, con speranze ritrovate e responsabilità
L’ingresso nella fase 2 è stato graduale: una prima apertura ha coinvolto quelli che ormai conosciamo come congiunti, termine il cui volume di ricerca su Google ha avuto nei giorni prima del 4 maggio un picco inevitabile.
Ai primi incontri sono seguite le prime foto con gli affetti ritrovati, tutte etichettate con #congiunti, #4maggio e il discusso #affettostabile. Man mano che anche gli esercizi commerciali hanno potuto rialzare la propria serranda, la ritrovata normalità (o quasi) è stata celebrata con un liberatorio #finalmente, accompagnato da parole come #libertà e #normalità, #nuovoinizio e #ricominciamo. Molti sono stati quelli che hanno continuato a invitare i follower a fare attenzione a non vanificare tutti gli sforzi fatti, raccomandando #prudenza, #responsabilità e ricordando la regola basilare del #distanziamentosociale.
Le parole della prevenzione e della sicurezza
Al di là delle personali emozioni altalenanti causate dal lockdown, gli hashtag hanno raccontato anche l’aspetto più strettamente sanitario dell’emergenza coronavirus, tra descrizioni di prodotti utili alla prevenzione fino alle misure messe in atto da negozi e strutture ricettive che si apprestano ora alla riapertura.
Mentre, infatti, gli infermieri dicevano a gran voce #noicisiamo, c’erano anche i farmacisti e coloro che fuori dalle case continuavano a fare il proprio lavoro. Alcuni, già consapevoli delle potenzialità dei social, hanno adattato i loro post alla situazione, altri sono sbarcati in questo periodo su queste piattaforme, sperimentando le molteplici funzionalità che possono avere.
Pizzerie, ristoranti, ma anche negozi di alimentari si sono attrezzati dal niente per la #consegnaadomicilio e il #delivery, portando la #spesaacasa (o la #spesaadomicilio). Chi ha potuto mantenere aperto, ha fin da subito spiegato ai propri clienti che alcune attenzioni erano necessarie, nonostante tutte le loro precauzioni. Raccomandavano infatti, con gli hashtag, di seguire le #regole per fare una spesa in #sicurezza. Anche adesso, momento in cui pure le strutture ricettive, insieme ai ristoranti, si apprestano ad accogliere gli ospiti, impazzano gli hashtag per dire #siamopronti, ma vogliono al tempo stesso rassicurare su #pulizie, #sanificazione, garanzie di #distanziamentosociale.
Seguendo la tendenza abbracciata anche dalle farmacie locali e dagli e-commerce farmaceutici, sono comparsi hashtag che in un altro momento probabilmente non avremmo neppure immaginato. Che dire, per esempio, di #amuchina, che a oggi su Instagram viaggia sui 23 mila post? Tra gli altri dispositivi utili sono citati i #guanti, il #geligienizzantemani, il #pulsossimetro e adesso anche il #termomentroinfrarossi, sotto un obiettivo costante: #proteggiamoci. Naturalmente l’hashtag #mascherine spopola in ogni sua declinazione, dalle #mascherinefaidate alle più alla moda #mascherinefashion, passando per le #mascherinelavabili e le #mascherinepersonalizzate.
Post più istituzionali, spesso pubblicati da operatori sanitari, esperti o volontari in prima linea, sono invece stati accompagnati da hashtag come #ministerodellasalute, #protezionecivile, #crocerossaitaliana e persino #oms.
I social, quindi, non sono stati certo in silenzio durante la quarantena imposta dal virus SARS-CoV-2, anzi hanno fatto da amplificatore di ansie, timori, ma anche raccomandazioni, speranze e forza d’animo degli italiani. Seguire e osservare gli hashtag e l’onda che hanno disegnato in questo periodo è ascoltare il modo di affrontare un’emergenza e la vita alternativa di un Paese, incluse nuove abitudini di consumo che probabilmente si consolideranno.