Come funziona l’aborto?
Dal 1978 in Italia le donne possono esercitare il diritto all’autodeterminazione del loro corpo anche attraverso la legalizzazione dell’aborto. Ma la diffusione dell’obiezione di coscienza a volte rende difficoltoso capire come fare e a chi rivolgersi
Abortire oggi in Italia
Fra l’annullamento della storica sentenza Roe vs Wade negli Stati Uniti e la recente campagna elettorale, in Italia l’aborto resta un argomento spinoso e dibattuto.
Se da un lato gli eventi americani di qualche mese fa hanno risvegliato le coscienze di tutto il mondo, mettendoci di fronte al fatto che i diritti che diamo per acquisiti non sono immutabili, dall’altro un supposto “diritto a non abortire” viene quotidianamente strumentalizzato per fini politici.
La legge 194
Il 22 maggio 1978, dopo anni di battaglie, l’aborto viene reso legale grazie alla legge 194. Una legge che permette di interrompere una gravidanza indesiderata in sicurezza, e che ha portato con sé una maggiore diffusione e informazione sui metodi contraccettivi.
Precedentemente abortire non solo era rischioso per la salute della donna, che poteva incorrere in conseguenze molto gravi, fino alla morte, ma era anche un reato, punito con la reclusione sia per chi lo praticava che per chi lo subiva.
Oggi il dibattito ideologico e politico attorno a questo tema rimane aperto e più movimentato che mai, anche in relazione ai recenti fatti internazionali, ma cosa dice nello specifico questa legge, così combattuta e che appare oggi ancor più necessaria?
Con la legge 194 del 1978 di fatto si rende legale l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i primi 90 giorni in circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica [della donna], in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.
L’obiezione di coscienza
Non sempre però la teoria coincide con la pratica. Come abbiamo già ricordato, l’approvazione della legge 194 è il risultato di anni di lotte, e l’approvazione stessa non è stata senza compromessi: prevede infatti l’obiezione di coscienza, ovvero la possibilità per i medici e il personale sanitario di non praticare o partecipare a interventi di interruzione di gravidanza.
Questo compromesso era un modo per far passare una legge che altrimenti avrebbe faticato ancora di più a vedere la luce. Ma la legge 194 sancisce anche che le strutture ospedaliere e sanitarie preposte a questo tipo di interventi garantiscano in ogni caso l’interruzione della gravidanza.
In Italia ancora oggi l’obiezione di coscienza è una pratica molto diffusa, che si aggira intorno al 60% del personale medico preposto, con picchi che raggiungono anche il 90%. La conseguenza è che non in tutte le strutture e le regioni è di fatto possibile esercitare questo diritto.
Un dato allarmante, se si considera che alcuni medici non-obiettori lavorano in strutture che non offrono il servizio di interruzione volontaria della gravidanza.
I dati
A pochi anni dall’approvazione della legge 194, in Italia si è registrato un picco nel numero degli aborti: era il 1983 e vennero eseguite più di 240 mila interruzioni. Si stima però che prima gli aborti illegali (e rischiosi) arrivassero ad essere anche un milione l’anno.
Le cause di questo picco sono da individuare soprattutto in una mancata cultura della contraccezione; con una maggiore diffusione di questa, si è registrato un progressivo calo, fino ai numeri di oggi: nel 2020 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state poco più di 66 mila.
Questo drastico calo del 71% conferma la funzione della legge 194: permettere alle donne di autodeterminare il proprio corpo in sicurezza e diffondere una cultura della contraccezione; rendere impossibile abortire non significa infatti impedirlo, ma renderlo più rischioso.
Ma quali sono i passi da fare per un’interruzione volontaria della gravidanza?
Cosa fare per abortire
Se una ragazza o una donna si trova a dover fronteggiare una gravidanza che per i più svariati motivi è indesiderata, potrà rivolgersi:
- al proprio medico
- al proprio ginecologo
- al consultorio della propria zona
Le verrà rilasciato un certificato che attesta lo stato di gravidanza e la volontà di interromperla; dopo sette giorni potrà recarsi presso l’ospedale o una struttura pubblica o privata convenzionata per interrompere la gravidanza.
Durante questa visita il medico illustrerà anche le possibili alternative, come il parto anonimo, fermo restando che legalmente la decisione spetta alla donna e a lei sola; il coinvolgimento di un eventuale partner, quando presente, non è obbligatorio e dipende dall’interessata.
La settimana che intercorre fra il colloquio con il medico e l’effettiva interruzione serve per riflettere e prendere una decisione definitiva. In alcuni casi particolari non è necessario aspettare: se le circostanze richiedono una maggiore urgenza, il medico lo indicherà nel certificato e si potrà procedere subito.
Se la ragazza o donna decide di optare per l’interruzione della gravidanza, deve tenere in conto che in Italia è permessa fino a 90 giorni di gravidanza, per questo è fondamentale essere abbastanza tempestivi.
Nei casi in cui il termine è regolare entro i 90 giorni e la scelta di interrompere la gravidanza è dovuta a motivi di salute, economici, sociali e familiari, si può procedere con:
- un aborto farmacologico
- un aborto chirurgico
L’aborto terapeutico
In casi particolari, ovvero quando il feto presenta condizioni patologiche rischiose per la madre, di alta mortalità o morbilità e nei casi in cui proseguire la gravidanza metterebbe a rischio le condizioni psicofisiche della madre, è possibile effettuare un’interruzione di gravidanza anche in seguito, fino circa a 22 settimane. Si parla in questo caso di aborto terapeutico.
L’aborto farmacologico
Al centro di dibattiti da sempre, consiste nel far cessare l’attività dell’embrione e nella conseguente espulsione del materiale della gravidanza con dei farmaci.
Se in molti Paesi l’aborto farmacologico è un metodo molto usato, perché sicuro e poco invasivo, in Italia ha incontrato vari ostacoli, e solo a partire dal 2005 ha iniziato ad essere utilizzato, anche se al tempo era comunque previsto un ricovero.
Dal 2009 Aifa ha approvato il commercio della Ru486, la cosiddetta pillola abortiva, anche qui fra molte critiche; la principale era che rendere “così accessibile” l’aborto avrebbe portato a un aumento di chi vi ricorreva.
Se da un lato l’aborto non andrebbe mai considerato un metodo contraccettivo d’emergenza, dall’altro non va confusa la Ru486 con la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo, oggi disponibili in farmacia senza prescrizione medica anche per le minorenni. Queste ultime infatti non provocano un aborto, ma prevengono una gravidanza.
La procedura
Tornando alla Ru486, è questo in realtà il nome di solo uno dei farmaci utilizzati. Per effettuare un aborto farmacologico:
- viene somministrata la Ru486, ovvero mifepristone, un principio attivo che comporta la cessazione dell’attività dell’embrione
- dopo 48 ore viene somministrato un altro principio attivo, la prostaglandina, che invece provoca l’espulsione dell’embrione stesso
Dal 2020 è possibile somministrarla in day hospital o anche in ambulatorio e la donna dovrà tornare per la seconda somministrazione e per un controllo dopo due o tre settimane.
La sua efficacia è molto alta, del 97%, per questo nel tempo il suo utilizzo è andato crescendo e oggi un terzo delle interruzioni di gravidanza è farmacologico.
È la donna stessa che nella maggior parte dei casi ha la facoltà di scegliere fra aborto farmacologico e chirurgico; resta fondamentale il parere del medico, che tenderà a consigliare questa metodologia soprattutto se la gravidanza è entro le 9 settimane.
L’aborto chirurgico
In alcuni casi la via dell’aborto farmacologico non è percorribile, ad esempio:
- se la gravidanza è extrauterina
- se la donna soffre di patologie genetiche o della coagulazione
- se la donna è allergica a uno dei principi attivi utilizzati
- se la donna utilizza come metodo contraccettivo la spirale (IUD)
Anche nel caso in cui la gestazione sia più avanzata di nove settimane di solito si preferisce ricorrere all’aborto chirurgico, per la maggiore sicurezza e affidabilità una volta che le dimensioni del feto sono più consistenti.
I vari tipi di intervento
L’aborto chirurgico è un intervento della durata di 5-20 minuti, effettuato in anestesia locale o generale in regime di day hospital. Ci sono varie tipologie di aborto chirurgico:
- isterosuzione: eseguibile entro le prime otto settimane di gestazione, consiste nell’inserire una cannula nell’utero; questa andrà ad aspirare embrione ed endometrio
- dilatazione e revisione della cavità uterina: si esegue fra le otto e le dodici settimane di gestazione dilatando la cervice con uno strumento apposito e inserendo una cannula che andrà ad aspirare il materiale gravidico
- dilatazione e svuotamento: si esegue se la gravidanza è oltre la dodicesima settimana, quindi nei casi di aborto terapeutico. La cervice viene dilatata, il feto rimosso e liquido amniotico e placenta aspirati
Rischi ed effetti collaterali
Benché l’interruzione di gravidanza sia una pratica sicura e non presenti grossi rischi, si tratta comunque di una procedura medica.
Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli di un aborto spontaneo (collegamento articolo L’aborto spontaneo) o di una mestruazione particolarmente dolorosa, con:
- crampi
- nausea
- vomito
- diarrea
- sanguinamento, che si protrae di solito per una settimana circa
Se gli effetti collaterali, soprattutto le perdite ematiche, sono particolarmente consistenti, rivolgersi al medico è la cosa giusta da fare.
Come abortire se si è minorenni?
Per la legge italiana l’aborto è legale a qualsiasi età; per chi è minorenne, però, la procedura, soprattutto nella fase iniziale, è un po’ diversa.
Innanzitutto serve la presenza e l’autorizzazione di entrambi i genitori o di chi ne fa le veci. Laddove ci si rivolga in autonomia a un consultorio o a un medico, sicuramente la giovane verrà invitata a parlarne con i genitori.
Ci sono però tre casi in cui la loro presenza e autorizzazione non è necessaria:
- quando l’opinione dei genitori è difforme, ovvero uno si dice d’accordo e l’altro no
- quando ci sono motivazioni forti o gravi per non coinvolgerli
- quando l’intervento medico è urgente
In questi casi viene interpellato il Tribunale dei minori, che, attraverso un giudice tutelare, prende in carico il caso e in tempistiche ridotte al minimo (di solito circa quattro giorni) potrà dare l’autorizzazione a procedere.
Un diritto in bilico?
L’aborto è da sempre al centro di dibattiti molto accesi, e l’approvazione della legge 194 non ha messo a tacere i detrattori di questa pratica. Oggi, in un quadro di generale acutizzarsi degli estremismi politici, quello all’aborto, come molti altri diritti, rischia di essere di nuovo messo in discussione.
In più, la realtà è ben lontana da ciò che prescrive la legge: basti pensare che i servizi abortivi dovrebbero essere garantiti sempre, anche in presenza di obiettori, mentre in alcune regioni è di fatto impossibile accedervi.
Infine, nel parlare di aborto non si può ignorare che dare un diritto non toglie mai la possibilità di scelta di chi non se ne vuole avvalere, mentre, senza la possibilità di abortire in modo legale, non cesserebbero gli aborti, ma solo gli aborti sicuri.