Come e perché un virus muta?

Dopo lo scompiglio creato dalla "variante inglese" del Covid19, cerchiamo di capire le leggi dell'evoluzione viste dalla prospettiva di un virus.

Il mondo vivente per evolversi deve mutare, lo abbiamo fatto noi nel corso delle centinaia di migliaia di anni per passare da scimmie confinate sugli alberi ai padroni incontrastati della savana e lo fanno anche i virus per diventare più bravi a infettare, e, ahimè, qualche volta ci riescono così bene da creare una pandemia. Vediamo di capirci qualcosa in più.

Cos’è un virus

Un virus è un parassita endocellulare obbligato, cioè un’entità biologica che ha bisogno di infettare altri organismi per riprodursi.

Sebbene tutti gli altri patogeni, ossia i batteri, i funghi e i parassiti, rientrino a pieno titolo nel mondo degli esseri viventi, per i virus non si può dire la stessa cosa con estrema facilità; la loro esistenza si basa sulla chimica degli acidi nucleici (RNA e DNA) come tutto il mondo vivente ma allo stesso tempo hanno alcune caratteristiche che li discostano ampiamente dal concetto di vita:

  • La mancanza di un metabolismo
  • La necessità inderogabile di servirsi di altre specie da infettare per riprodursi
  • L’assenza di strutture cellulari vere e proprie

Per questi motivi i virus sono da considerarsi degli organismi al confine del significato biologico di vita. Per facilitare la comprensione potremmo vederli come organismi viventi se li consideriamo nel pieno di un’infezione ai danni di un ospite e come esseri inanimati quando si trovano all’esterno, fuori dal contesto infettivo.

Che cos’è una mutazione

Nonostante molti teorici della biologia siano convinti della loro completa estraneità rispetto al concetto di vita, una caratteristica vivente di notevole importanza ai virus dobbiamo riconoscergliela: sottostanno alle leggi della teoria dell’evoluzione.

Gli organismi evolvono, questa è una delle basi delle scienze biologiche, che impariamo fin dai tempi delle medie; ma perché evolvono?

La chiave per rispondere a questa domanda risiede nella molecola fondamentale della vita, il DNA.

All’interno di ogni nostra cellula, e in quella di qualsiasi altra specie, è presente questa molecola che contiene le informazioni per portare avanti tutti i processi biologici e la sintesi di ogni molecola del corpo.

Da un punto di vista chimico, il DNA è un polimero formato da unità di base, ossia da quattro monomeri chiamati “nucleotidi”, ognuno con una formula chimica e un nome diversi: Adenina (A), Guanina (G), Timina (T), Citosina (C); questi quattro composti si alternano con una serie enorme di combinazioni all’interno della catena del DNA formando delle sequenze che sono i “geni”, ognuno dei quali gestisce la sintesi di una molecola di importanza biologica o un processo biochimico.

Il DNA grazie alla facoltà di produrre alcuni enzimi chiamati “polimerasi” riesce ad autoreplicarsi permettendo alle cellule di riprodursi e trasferire il loro materiale genetico alle generazioni successive.

Queste polimerasi però a volte commettono degli sbagli e inseriscono un nucleotide diverso nella molecola nascente di DNA, in modo che alla generazione successiva il DNA si troverà al suo interno un errore, chiamato mutazione: le mutazioni possono avvenire anche per cause esterne come l’esposizione ad agenti chimici mutageni, o a forti radiazioni, oltre che per errori nel numero dei cromosomi.

Il nuovo nucleotide introdotto con la mutazione potrebbe creare un gene nuovo, magari renderlo difettoso e interferire gravemente con un processo biologico: in questo caso l’organismo colpito da mutazione perirà prima che possa passare alla generazione successiva questa nuova versione del gene.

Se l’errore introdotto, invece, migliorasse il gene, questo potrebbe portare a un vantaggio nei confronti dell’organismo in questione che potrà giovarsi, ad esempio, di una colonna vertebrale a S così che possa ergersi sugli arti inferiori e dominare la savana africana sfuggendo dai predatori, vivendo più a lungo dei suoi simili che non hanno sviluppato la mutazione e lasciando verosimilmente un numero più alto di eredi che qualche centinaio di migliaia di anni più tardi fabbricheranno utensili per cacciare. Oppure, se volessimo vedere la questione dal punto di vista del virus, un gene nuovo potrebbe permettergli di vivere in ospiti diversi, così da abbandonare la monotonia di una vita all’interno dei pipistrelli e dirigersi verso i sapiens, che vivono in gruppi sociali immensi chiamati “città” straordinariamente inclini alla genesi di una succulenta epidemia globale.

Le mutazioni quindi, se rapportate all’enormità dei tempi evolutivi, sono la sorgente dei cambiamenti che permettono alle specie di adeguarsi all’ambiente e migliorarsi.

Come muta un virus?

Un virus muta alla stessa maniera con cui mutano gli altri esseri viventi; quando infetta le cellule dell’ospite utilizza i macchinari molecolari stessi della cellula, che con una certa probabilità introducono mutazioni: queste potrebbero essere svantaggiose e quindi non portare nessun beneficio alla capacità di sopravvivere del virus, oppure vantaggiose e quindi dare origine a virus più contagiosi, o più violenti (ecco perché c’è stato così tanto “rumore” relativamente alla variante inglese del Covid19).

In microbiologia, quando una mutazione o un set di mutazioni hanno molto successo e si diffondono nella popolazione danno origine a delle varianti della specie, chiamate “ceppi”.

La cosa importante da sottolineare è che un microrganismo ha tempi riproduttivi estremamente brevi con una “prole” numerosissima, vale a dire che in tempi ristretti è capace di lasciare un numero enorme di copie di se stesso: durante una grossa epidemia il virus si replica talmente tanto da riuscire a selezionare delle mutazioni vantaggiose in tempi brevi, a volte sfuggendo a eventuali piani di vaccinazione.

Le principali dinamiche in sui si risolvono i meccanismi di mutazione virale sono due:

  • Antigenic Drift: questo è il meccanismo principale di comparsa di mutazioni, che è caratterizzato dalla comparsa di errori nella duplicazione del DNA virale all’interno delle cellule infettate producendo la fissazione di geni modificati.

Con questa strategia il virus potrebbe sviluppare nuovi antigeni sulla sua superficie e quindi eludere più facilmente il sistema immunitario dell’ospite, oppure dotarsi di nuovi sistemi di sintesi ancora più imprecisi che innalzerebbero il suo tasso di mutagenicità.

  • Antigenic Shift: questo è un processo mutageno che esula un po’ dal concetto di mutazione DNA-dipendente illustrato precedentemente (la biologia non è una scienza esatta ci sono sempre delle variazioni al tema principale).

Due ceppi virali diversi co-infettano una popolazione di una specie ospite; nel corso della replicazione virale, pezzi di genoma provenienti dai due virus possono combinarsi andando a formare un nuovo virus ibrido che possiede caratteristiche dell’uno e dell’altro ceppo: questo è ciò che succede con i virus dell’influenza, che ogni anno si rinnovano a causa di potenti mix tra ceppi diversi all’interno degli ospiti secondari della malattia, che sono spesso uccelli migratori e mammiferi da allevamento come i suini.

Perché un virus muta?

Un virus evolve fondamentalmente per un motivo: migliorarsi.

Essere migliori, da un punto di vista evolutivo, significa essere più bravi a trasmettere le proprie informazioni genetiche alle generazioni successive, diventare più resistenti alle difficoltà imposte dall’ambiente circostante.

L’espansione di un patogeno all’interno di una popolazione di organismi è il primo passo verso un obiettivo più ambizioso: restare permanentemente come ospite di quella specie, di modo che questa si trasformi in un suo serbatoio. Per fare questo un virus ha bisogno di due caratteristiche, l’una l’antitesi dell’altra:  

  • Alta contagiosità: in modo che si possa diffondere efficacemente da una persona all’altra
  • Bassa mortalità: in modo che l’ospite non muoia, o quanto meno non subito, così che possa portarlo all’ospite successivo

L’alta contagiosità il virus l’acquisisce selezionando mutazioni che gli permettono di saltare da un individuo all’altro con più efficienza; il problema è che via via che passa il tempo oltre alle mutazioni che inducono il patogeno ad acquisire più contagiosità, ne possono avvenire anche altre che lo fanno diventare più violento e mortale, rendendolo sufficientemente pericoloso da uccidere migliaia di ospiti e fiaccare la catena del contagio.

Un virus quindi deve cercare di accumulare mutazioni che lo facciano diffondere più facilmente ma senza diventare troppo mortale: deve raggiungere, di fatto, un bilanciamento dinamico tra le due caratteristiche, la contagiosità e la mortalità.

Sars-Cov2, il virus del Covid-19, sembra aver raggiunto un’efficiente combinazione tra questi due parametri: pur avendo un tasso di mortalità francamente modesto in confronto ad altri virus epidemici come Ebola, il suo livello di contagiosità è enorme, e gli permette quindi di raggiungere un livello così elevato di diffusione tra la popolazione che la quota di persone con sintomi gravi risulta essere in numeri assoluti una quantità enorme, tale da saturare e indurre al collasso le reti ospedaliere delle nazioni.