Covid-19 e malattie autoimmuni
Quando la pandemia si sovrappone all’elevata fragilità di persone affette da questa condizione.
Quando si parla di malattia autoimmune (o AID, da “autoimmune disease”), purtroppo non è mai qualcosa di semplice. La difficoltà nel trattare queste condizioni, oltre a quella per un’adeguata diagnosi, rende questa categoria veramente ostica. Dal 2020 si è aggiunto anche il Covid-19, portandoci tante brutte e fastidiose novità nella nostra “tranquilla” vita. Ma quando le loro strade si incrociano, che cosa accade? Dipende da che aspetto si osserva, di cui discuteremo di seguito.
AID e infezione virale
Cos’è che hanno in comune? L’impatto sul sistema immunitario.
L’eziologia autoimmune è propria di alcune malattie ben note:
- diabete mellito di tipo 1,
- lupus eritematoso sistemico,
- artrite reumatoide,
- celiachia,
- sclerosi multipla,
- endometriosi.
In quanto AID, si genera una risposta immunitaria anomala o diretta verso l’organismo, coinvolgendo, in maniera anche grave, la parte colpita (uno o più organi). Gli anticorpi, che dovrebbero essere i nostri alleati più devoti, si rivoltano proprio contro di noi (autoanticorpi). Ci si trova in un perpetuo stato infiammatorio. Questo rende il quadro clinico del paziente molto complesso, e si cerca o di non stimolare una reazione avversa oppure di limitarla il più possibile, una volta diagnosticata.
I virus, dal canto loro, gioiscono nel trovare un sistema immunitario compromesso. Sin dalla fase di insediamento, per poi cercare di scamparla il più possibile. In questo caso, gli anticorpi sono chiamati a gran voce, deputati all’eliminazione. Le vaccinazioni servono, di fatto, a crearli appositamente, mentre la terapia con anticorpi monoclonali sfrutta la loro selettività per mirare bersagli specifici.
Però, l’infezione da parte di SARS-CoV-2 nel Covid-19 induce un’incontrollata risposta immunitaria, provocando danni agli organi attraverso eccessiva produzione di citochine e attivazione di cellule immunitarie. Si sviluppano autoanticorpi in modo similare al caso delle AIDs. Questo fatto può essere rilevante nello sviluppo di strategie vaccinali contro il virus.
Linee incrociate
Naturalmente, avere una malattia autoimmune è considerato fattore di rischio in caso di contagio. Conduce a maggiori complicazioni e più alta mortalità. Studi recenti dichiarano che gli autoanticorpi già presenti nell’ospite sono responsabili di circa il 20% dei casi gravi o fatali di Covid-19.
Le complicazioni sono associate a disturbi nella difesa immunitaria innata:
- linfocitopenia, ovvero scarsità di uno dei tre tipi di globuli bianchi, i linfociti (in particolare T-Cell) ;
- deficit nella produzione di interferone, proteina che serve a combattere le infezioni virali;
- iper-infiammazione: si ha elevata produzione di citochine ad azione pro-infiammatoria, con risposta massiva delle altre cellule del sistema immunitario (neutrofili, basofili, eosinofili).
Tutto ciò sfocia in danni che riguardano soprattutto polmoni, cuore e reni. La degenerazione a livello polmonare porta, ad esempio, allo sviluppo di ALI (danno polmonare acuto) e ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto); per cuore o reni si può avere collasso ed arresto.
La similitudine della “tempesta” infiammatoria in Covid e autoimmuni, ha fatto propendere per la via immunosoppressiva: è questa la strada che solitamente si percorre in casi di AID. La cosa migliore sarebbe cercare di colpire bersagli specifici, per non andare ad intaccare la totalità della difesa immunitaria. Altrimenti si può incorrere in una risposta non adeguata a schermarci, né tantomeno a debellare il virus. Farmaci che inibiscono più citochine contemporaneamente rendono la cosa ancora più rischiosa. Ovviamente la diminuita difesa immunitaria favorisce anche il contagio e la diffusione del virus.
Vaccini tra immunocompromessi
Qua si crea una nicchia nella nicchia. Se, diciamo normalmente, abbiamo assistito a vari dibattiti per cercare di capire profili di sicurezza, affidabilità e benefici/rischi di ogni vaccino, una persona immunocompromessa cosa dovrebbe pensare?
In assenza di un vaccino e con scarsità di opzioni terapeutiche comprovate, misure non-farmacologiche come protezioni, isolamento dei casi, rigorosa igiene delle mani e distanziamento sociale rimangono le più valide per tutelare questa fascia di vulnerabili persone.
Tanta esitazione tra i pazienti con AID la suscita la preoccupazione che ci possano essere eventi avversi o l’aggravarsi di una situazione già compromessa.
Ma una volta interrogati i diretti interessati, emerge un dato interessante: più del 60% dei pazienti con AID mostrano la volontà di vaccinarsi. Non si ha particolare differenza con i gruppi di controllo, in salute. Un altro dato interessante è che il parere medico si dimostra determinante per la decisione presa.
La possibilità di incorrere in eventi avversi non dovrebbe comunque rappresentare una motivazione valida per non raccomandare la vaccinazione ai pazienti con AID. Questo soprattutto alla luce dei risultati che mostrano l’incrementato rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19, per questa ed altre categorie.
In virtù di ciò, i medici dovrebbero attivamente incoraggiare ad agire contro SARS-CoV-2, dal momento che si potrebbe sensibilmente ridurre diffusione e mortalità.