Keep It Real Online, splendida campagna video della Nuova Zelanda per educare genitori e figli all’uso consapevole del web
La campagna pubblicitaria salvaguarda i più piccoli ed educa i genitori sulle insidie di Internet, un modello da imitare.
Pornografia, cyberbullismo, adescamento minorile: questi i principali temi affrontati
Many young Kiwis are using porn to learn about sex
Potrebbe essere successo anche a voi nell’ultimo periodo di vedere uno spot pubblicitario un po’ inusuale, prima dell’inizio di un video di Youtube oppure durante lo scrolling di una pagina social, che vi ha incuriosito fin dalla prima inquadratura, e magari vi è rimasto anche impresso. Ci sono un uomo e una donna, nudi e pixelati sulle zone intime, che bussano alla porta di una signora, evidentemente colta alla sprovvista. Si presentano, sono Sue e Derek, un’attrice e un attore porno e conoscono il piccolo Matt, il figlio della signora, perché è solito guardare contenuti video in cui sono protagonisti: “Noi di solito facciamo questi video per gli adulti, lui è solo un bambino, potrebbe non capire come funzionano davvero le relazioni nella vita reale”. Lei fa un respiro profondo e si rivolge a Matt: “Dobbiamo parlare un po’ della differenza tra quello che vedi online e quello che succede nella realtà”. Pochi secondi dall’inizio dello spot, che dura un minuto in totale, e abbiamo già capito due cose fondamentali: è una “pubblicità progresso” e il messaggio arriva chiaro e accattivante fin da subito.
Quello appena descritto è uno dei video creati nell’ambito della campagna promozionale per Keep It Real Online, il portale online della Nuova Zelanda che raccoglie informazioni e indicazioni utili relativi allo spinoso argomento della vita online dei minorenni.
Per poter godere davvero dei benefici della Rete, sappiamo che è necessario prima di tutto avere esperienza del mondo offline, capire dove siano i limiti tra l’uno e l’altro, e in secondo luogo avere una vera e propria “educazione all’online”: ragazzi e ragazze più giovani, per quanto immersi in un’epoca decisamente più telematica dei loro genitori, non posseggono tali competenze in modo innato e devono perciò essere guidati in un doppio percorso di crescita, offline e online.
Si scherza spesso sul fatto che i figli siano più veloci dei genitori a capire il funzionamento di una nuova tecnologia – è un dato di fatto che una mente in via di sviluppo accolga facilmente “la novità” – i genitori vorrebbero star loro dietro ma o non sanno come fare perché a loro volta non comprendono il meccanismo, o minimizzano la situazione finché non succede qualcosa di grave.
L’iniziativa neozelandese è un esempio perfetto di approccio propositivo, progressista e vincente a questo problema.
Lo spot sulla pornografia è diventato virale più degli altri – se ne parla in giornali europei, anche italiani – forse perché tratta un tema molto sentito qual è quello del “vietare Internet ai minori”; ma la campagna non si limita a questo, affronta tutti i temi più spinosi: bullismo, adescamento di minore e contenuti inappropriati o illegali.
Facciamo una rapida panoramica degli spot; per tradurre bene dall’inglese, ricordiamo che Kiwis è la parola dialettale per indicare un “neozelandese”, perciò gli young Kiwis sono i giovani e le giovani neozelandesi che ogni giorno, proprio come i coetanei nel resto del mondo, navigano in rete quasi indisturbati.
Every year, one in five young Kiwis are bullied online
Laura bussa alla porta di casa di una compagna di scuola che le rende la vita un po’ troppo difficile: “Mi chiama perdente, è iniziato tutto a scuola ma adesso è diventato virale. Lo so che ho delle abitudini un po’ inusuali per una bambina della mia età, ma ora esiste addirittura un gruppo che si chiama Noi odiamo Laura!”. Barry, padre ignaro fino a quel momento del cattivo comportamento della figlia, è invitato da una tranquilla voce fuori campo a fare un lungo respiro e contare fino a cinque, dovrà parlare con la figlia e farle capire che i suoi comportamenti online hanno un impatto nella vita reale degli altri, forse non se ne rende conto a pieno.
Lasciare commenti malevoli sotto foto altrui o diffondere video potenzialmente inopportuni sono azioni che potrebbero portare ad un disagio sociale concreto, è una forma di bullismo continua (Internet è lì, 24/24h), permanente, se non si elimina il contenuto, e difficile da tenere sotto controllo, dato che ogni giorno nascono nuove piattaforme social e quello che non succede in una potrebbe succedere in un’altra. La sezione del sito dedicata all’Online bullying (o cyberbullismo) fornisce ai genitori una guida semplice su come gestire la cosa con prontezza e consapevolezza e raccoglie link utili per intervenire perché i figli non diventino né vittime né bulli.
40% of young Kiwis have online interactions with people they’ve never met in real life
Il simpatico Albert, @albie07 su Instagram, si presenta alla madre di Sarah, una ragazza con cui da un po’ interagisce in chat ma con la quale non si è mai visto di persona. Asserisce di avere 13 anni e di essersi appena iscritto anche a TikTok, in realtà è sulla quarantina, vuole entrare in confidenza con la ragazza mentendo sulla sua identità. La mamma sa cosa sta succedendo e sa anche come procedere: “Sarah, dobbiamo fare due chiacchiere riguardo il parlare con gli sconosciuti online”.
L’adescamento di minori via Internet è un’attività molto insidiosa da intercettare, è relativamente facile costruirsi una falsa identità e lo è altrettanto aprire una conversazione con qualcuno facendo leva sui suoi interessi, condivisi volontariamente tramite i social network.
Lo spazio dedicato al Grooming (inglese per “adescamento”) di Keep It Real spiega che gli adescatori tendono a portare la conversazione su canali poco pubblici o convenzionali, così la relazione può crescere senza che nessuno se ne accorga. È necessario allora proteggere le informazioni che un minore condivide online, conoscendo quali sono le regole della privacy o del filtro famiglia e, se in dubbio, contattare gli organi istituzionali e le associazioni di riferimento.
Kids can go from safe places to scary places, in just a few clicks
Il padre di una bambina sta portando fuori la spazzatura e ha una sorta di visione: quello che la figlia guarda su Youtube, un video di coniglietti animati, si materializza davanti a lui sotto forma di due grandi pupazzi-coniglio. La bambina preme sul video successivo, consigliato dall’algoritmo dell’applicazione, che si intitola “Sparare ai conigli nel giardino” e davanti al padre si materializza un cacciatore che punta il fucile in direzione dei due pupazzi: “Ok Frank. Una piccolo problema, ma puoi risolverlo” lo incoraggia la voce fuori campo. La mamma rassicura la piccola, il padre si appresta ad attivare il filtro per minori all’applicazione, entrambi dovranno fare più attenzione a cosa guarda la figlia quando sta su Internet.
In questo caso, il tema sottolineato è quello della visione di contenuti impropri o disturbanti: non possiamo, in effetti, decidere cosa far accadere davanti ai nostri occhi oppure imporre il nostro pensiero ai contenuti web, possiamo però monitorare quest’ultima con qualche piccolo accorgimento quale l’applicazione del filtro-minori o la segnalazione tramite appositi link.
Parental control
Un aiuto fondamentale per il filtraggio dei contenuti proviene dalle funzionalità di parental control che sono ormai di norma presenti su tutti i dispositivi che hanno accesso alla rete:
- come funziona il parental control
- inserire il parental control sulla tv
- attivare il parental control su Chrome e sui principali browser
- attivare il parental control su YouTube
- applicare il parental control sugli smartphone Android
Perché “Keep It Real Online” è un esempio da imitare
Quattro video di un minuto che vanno dritti al sodo, disponibili anche nelle rispettive versioni flash da 30 secondi a seconda del canale in cui vengono riprodotti. Questa è la modalità di comunicazione che la Nuova Zelanda ha scelto per pubblicizzare Keep It Real, dando alla campagna mediatica un taglio accattivante, moderno e non semplicistico.
Tutta la costruzione dello spot nasce per catturare l’attenzione: situazioni quotidiane in cui immedesimarsi, attori credibili, una musica leggera che mette a proprio agio, claim semplici e centrati sul problema in questione; infine, la cosa più importante, l’invito a visitare il sito online al fine di risolvere una potenziale situazione pericolosa con sicurezza, non con allarmismo.
Il fattore vincente sotteso a tutta la campagna video è stato proprio quello di non puntare sull’apprensività fine a se stessa o su un invito a censura e restrizioni, bensì su un messaggio che riconosce gli eventuali limiti di un normale genitore di oggi e non lo colpevolizza ma lo aiuta a risolvere il problema: link alle istruzioni per segnalare attività sospette dei principali canali social, contatti di istituzioni e associazioni che si occupano di questi argomenti, una panoramica semplice delle diverse casistiche possibili.
La Nuova Zelanda ha capito che in questo genere di tematiche il punto non è limitare i più piccoli ma aiutare ed educare i genitori. Gli adulti, fisiologicamente, faticano a stare al passo con la tecnologia e con gli usi sbagliati che se ne possono fare, per questo le istituzioni hanno il dovere di intervenire per migliorare la conoscenza generale di queste tematiche e fornire soluzioni concrete.
Con Keep It Real, la Nuova Zelanda è riuscita a centrare quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale in tal senso: dotare i cittadini di strumenti utili ad affrontare il quotidiano nel miglior modo possibile, non limitandosi a demonizzare un problema complesso come se fosse incomprensibile, e contemporaneamente istruire su come utilizzarli.
Scorrendo un po’ la sezione “Commenti” di Youtube sotto i quattro video, leggiamo che utenti da diverse parti del mondo fanno i complimenti a questa iniziativa e si lamentano che nel loro paese non esista un corrispettivo.
Potremmo prendere esempio anche noi, svecchiare la “pubblicità progresso” e iniziare a proporre contenuti più funzionali all’epoca in cui viviamo.