La malattia di Bruce Willis: cos’è la demenza frontotemporale
Poco più di un anno fa la famiglia del celebre attore ha condiviso con il pubblico la diagnosi di demenza frontotemporale: di cosa si tratta?
Da quando l’attore Bruce Willis si è ritirato dalle scene nel 2022 in seguito alla diagnosi di afasia, la sua condizione, secondo quanto condiviso dalla sua famiglia, si è evoluta, e non per il meglio. L’afasia era infatti uno dei primi sintomi della demenza frontotemporale, diagnosticata a inizio del 2023, una condizione neurodegenerativa della quale ancora oggi non si conoscono con precisione le cause e per la quale non esiste una cura.
L’annuncio di afasia e la diagnosi di demenza frontotemporale
A marzo del 2022 fu l’ex moglie Demi Moore, con la quale Bruce Willis ha avuto tre figlie ormai adulte, a pubblicare un post su Instagram che annunciava il ritiro dell’attore dalle scene e la diagnosi di afasia.
Questa condizione colpisce il linguaggio, la capacità di parlare e di scrivere e può essere causata sia da una lesione cerebrale o un ictus, sia da una malattia neurodegenerativa, come si è scoperto essere il caso di Bruce Willis.
Neanche un anno dopo, a febbraio del 2023, è arrivata per l’attore la diagnosi vera e propria di demenza frontotemporale, della quale l’afasia era un primo sintomo. La famiglia ha ancora una volta condiviso con i fan gli aggiornamenti sulla salute del protagonista di film colossal come “Die hard” e “Armageddon”.
Nel tempo sia la ex moglie Demi Moore che la moglie attuale Emma Heming (con la quale Willis ha due figlie ancora bambine), così come le figlie maggiori, hanno raccontato l’evolversi delle condizioni di Bruce Willis, ma soprattutto l’evolversi del loro rapporto col padre e compagno.
Le loro parole, sui social ma anche durante interviste e apparizioni in programmi televisivi, sottolineano come aver cambiato le proprie aspettative per dare spazio all’amore incondizionato le abbia aiutate ad affrontare l’inevitabile dolore e senso di perdita.
Cos’è la demenza frontotemporale?
Con l’espressione demenza frontotemporale ci si riferisce a una serie di condizioni che colpiscono principalmente i lobi frontale e/o temporale, aree cerebrali responsabili del comportamento, della personalità e del linguaggio.
La demenza frontotemporale si può manifestare di conseguenza con una varietà di sintomi, in particolare:
- sintomi comportamentali, come cambiamenti nella personalità, atteggiamenti socialmente inadeguati (verbalmente o sessualmente disinibiti) o atteggiamenti emotivamente apatici
- sintomi che colpiscono il linguaggio, in particolare l’afasia, e quindi la progressiva perdita della capacità di parlare, scrivere, formulare pensieri – come è accaduto all’attore Bruce Willis, secondo quanto condiviso dalla sua famiglia
In una fase avanzata della malattia possono comparire anche sintomi motori, come scarso equilibrio, debolezza muscolare, rigidità, difficoltà nei movimenti e nella deglutizione. Questo può costringere i soggetti che soffrono di demenza frontotemporale in sedia a rotelle o a letto.
Quali sono le cause e le cure per la demenza frontotemporale?
Ad oggi non si conoscono le cause che portano allo sviluppo di questa condizione neurodegenerativa; gli studi hanno però rilevato che in circa la metà dei casi sussiste una familiarità. Per questo è possibile fare screening genetici se esistono casi di demenza frontotemporale in famiglia.
Anche sullo sviluppo di questa malattia si sa ancora molto poco – come accade anche per altri disturbi neurodegenerativi – se non che risultano livelli o tipologie anormali di alcune proteine. Inoltre, questa è la forma di demenza con un esordio più precoce, fra i 45 e i 60 anni, ed è la più comune al di sotto dei 60 anni.
Stesso discorso per le cure: non esiste ad oggi né una cura risolutiva per la demenza frontotemporale, né trattamenti specifici. In base ai sintomi viene valutato caso per caso il trattamento più adatto a gestire i sintomi e a garantire ai pazienti e alle loro famiglie una buona qualità della vita e un’assistenza adeguata.
Possono essere coinvolti neurologi, logopedisti, psichiatri e altri specialisti, che diagnosticheranno il disturbo osservando i sintomi e utilizzando strumenti diagnostici specifici, come la diagnostica per immagini per valutare i danni cerebrali.
Vista la decadenza fisica e cognitiva che caratterizza questo tipo di demenza, è importante che chi ne soffre lasci quanto prima le cosiddette indicazioni anticipate di trattamento. Per quanto sia un passaggio doloroso, permetterà ai familiari e ai caregiver di prendersi cura degli aspetti pratici secondo le sue volontà anche quando la degenerazione mentale e fisica non renderà più possibile comunicarle direttamente.
Che differenza c’è fra demenza frontotemporale e morbo di Alzheimer?
Sia la demenza frontotemporale che il morbo di Alzheimer sono condizioni neurodegenerative che colpiscono in vario modo le cellule cerebrali, portando a un decadimento mentale e fisico.
Come abbiamo visto, la demenza frontotemporale può presentarsi con una serie di sintomi che possono essere raggruppati in due tipi: alterazioni della personalità e del comportamento e perdita del linguaggio.
La prima differenza con il morbo di Alzheimer è proprio questa: nel morbo di Alzheimer, infatti, ad essere colpita è inizialmente e principalmente la memoria.
Alla base di questi diversi sintomi ci sono anche differenze neurobiologiche, in quanto la demenza frontotemporale colpisce due aree specifiche (i lobi frontale e temporale), mentre il morbo di Alzheimer riguarda più aree del cervello.
L’età di esordio della demenza frontotemporale è inoltre inferiore rispetto a quella del morbo di Alzheimer, che raramente compare prima dei 65 anni.
Anche per l’Alzheimer non esistono ad oggi cure risolutive, ma gli studi sembrano più avanti nella ricerca di nuovi farmaci e nuove cure rispetto al trattamento della demenza frontotemporale.
La condivisione che la famiglia allargata di Bruce Willis sta portando avanti a partire dalla scoperta dell’afasia e dalla diagnosi di demenza assume quindi importanza anche in relazione alla sensibilizzazione su questa condizione, nella speranza che non solo ci si ammali sempre di meno di demenza, ma che si arrivi a una comprensione della malattia e a una cura.