Alzheimer: vecchi farmaci, nuove cure

Migliora la qualità di vita dei malati grazie alla rotigotina, un farmaco agonista dopaminergico

utilizzare farmaci conosciuti per sperimentare nuove cure per parkinson e alzheimer

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    Sono molti anni che, in ambito accademico, si disquisisce su come le disfunzioni cognitive nel Morbo di Alzheimer siano correlate alla compromissione della trasmissione dopaminergica, ma adesso sembra essere arrivata una risposta chiara e definitiva sulla questione.

    La dopamina, protagonista di diversi studi in materia, è un neuromodulatore che influenza diversi passaggi distinti della trasmissione sinaptica, svolgendo un ruolo importante nel controllo delle funzioni cognitive elevate, come la memoria, i processi decisionali e l’apprendimento.

    Diversi studi hanno rivelato una significativa perdita di recettori della dopamina nei lobi temporali e frontali di individui affetti dal Morbo di Alzheimer, suggerendo un’associazione tra i livelli ridotti di recettori D2-like (recettori della dopamina) e la malattia. Altri studi sperimentali su modelli animali hanno dimostrato che gli agonisti della dopamina possono ridurre la deposizione di amiloide (amiloidosi) e migliorare la memoria.

    Questi e altri dati permettono alla comunità scientifica di provare un giustificato interesse verso le terapie basate sulla stimolazione dopaminergica nei pazienti con forme lievi o moderate di Alzheimer.

    Una delle novità più interessanti arriva proprio dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma. Lo studio, guidato da Giacomo Koch (Direttore del laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale del Santa Lucia) in collaborazione con Alessandro Martorana dell’Università di Roma Tor Vergata, viene addirittura supportato dalla Alzheimer’s Drug Discovery Foundation e sovvenzionato dal Ministero della Salute italiano.

    In questa ricerca viene fornita la prima prova che la rotigotina (farmaco agonista della dopamina, finora utilizzata per il trattamento del Morbo di Parkinson e della sindrome delle gambe senza riposo), agendo sulla trasmissione della dopamina nel cervello, migliora determinate funzioni nei pazienti con una forma lieve o moderata di Alzheimer.

    Dal trattamento del Parkinson all’Alzheimer

    Visti gli effetti della rotigotina sui malati di Parkinson, i ricercatori si sono chiesti se fosse possibile, in 24 settimane di trattamento con tale farmaco, modificare le funzioni cognitive nei pazienti affetti da una forma lieve e moderata del Morbo di Alzheimer.

    Entrambe le malattie (Parkinson e di Alzheimer) interessano maggiormente i soggetti con più di 65 anni (nonostante possano manifestarsi anche in età giovanile) e sono molto diffuse sia in Italia che nel mondo. Attualmente non esiste una cura definitiva per entrambe le malattie, ma al massimo dei trattamenti atti ad attenuarne i sintomi e rendere la vita del paziente quanto più normale possibile. Ma, come abbiamo anticipato, da Roma arrivano delle buone notizie: uno studio che vede la rotigotina come possibile nuova cura per l’Alzheimer.

    La rotigotina è un farmaco normalmente utilizzato per trattare i pazienti affetti da Parkinson ed è somministrata tramite un cerotto transdermico. Questo farmaco agisce sul neurotrasmettitore della dopamina che non viene prodotta a sufficienza in pazienti affetti da Parkinson.

    Invece i farmaci utilizzati per fino a oggi per contrastare l’Alzheimer si basavano sull’inibizione della acetelcolinesterasi, un enzima distruttivo dell’acetilcolina (un neurotrasmettitore fondamentale nel processo di formazione e mantenimento della memoria e dell’apprendimento). La scelta di inibire l’acetelcolinesterasi è legata alla natura neurocognitiva del Morbo di Alzheimer, che causa, appunto, la perdita di memoria e incapacità progressiva dell’apprendimento in primis, oltre a:

    • depressione;
    • afasia;
    • cambiamenti repentini di umore;
    • disorientamento;
    • problemi nel comportamento;
    • incapacità di prendersi cura di sé.

    Abbiamo scritto un articolo in cui parliamo anche delle cellule staminali per curare varie malattie, compreso il Morbo di Alzheimer.

    Lo studio

    Lo studio ha sottoposto 94 pazienti, di età compresa tra i 55 e gli 83 anni, a un periodo di trattamento di 24 settimane. La prima settimana di trattamento prevedeva dosi di cerotti transdermici di rotigotina equivalenti a 2 mg al giorno, le successive 23 settimane invece, dosi di rotigotina corrispondenti a 4 mg al giorno. 

    Dopo il reclutamento e le valutazioni di base, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale in un rapporto 1:1 a ricevere o un trattamento a base di rotigotina o a base di placebo. Tutto ciò in aggiunta al loro regime farmacologico stabile con la terapia a base di inibitori dell’acetilcolinesterasi.

    La dose di rotigotina utilizzata nello studio è stata raccomandata da un comitato indipendente per il monitoraggio dei dati e della sicurezza, i cui membri hanno identificato la dose massima sicura non associata ad effetti avversi inaccettabili.

    I cerotti transdermici di rotigotina presentavano un’area di rilascio superficiale di 10 o 20 cm2 e contenevano rispettivamente 4,5 o 9 mg di rotigotina per rilasciare, 2 mg o 4 mg durante un periodo di 24 ore. Il cerotto transdermico placebo, al fine di non influenzare i pazienti arruolati, era identico al cerotto alla rotigotina ad eccezione dell’assenza del farmaco. Le valutazioni di efficacia sono state effettuate all’inizio e al termine delle 24 settimane.

    Limiti della ricerca

    Questo studio ha alcune limitazioni: nonostante il miglioramento delle funzioni cognitive altamente correlate al lobo frontale, non è stato osservato alcun effetto significativo sulla memoria.

    Il lobo temporale mediale (sede coinvolta nell’elaborazione dei ricordi e nella memoria) non sembra aver ottenuto miglioramenti, ma essendo un sito di complessi meccanismi sia cognitivi che patologici che collegano la neurodegenerazione alla neuroinfiammazione, non è da escludere che tali processi (in caso di Alzheimer) inizino molto prima dell’apparizione del declino cognitivo, rendendo trascurabile e secondario il contributo della neurotrasmissione dopaminergica nei pazienti con Alzheimer moderato.

    Inoltre, il numero di pazienti arruolati è relativamente basso, perciò nonostante i risultati siano incoraggianti, saranno necessari ulteriori studi per fare maggiore chiarezza.

    Risultati

    Dopo sei mesi, oltre la metà dei 94 pazienti arruolati mostrava chiari e significativi miglioramenti per quanto riguarda le funzioni cognitive legate al lobo frontale, poiché la dopamina modula in gran parte l’attività della corteccia frontale e un trattamento con la rotigotina induce un miglioramento della plasticità corticale nei pazienti con Alzheimer lieve.

    Questo dimostra come i pazienti possano trarre beneficio dalle combinazioni dei farmaci oggetto dello studio e ciò potrebbe aprire a nuove opzioni terapeutiche per ritardare l’insorgenza del Morbo di Alzheimer in fase precoce, quando appunto le funzioni cognitive e le capacità di vita quotidiana dei pazienti sono solo lievemente compromesse.

    È stato altresì evidenziato come la rotigotina, a un dosaggio relativamente basso, risulti sicura e ben tollerata dai pazienti con Alzheimer: infatti non ha indotto effetti collaterali comportamentali particolarmente rilevanti, nonostante gli eventi avversi generali siano stati più comuni con la rotigotina che con il placebo. Tuttavia sono dati già osservati in studi passati, nei quali è stata testata la rotigotina in pazienti affetti da Morbo di Parkinson lieve e dei quali si conosce gli effetti a lungo termine.

    I pazienti arruolati nel presente studio erano nella fase iniziale della malattia e non mostravano segni come tremore o rigidità. In questo, la rotigotina si è dimostrata efficace nel ridurre il declino della compromissione funzionale. Oltre agli effetti positivi sulle funzioni cognitive altamente correlate al lobo frontale, è stato anche scoperto come la rotigotina abbia indotto un notevole aumento dell’attività della corteccia prefrontale.

    Insieme alla compromissione della memoria, un declino delle funzioni cognitive legate all’attività del lobo frontale e alle attività quotidiane rappresenta le caratteristiche chiave della progressione dell’Alzheimer. Le funzioni esecutive svolgono un ruolo cruciale nel far fronte alle mutevoli esigenze della vita quotidiana e sono associate anch’esse all’attività del lobo frontale. 

    Pertanto, secondo il parere dei ricercatori, il trattamento del deterioramento cognitivo frontale dovrebbe essere uno dei principali obiettivi per futuri interventi farmacologici, ma per fortuna i primi grandi passi avanti sono già stati fatti.

    Fonti

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