Terapia Alzheimer: scoperte nuove cellule ibride

All’Università di Losanna è stato scoperto un sottogruppo di cellule del sistema nervoso che potrebbe essere la chiave di nuove cure contro l’Alzheimer

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    Un team di ricercatori dell’Università di Losanna, insieme all’Università di Roma Tor Vergata e alla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, studiando le cellule che permettono il funzionamento del sistema nervoso, ha scoperto un nuovo sottogruppo di cellule ibride, a metà fra neuroni e astrociti. Questa scoperta, oltre a rendere superate le precedenti categorizzazioni, ci dice quanto ancora resta da scoprire del nostro cervello, e, soprattutto, apre alla possibilità di nuove terapie contro l’Alzheimer. Le cellule ibride che sono state scoperte, infatti, si trovano nell’ippocampo, luogo deputato alla gestione della memoria e che appare alterato nei pazienti con Alzheimer. Quali sono le possibili conseguenze di questo enorme passo avanti nella comprensione del sistema nervoso centrale?

    Un nuovo sottogruppo di cellule nervose 

    I risultati dello studio condotto all’Università di Losanna dal team di ricerca di Andrea Volterra, insieme all’Università di Roma Tor Vergata e alla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, portano a riconsiderare tutto quello che conosciamo del cervello e a fare i conti con categorizzazioni che ormai appaiono inattuali.

    La ricerca, pubblicata su “Nature”, presenta infatti la scoperta di cellule ibride, metà neuroni e metà astrociti (le cosiddette “cellule stella”, vista la loro forma). Viene così superata la tradizionale suddivisione delle cellule cerebrali in:

    • neuroni, responsabili dei messaggi nervosi inviati ad altre cellule grazie ai neurotrasmettitori (come dopamina e serotonina)
    • astrociti, che isolano e proteggono i neuroni, con una funzione di supporto. Una ricerca della Washington University di Saint Louis, pubblicata su “Current Biology”, ha portato alla luce il loro ruolo anche nella regolazione dei ritmi circadiani (ovvero i processi fisiologici che si succedono in 24 ore, ad esempio il sonno e la veglia)

    Nella ricerca condotta all’Università di Losanna sono stati individuati nove gruppi di cellule con le caratteristiche degli astrociti e fra questi un gruppo presentava caratteristiche intermedie fra astrociti e neuroni che secernono glutammato, un neurotrasmettitore.

    Che conseguenze ha questa scoperta per gli studi sull’Alzheimer?

    La scoperta di questa popolazione atipica di astrociti, come ha affermato Andrea Volterra, porta, da un lato, a non considerare più esaustive le precedenti classificazioni e alla consapevolezza che quest’ultime non sono del tutto calzanti del reale funzionamento del sistema nervoso, ancora più complesso di quello che si pensava.

    Dall’altro lato, questi astrociti glutammatergici, trovandosi nell’ippocampo, potrebbero avere un legame con l’insorgere di malattie degenerative come l’Alzheimer. Il loro ruolo riguarda infatti i processi di memorizzazione, che si deteriorano nei pazienti con questa malattia neurodegenerativa. Hanno anche un ruolo protettivo contro patologie come epilessia e Parkinson.

    Una nuova terapia per l’Alzheimer? 

    Sicuramente la ricerca pubblicata su “Nature” e la scoperta degli astrociti glutammatergici potrebbero aprire la strada a una nuova terapia per l’Alzheimer. Per il momento la presenza di un terzo tipo di cellule nel sistema nervoso centrale permetterà di condurre delle analisi per capire se queste stesse cellule sono alterate, prevedendo lo sviluppo e l’avanzamento dell’Alzheimer.

    L’Alzheimer, malattia neurodegenerativa che prende il nome dal primo neurologo che l’ha descritta nel 1907, Alois Alzheimer, si caratterizza per una progressiva perdita di memoria, che si aggrava fino all’incapacità di riconoscere le persone e a un disorientamento spazio-temporale.

    Ad oggi il 5-6% della popolazione italiana over 65 presenta una qualche forma di decadenza cognitiva e fra le forme di demenza senile il morbo di Alzheimer è senz’altro il più diffuso (su dieci persone con demenza, sei presentano l’Alzheimer).

    Nonostante il numero di casi di demenza e Alzheimer in dieci anni (2010-2020) sia diminuito del 10% in Europa e Stati Uniti, restano patologie con un alto costo sociale e affettivo, che coinvolgono non solo i pazienti ma anche le persone che li circondano e che se ne prendono cura.

    Il decorso di questa patologia può infatti essere molto lento (anche 8-10 anni) e per il momento le terapie per l’Alzheimer non sono risolutive, ma servono a gestirne i sintomi. In base all’avanzamento della malattia vengono utilizzati farmaci con lo scopo di rallentarne la progressione, insieme a farmaci che consentono di trattare sintomi psicologici come depressione e allucinazioni.

    La ricerca scientifica è però da decenni alla ricerca di nuove terapie e a piccoli passi si sperimentano nuove vie per trattare questa patologia, come i cerotti transdermici con rotigotina, un farmaco antagonista della dopamina già utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson. Un altro approccio sperimentato di recente è poi quello di utilizzare neuroni su microchip, in modo da sostituire quelli che muoiono a causa dell’andamento della malattia.

    Per il futuro più immediato, le ricerche si muoveranno nella direzione di una nuova mappatura del sistema nervoso centrale, che possa fare chiarezza sulla distribuzione complessiva degli astrociti glutammatergici e sull’insieme delle loro funzioni.

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