Lo sbiancamento del dente non vitale
Le principali tecniche di sbiancamento mirato sui denti non più vitali
Sempre più spesso uno dei motivi che portano i pazienti dal dentista (oltre a urgenze, prevenzione e igiene orale, riabilitazioni…) è migliorare l’estetica del sorriso anche con piccole ma decisive modifiche mininvasive.
Denti che hanno subito endodonzia, che per varie cause hanno cambiato colore, possono essere trattati con uno sbiancamento mirato, applicando prodotti che liberano ossigeno, direttamente all’interno del dente (walking bleach).
A questo riguardo, abbiamo trattato nello specifico il caso del trattamento del dente necrotico.
I prodotti usati per lo sbiancamento mirato possono essere:
- Perossido di Idrogeno;
- Perossido di Carbammide;
- Perborato di Sodio (mono-, tri- o tetraidrato).
Tutti portano ad una finale liberazione di Anioni Perossido che agiscono ossidando i doppi legami delle catene coniugate dei cromofori (molecole organiche a lunga catena chimicamente stabili) assorbiti dai tessuti duri dentali (smalto e dentina), con conseguente incremento della luminosità e riduzione del croma.
La tecnica prevede la rimozione parziale dell’otturazione canalare e la sigillatura del canale con materiali che non permettano il passaggio dei prodotti sbiancanti oltre tale limite (in modo da prevenire fenomeni di liberazione di ossigeno fuori apice o riassorbimenti radicolari esterni), l’inserimento del prodotto sbiancante e la chiusura provvisoria del dente. Il gel sbiancante può essere sostituito ogni 7/10 giorni in base alla gravità delle discromie. Per ottenere risultati migliori e stabili è consigliato prolungare lo sbiancamento per 2/3 mesi. Raggiunto un colore soddisfacente lo sbiancante viene tolto e il dente restaurato con resine composite.
Lo sbiancamento interno dovrebbe essere un passaggio obbligatorio anche prima di intervenire con faccette o protesi estetiche su denti discromici per ottenere un risultato ottimale e evitare i fenomeni della “riga scura” e della “gengiva grigia” al di sopra del dente protesizzato.
Questa tecnica se seguita scrupolosamente dopo un attento un esame clinico endorale preliminare, la formulazione di una corretta diagnosi, risulta sicura, conservativa, minimamente invasiva e confortevole per il paziente.