L’uso dei big data a supporto di salute e prevenzione
Dati di ogni tipo e da più fonti vengono raccolti continuamente, ma è possibile utilizzarli per migliorare la salute dei cittadini?
In questo autunno è stato pubblicato il piano di lavoro per il periodo 2020-21 del Big Data Steering Group dell’EMA (l’Agenzia Europea per i Medicinali) e dell’HMA (Heads of Medicines Agencies). Questo gruppo di monitoraggio è stato costituito nel febbraio 2020 e da maggio ha iniziato con la sua attività di supporto per le due organizzazioni in merito ai big data e alle loro potenzialità per la salute pubblica nell’Unione Europea.
Nel workplan il gruppo ha messo in evidenza dieci suggerimenti ritenuti prioritari su cui lavorare per il prossimo periodo, dalla creazione di una piattaforma sicura europea che migliori il processo decisionale per i farmaci, fino a migliorare le competenze sui big data all’interno del network. L’obiettivo è quello di analizzare e incrementare l’utilizzo dei big data nella regolamentazione dei farmaci, vista la mole di dati che viene generata continuamente. Il tutto naturalmente guidato dalla scienza e dalla tecnologia e con il coinvolgimento necessario dei pazienti.
Cosa sono i big data
Per big data si intende un insieme di dati molto numeroso, eterogeneo e il cui contenuto arriva da fonti diverse. Una caratteristica dei big data, inoltre, è il fatto che questi si accumulino con rapidità, in tempo reale. Si tratta di una raccolta che può essere impiegata per fare stime e scoprire relazioni tra particolari fenomeni, ma che deve essere prima connessa ad altri gruppi di dati, che andranno poi analizzati e catalogati. Si parla di big data, quindi, quando dalla gran quantità di dati a disposizione si possono ricavare informazioni utili per esempio per prendere decisioni o correggere dei processi.
Proprio per questa loro proprietà, i big data sono potenzialmente utili anche in ambito sanitario, sia per migliorare lo sviluppo di nuovi farmaci, sia per implementare la prevenzione e il trattamento di malattie.
I big data al servizio della salute
I big data relativi alla salute e allo stile di vita dei cittadini vengono raccolti attraverso più canali e possono rivelarsi un aiuto su più fronti. Molte aziende sanitarie ormai fanno uso di sistemi digitali per prendersi cura dei pazienti, dal primo accesso fino al trattamento, passando dalla diagnosi: vengono registrati dunque esami diagnostici, sintomi e relativa terapia: se tali dati sono ormai indispensabili nell’immediato affinché medici e operatori sanitari abbiano le informazioni necessarie sempre a disposizione, quando strutturati ed elaborati possono rivelarsi uno strumento per migliorare gli stessi percorsi dei pazienti.
Oltre alle cartelle cliniche in formato elettronico, dunque, un’altra fonte di big data sono considerati i trial clinici e i report di farmacovigilanza, che hanno la potenzialità di mostrare i risultati di uno studio e di conseguenza migliorare i farmaci e la loro efficacia. Per lo stesso fine, anche tenere d’occhio i big data che provengono dalla fase di produzione permette di ottenere miglioramenti sulla sicurezza del prodotto finale, oltre che ridurre costi evitabili e velocizzare l’attività.
Un’immensa mole di informazioni arriva poi da fonti di più recente impiego, come i social network o i moderni dispositivi indossabili, noti come wearables, nonché da specifiche app dedicate al benessere della persona. L’importanza di “ascoltare” i social network è dimostrata anche in ambito pharma: fare web listening, per esempio, consente di intercettare gli interessi e i dubbi dei potenziali consumatori, così come di conoscere quale sia la reale percezione che questi hanno di un determinato brand, ma non solo, perché ci sono state anche recenti applicazioni dei social media ai fini di farmacovigilanza, anche se ancora con una certa cautela.
I wearables sono dispositivi molto diffusi, in parte per l’attenzione ai progressi nel fitness, ma anche per monitorare parametri che riferiscono lo stato di salute della persona che li indossa, dalla pressione del sangue alla qualità del sonno, insieme al monitoraggio della respirazione e della temperatura corporea. Raccogliere questi dati significa ottenere vantaggi in termini di prevenzione di particolari malattie, comprendere meglio i bisogni dei pazienti e migliorarne la qualità di vita in caso di patologie. In aggiunta a questi dispositivi troviamo anche le app, che raccolgono direttamente le informazioni provenienti dal wearable o dove l’utente stesso inserisce dati dal monitoraggio delle proprie condizioni. Da questi mezzi si ricavano big data vantaggiosi se si vogliono implementare le cure e personalizzare i percorsi che devono fare i pazienti, inclusi quelli per migliorare semplicemente uno stile di vita.
Limiti dei big data
Disporre di una così grande quantità di informazioni, seppure aggregate e dunque rese anonime, ci pone davanti a una questione non da poco: la privacy. Questo tema è ancora più importante nel contesto sanitario, dove i dati trattati sono relativi alla salute e quindi annoverati da tra quelli sensibili. È possibile coniugare l’utilizzo dei big data con la normativa che tutela la riservatezza degli utenti?
A dettare i limiti dei big data, come in altri contesti in cui si ha a che fare con dati personali, è il Regolamento generale sulla protezione dei dati, la normativa europea conosciuta come GDPR. Sono vari gli articoli che condizionano la raccolta e l’uso dei big data: nel regolamento si specifica infatti che nel momento della raccolta di dati, è obbligatorio che le finalità di utilizzo siano determinate ed esplicite e che quindi l’interessato ne deve essere messo al corrente. È probabile, però, che i big data vengano sfruttati per scopi sì affini, ma non direttamente correlati a quelli per cui la persona ha dato il consenso, di conseguenza il loro impiego sembra essere in contrasto con la normativa. È vero che i dati sono trattati in forma aggregata e dunque risultano anonimi, ma potrebbe accadere che si manifestino delle correlazioni e che quindi diventi più facile interpretarli e associarli a un singolo soggetto (o gruppi).
Sempre in riferimento al GDPR si incontra un’altra limitazione: chi è incaricato del trattamento dei dati deve garantire la possibilità all’interessato di cancellare, modificare o accedere alle informazioni personali, ma per poter sfruttare i big data questi devono essere raccolti ed elaborati da sistemi tecnologici, dove però i dati “si perdono” e recuperarli diventa complesso se non impossibile, dunque senza la possibilità di poter ottemperare al regolamento.
In conclusione, i big data rimangono in ogni modo una preziosa fonte per la salute, per la prevenzione e per lo sviluppo di farmaci e prodotti, ma la loro gestione non deve essere lasciata al caso. Chi sceglie di impiegarli deve far uso di software che sono indispensabili perché la raccolta non si riveli infruttuosa e che nel contempo garantiscano la riservatezza, ma senza mai affidarsi esclusivamente alla tecnologia.