Deflorazione: cos’è e perché rappresenta un termine negativo?
La perdita della verginità un tempo veniva definita deflorazione, una parola insidiosa per la visione patriarcale del corpo femminile alla quale rimanda
Il termine deflorazione indica il momento della perdita della verginità, attraverso la metafora – ormai sentita e risentita – della sessualità femminile come di un fiore. Nonostante sia eredità di un passato che vedeva nella verginità un elemento identitario, sociale e morale, ancora oggi il concetto di deflorazione e tutte le espressioni legate alla “prima volta” spesso si portano dietro vergogna e senso di colpa e, soprattutto, continuano ad alimentare falsi miti, tabù e un concetto di sessualità esclusivamente penetrativa ed eterosessuale.
Cosa si intende per deflorazione?
La parola deflorazione deriva dal verbo latino “deflorare”, che significa letteralmente “togliere il fiore, cogliere il fiore”, ma è stata ampiamente usata per indicare la perdita della verginità di una donna, e ancora oggi è conosciuta con questo significato.
La deflorazione viene spesso definita, assumendo un punto di vista medico-scientifico, come la lacerazione dell’imene, ovvero una membrana che riveste l’interno della vagina. Una definizione anatomicamente errata, come approfondiremo più avanti, ma che determina la sessualità femminile all’insegna della rottura (lacerazione), e, su un piano concettuale, della perdita (perdita della verginità).
Il primo rapporto sessuale è vissuto ancora oggi con molte ansie e timori, e in alcuni contesti la verginità è ancora una dote da preservare per “quello giusto” o per il matrimonio. Da cosa nasce l’estrema simbolizzazione della sessualità femminile e perché ancora oggi nell’immaginario e nel linguaggio comuni il primo rapporto sessuale delle ragazze è pensato nei termini di “perdita” della verginità?
La sessualità femminile come un fiore
“La verginella è simile alla rosa, / ch’in bel giardin su la nativa spina / mentre sola e sicura si riposa, / né gregge né pastor se le avvicina”
È così che Ludovico Ariosto descrive la verginità di Angelica, protagonista femminile dell’Orlando furioso. Come una rosa, bella e al sicuro solo fin quando e proprio perché è sola, e quindi illibata.
Ma già Catullo nei suoi carmi utilizzava la rosa come una metafora della purezza: quando viene colta, sfiorisce e appassisce, perdendo fascino e attrattiva.
La Vergine Maria, poi, più della letteratura, ha influenzato e permeato l’idea della verginità da un punto di vista sociale, morale e identitario, come un’aggiunta al valore di una persona; valore che una giovane donna non ha più nel momento in cui la verginità viene persa al di fuori del matrimonio, e, quindi, dei rapporti sessuali finalizzati alla procreazione.
La religione cattolica continua a essere presente anche nel pensiero laico, e anche per questo la verginità e la sua perdita generano ancora oggi senso di colpa e vergogna, impedendo in molti casi di viversi con serenità e libertà i primi rapporti sessuali.
Luoghi comuni e falsi miti sulla deflorazione
Se già la parola in sé, deflorazione, si riferisce a un significato negativo, la definizione che se ne dà, come abbiamo accennato, è non solo negativa, ma anche fuorviante.
Si è detto che la perdita della verginità o deflorazione consisterebbero in una lacerazione dell’imene, una membrana che si trova circa uno o due centimetri all’interno della vagina. Il concetto di lacerazione è errato, in quanto l’imene non assomiglia a una pellicola tesa, ma a un tessuto piegato intorno al canale vaginale.
È da qui che passano le mestruazioni e le altre secrezioni vaginali, e, se fosse una membrana, impedirebbe questo passaggio. La definizione anatomica dell’imene come una membrana “chiusa” è corretta in un solo caso, quello dell’imene imperforato, considerato però una malformazione e sul quale si interviene chirurgicamente. L’imene, in condizioni normali, può quindi avere conformazioni ed elasticità diverse, che cambiano nel corso della vita, ma non va pensato come una membrana che si può rompere.
La perdita di sangue che si verificherebbe al momento del primo rapporto penetrativo per la rottura dell’imene è uno dei tanti falsi miti sulla perdita della verginità. In molti casi può non accadere e spesso quando si verifica non è dovuto all’imene (che presenta pochi vasi sanguigni), quanto a lacerazioni delle pareti vaginali dovute a una lubrificazione insufficiente, a causa di scarsi preliminari, ad esempio, e che può essere risolta con l’utilizzo di un lubrificante.
Sull’imene si possono formare microlacerazioni, e come tutti gli organi, anche questo, di fatto, si può rompere. La sua rottura molto raramente, però, è dovuta al primo rapporto sessuale, più spesso a eventi traumatici come il parto o una violenza sessuale.
Deflorazione, verginità e sessualità
La verginità e la sua perdita, quindi, sono stati interpretati a lungo come un valore morale, e, nonostante oggi si sappia che non è scientificamente dimostrabile se una persona abbia già avuto un rapporto sessuale o meno, l’idea che questo lasci un segno sul corpo della donna è ancora diffusa.
In alcuni paesi addirittura esiste ancora la possibilità di richiedere un certificato di verginità, a testimonianza di quanto questa rappresenti l’onore non solo della ragazza, ma di tutta la sua famiglia. Qualche anno fa il Royal College of Obstetricians and Gynecologists, con un appello sul “British Medical Journal” ha richiesto l’abolizione dei test di verginità in quanto ledono l’autodeterminazione delle donne e sono privi di basi scientifiche.
L’ignoranza, però, è ancora molta, e in parte è dovuta al numero tutto sommato esiguo di studi sull’imene. Come per il clitoride, di cui aveva scritto Galeno, un medico romano del I secolo d.C., e del quale si è riniziato a parlare in modo esteso solo da pochi anni, il motivo della scarsità di ricerche e di letteratura scientifica è quasi banale: in un mondo in cui le donne non potevano accedere a professioni come quella di medico, o erano comunque una ristretta minoranza, nessuno si poneva domande su come sono fatti e come funzionano veramente organi come l’imene e il clitoride.
Il perdurare di pregiudizi e false credenze è stato, ed è ancora, uno dei molti strumenti attraverso i quali esercitare un controllo sui corpi delle donne, oggettificate e relegate alla passività, a partire dalle parole con le quali ci si riferisce al primo rapporto sessuale di una ragazza, legate alla sfera della perdita e della rottura. In questo contesto le donne non sono mai soggetto dell’azione, ma sempre oggetto della sessualità maschile.
Si pone così anche un altro problema rispetto al concetto di verginità e alla sua perdita: l’immaginario e il linguaggio comuni sulla deflorazione si riferiscono solamente a rapporti eterosessuali e cisgender, e a un’idea di rapporto sessuale ristretta, che dà peso a un singolo atto fisico (la penetrazione del pene nella vagina) piuttosto che a un’idea più ampia di sesso, comprensiva di pratiche e corpi non conformi.