Cosa significa e a chi si riferisce il termine trav?
Trav, o travestito, è qualcuno che indossa abiti del sesso opposto al proprio, senza però essere una persona transgender o transessuale. A chi si riferisce quindi?
Il termine “trav”, abbreviativo per travestito/a, indica la pratica di indossare abiti culturalmente appartenenti al sesso opposto a quello di appartenenza. In pratica, si tratta dei vestiti che indossiamo più che della propria identità di genere o del proprio orientamento sessuale. Nonostante si tratti, in fondo, “solo” di vestiti, spesso chi si riconosce come crossdresser subisce discriminazioni e violenze: è possibile decostruire questo tabù?
Trav e crossdresser
Trav, cioè “travestito/a”, indica chi pratica il travestitismo, ovvero indossa indumenti che nella società di appartenenza sono attribuiti al sesso opposto al proprio. Secondo la cultura occidentale, ad esempio, in cui i vestiti sono o da maschio o da femmina, trav è un uomo che si veste con abiti femminili o una donna che si veste con abiti maschili.
Al termine trav, diminutivo di travestito/a, è spesso preferito l’inglese “crossdresser”, perché privo della connotazione culturale negativa e dispregiativa che associa, nella bigotta maldicenza comune, i travestiti alla prostituzione: il crossdressing non ha niente a che vedere con la prostituzione né con qualsiasi altra professione.
Il crossdressing, quindi, non c’entra niente con:
- l’identità di genere: possono definirsi crossdresser anche persone cisgender, che si riconoscono cioè nel sesso attribuito alla nascita;
- l’orientamento sessuale: i crossdresser possono riconoscersi in qualsiasi sfumatura dello spettro dell’orientamento sessuale; esistono quindi crossdresser eterosessuali così come crossdresser omosessuali, ad esempio.
Indossare degli indumenti che secondo la cultura di appartenenza non ci calzano, non è un atto di esibizionismo, ma spesso una vera e propria esigenza che, altrettanto spesso, trova nella società come risposta discriminazioni e violenze.
Indicativa, a questo proposito, la mostra a cura di Felix Hoffmann tenutasi a Berlino fra settembre 2022 e gennaio 2023 (“Queerness in Photography”), che ha raccolto testimonianze fotografiche di crossdresser e trans dall’inizio del XIX secolo fino agli anni ’90. Molte delle foto esposte sono polaroid, un formato che non necessitava di un fotografo estraneo per poter essere sviluppato. In molti contesti storici e culturali il crossdressing era considerato infatti un reato; oggi, anche nei paesi in cui non è più considerato tale, rimane un tabù.
Transgender, transessuali, drag
Vale la pena specificare, prima di approfondire le radici del crossdressing, che crossdresser non è sinonimo di:
- transgender: il termine ha un’accezione ampia e indica le persone che non si riconoscono nel sesso assegnato alla nascita; la disforia di genere è il malessere che può provare una persona per la quale c’è una discrepanza fra i caratteri sessuali con cui è nata e la propria identità di genere;
- transessuale: in senso stretto, indica chi, non risconoscendosi nel sesso assegnato alla nascita, sta facendo un percorso per la riassegnazione del genere; trattandosi di un termine che si riferisce a una sfera molto privata dell’identità, che comprende un percorso medico (farmacologico ed eventualmente chirurgico), a volte queste persone al termine transessuale preferiscono il più generico transgender;
- drag: le drag queen, ovvero gli uomini che si travestono da donne, e i drag king, ovvero le donne che si travestono da uomini, sono persone che praticano crossdressing a livello di spettacolo e intrattenimento; non è detto che siano crossdresser anche al di là della performance.
Ad esempio, nella serie tv Transparent, la protagonista è una donna transgender, Maura, che fa coming out con i tre figli alla soglia dei settant’anni, e che per tutta la sua vita è stata il professore universitario Morton Pfefferman per quasi tutti e Maura solo di nascosto. Magnus/Marcy, con cui inizia a manifestare la propria identità, è presentato invece come un crossdresser, che si riconosce nel sesso che ha dalla nascita, e che anzi fa fatica (siamo negli anni ’90) a comprendere le esigenze e le motivazioni di Maura.
È bene ricordare anche che in generale la sessualità umana, sia in termini di genere che di orientamento, è uno spettro, quindi più ampio del modello cisgender eterosessuale tipico di una società patriarcale. Ciò significa che la sessualità non è un sistema dicotomico (o maschio o femmina per fare un esempio riguardo all’identità di genere), ma complesso e sfaccettato. La cosa migliore è lasciare che siano i singoli individui ad autodefinirsi, o a scegliere di non farlo.
Perché il crossdressing?
Il crossdressing non è qualcosa di recente, come testimoniano anche le fotografie della mostra alla galleria C/O Berlin di cui abbiamo accennato. E le sue origini si perdono ben più in là del XIX secolo, dal quale la mostra parte.
Soltanto in tempi più recenti se ne è iniziato a parlare, e tutt’oggi c’è ancora molta intolleranza, quando non vera e propria discriminazione: il crossdressing è spesso associato, soprattutto per ignoranza, a una perversione.
I motivi che portano a riconoscersi nel crossdressing o a praticarlo, in modo continuativo o saltuario, possono essere vari:
- può riguardare la sfera erotica ed essere circoscritto a questa;
- può essere uno strumento per sottrarsi a ruoli predefiniti di stampo patriarcale;
- può essere un modo per esplorare e sperimentare.
Si tratta perciò sì di una questione di identità, le persone crossdresser si riconoscono infatti nel loro modo di essere e di apparire, ma non di identità di genere; e non si tratta nemmeno, lo ribadiamo, di esibizionismo.
La discriminazione verso i crossdresser, e in generale verso le persone non conformi per identità di genere e orientamento sessuale a determinati canoni, ha ragioni culturali e spesso nasce dalla totale disinformazione, che dà adito a pregiudizi e di conseguenza a comportamenti che causano isolamento ed emarginazione.
Crossdressing e tabù
Il crossdressing non è quindi una pratica derivata dall’identità di genere o dall’orientamento sessuale di una persona, anche se sono ambiti inevitabilmente sovrapposti: i crossdresser hanno un’identità di genere (che sia fluida o definita) e un orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale, asessuale, pansessuale…).
Non c’è niente di sbagliato nel crossdressing, anche se per retaggio culturale è stato (ed è ancora) motivo di discriminazioni e violenze; da ciò derivano spesso vissuti di non accettazione e isolamento. Inoltre, spesso sono gli uomini in abiti considerati femminili ad essere maggiormente discriminati, mentre gli abiti tradizionalmente da uomo sono già diventati un business nella moda femminile ispirata a capi di foggia maschile.
La decostruzione del tabù legato al crossdressing potrebbe passare dal prendere consapevolezza che, in fondo, si tratta solo di indumenti, e proprio per questo dare loro una connotazione di genere è un fatto soprattutto culturale.
Una certa sensibilità sul tema è emersa in tempi recenti, insieme al tentativo più ampio di riconsiderare gli stereotipi di genere in un’ottica né patriarcale né binaria, ma resta ancora molta strada da fare.