Privacy a rischio dopo la sentenza contro l’aborto negli USA?
Può un paese decidere del corpo delle donne e mettere a rischio la loro privacy e libertà nello stesso istante? È quanto sta accadendo in America, dove la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade Scopriamo insieme i pericoli di questa situazione e come le aziende di tecnologia sanitaria si stanno affrettando a colmare le lacune nella privacy dei dati dopo la sentenza sull’aborto.
La sentenza della Corte Suprema
Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema americana ha rovesciato la storica sentenza Roe v. Wade che nel 22 gennaio 1973, esattamente quasi 50 anni prima, aveva riconosciuto il diritto costituzionale di ogni donna di porre termine alla gravidanza.
La cancellazione è stata sostenuta da cinque giudici conservatori, nominati dal presidente uscente Donald Trump, contro i quattro voti contrari. Una decisione che il Missouri ha accolto diventando il primo stato americano a vietare l’interruzione di gravidanza volontaria, tranne che in caso di emergenze sanitarie.
“Con dispiacere – per questa Corte, ma soprattutto per i molti milioni di donne americane che oggi hanno perso una fondamentale protezione costituzionale – dissentiamo” hanno commentato i tre giudici liberali Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer, che hanno votato affinché la sentenza Roe v. Wade non venisse annullata.
“La Corte Suprema sta letteralmente riportando l’America indietro di 150 anni. Questo è un giorno triste per gli americani e il Paese“, è quanto ha affermato il presidente in carica, Joe Biden, per poi aggiungere, con un post pubblicato sul suo profilo Twitter, che “proteggerà l’accesso delle donne ai farmaci approvati dalla Food and Drug Administration“, l’ente governativo statunitense dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, come quelli contraccettivi e in particolare del “mifepristone, un farmaco approvato dalla FDA che interrompe in modo sicuro una gravidanza precoce fino a 10 settimane”.
“È la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un diritto costituzionale viene tolto agli americani“, ha commentato invece la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, invitando gli elettori e le elettrici a mostrare il proprio dissenso in fase elettorale: “Avete il potere di decidere dei vostri diritti come ha detto il presidente oggi, fatelo al momento del voto“.
I rischi sulla privacy
A fronte della sentenza della Corte Suprema in merito al diritto sull’aborto, milioni di dati sanitari, tracce digitali e la stessa cronologia di navigazione su Internet sono diventati a rischio privacy, in quanto esiste il rischio ipotetico che queste informazioni possano essere utilizzate come “prove” in futuri procedimenti giudiziari contro coloro che hanno scelto l’aborto o sono in procinto di abortire, cause che potrebbero essere indette anche persino nei confronti di chi aiuta qualcuno a interrompere una gravidanza, pur semplicemente fornendo informazioni su come e dove svolgerla.
La stessa Elizabeth Coleman, rappresentante dello stato del Missouri, nonché primo stato americano a ufficializzare il divieto di aborto nei suoi confini, sta patrocinando una disposizione per cui i cittadini potranno citare in giudizio chiunque aiuti un residente del Missouri ad abortire, che siano conoscenti, amici, familiari e persino medici statali.
Con la decisione della Corte Suprema, negli Stati che decidono per abolire il diritto all’aborto, i siti di orientamento e le strutture legate all’interruzione della gravidanza o all’assistenza post-aborto potranno essere indagate per “favoreggiamento” all’aborto, mentre alcuni legislatori sono già a lavoro per rendere legge il divieto di abortire in un altro stato.
In merito alle realtà che si occupano di raccolta dati, Imran Ah med, amministratore delegato del gruppo di Advocay Center for Countering Digital Hate, ha detto: “Queste aziende devono riflettere molto a lungo e intensamente sui modi in cui le loro piattaforme verranno utilizzate come armi per criminalizzare le persone che cercano di accedere all’assistenza sanitaria per l’aborto e devono assicurarsi che non accada“.
Infatti, il rischio è che le forze dell’ordine possano avvalersi sempre più spesso del warrant geofence, un “mandato di perquisizione emesso da un tribunale per consentire alle forze dell’ordine di cercare in un database per trovare tutti i dispositivi mobili attivi all’interno di una particolare area di geo-recinto”, che potrebbe essere applicato nella “caccia agli abortisti”.
La stessa Clue, una società che ha sviluppato un’app per la salute mestruale, con oltre 8 milioni di utenti provenienti da 180 paesi diversi, ha dichiarato: “i dati sulla salute dei nostri utenti, in particolare tutti i dati su gravidanze e aborti, sono mantenuti privati e al sicuro. In questo momento difficile, sentiamo la rabbia e l’ansia provenienti dalla nostra comunità di utenti negli Stati Uniti“.
La posizione delle aziende
Questa sentenza storica ha creato un danno nel sistema di protezione dei dati e della privacy di migliaia e milioni di utenti, dati utilizzati e posseduti dalle Big Tech, cioè dai più grandi player della tecnologia e del settore IT, che con questa sentenza possono diventare prove di colpevolezza negli stati che vietano e vieteranno l’aborto. Pur comunicando il loro sostegno alle donne, parte lesa in questa situazione, al momento sono molte le aziende che non si sono ancora esposte riguardo l’utilizzo dei dati.
Tra coloro che non si sono espressi troviamo ad esempio Elon Musk, CEO di Tesla (una multinazionale statunitense specializzata nella produzione di pannelli fotovoltaici, auto elettriche e sistemi di stoccaggio energetico) e SpaceX (azienda aerospaziale statunitense), e Jeff Bezos, fondatore di Amazon (proclamata dal Time Magazine come “la più grande Internet company al mondo”). Anzi lo stesso Musk in un tweet che risale allo scorso maggio scriveva: “Il tasso di natalità negli Stati Uniti è stato al di sotto dei livelli minimi sostenibili per circa 50 anni”.
Apple, Amazon, Alphabet e Meta hanno invece fatto sapere che si impegneranno a sostenere economicamente quei dipendenti costretti a viaggiare in un altro stato per abortire. La portavoce di Apple ha infatti affermato “Sosteniamo i diritti dei nostri dipendenti di prendere le proprie decisioni in merito alla loro salute riproduttiva. Per più di un decennio, Apple ha consentito ai nostri dipendenti di viaggiare fuori dallo stato per cure mediche se non sono disponibili nel loro stato di origine”, mentre Fiona Cicconi, Chief People officer di Google, in un’email inviata il giorno dopo la sentenza del 24 giugno, ha informato i lavoratori Google che avrebbero potuto “richiedere il trasferimento senza giustificazione” per aiutarli in questa fase di cambiamento che “colpisce profondamente molti di noi, in particolare le donne”.
Tra i primi a esprimersi sul tema troviamo anche Salesforce e Microsoft.
“Questo è un giorno triste. Ribaltare la Roe v. Wade è una battuta d’arresto ingiusta e inaccettabile. E mette a rischio la vita delle donne, soprattutto le più svantaggiate” ha infatti twittato il co-founder di Microsoft Bill Gates.
Al contempo, molte di queste aziende non hanno fornito lo stesso tipo di supporto ai propri utenti di fronte alle crescenti preoccupazioni che i dati relativi ai siti Web visitati, le posizioni telefoniche o i messaggi privati sulle piattaforme social, potessero essere utilizzati per mettere in piedi un procedimento penale contro chi vuole interrompere la gravidanza.
La crescente preoccupazione che i dati digitali possano essere utilizzati in un procedimento penale contro coloro che vogliono interrompere la gravidanza ha portato la MIT Technology Review, rivista bimestrale di proprietà del Massachusetts Institute of Technology, a chiedere ad Alphabet, Meta, Reddit, TikTok e Twitter, cinque tra le più importanti aziende tecnologiche al mondo, se bolleranno come “illegali” quei post che sostengono l’accesso all’aborto o sensibilizzino sulla tematica, offrendo informazioni per praticarlo fuori dallo stato che lo vieta.
Alphabet e Reddit non hanno risposto. TikTok ha affermato che non limiterà i contenuti sull’aborto: “Le nostre politiche non proibiscono di parlare di aborto, compresi i contenuti contenenti informazioni o l’esperienza personale di qualcuno” è quanto scritto dal suo portavoce Jamie Favazza. Stessa cosa ha fatto Twitter affermando che le sue regole generalmente consentono la discussione sull’aborto, ma entrambe, insieme a Meta (a capo di Instagram e Whatsapp), hanno rifiutato di dire come risponderanno alle richieste di dati da parte delle forze dell’ordine. Nei termini di servizio di Google invece l’azienda si riserva il diritto di rimuovere quei contenuti che violino la legge o potrebbero danneggiare parti terze o Google stessa. Ne consegue che YouTube, di proprietà di Google, potrebbe limitare i contenuti sull’aborto laddove considerato illegale.
Daly Barnet, tecnologo alla Electronic Frontier Foundation (EFF), un’organizzazione internazionale non profit di avvocati e legali che si occupa della tutela dei diritti digitali e della libertà di parola nell’era digital, ha affermato che le aziende intenzionate a sostenere le donne che vogliono abortire potranno “continuare a fare affidamento sulle protezioni della Sezione 230” secondo cui “nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”.
Come proteggere gli utenti
Secondo l’Electronic Frontier Foundation (EFF) le aziende potranno comunque provare a respingere richieste mosse da parte del governo e da parte delle forze dell’ordine, laddove queste richieste risultino improprie e/o di dubbia utilità, come avvenuto a Marzo quando un giudice federale ha rifiutato la richiesta di un mandato di geofence poiché ritenuto incostituzionale e privo di “motivi fondati”.
Allo stesso modo consiglia agli utenti di ricercare informazioni sugli aborti online solo sui siti di aziende che garantiscano trasparenza e privacy nei confronti degli utilizzatori della piattaforma.
In questo periodo storico di incertezza e domande piene di eco, risuonano ancora più forti e dolorose le parole del noto scrittore statunitense Edward Abbey:
“L’abolizione del diritto di abortire per una donna, quando e se lo vuole, equivale a una maternità obbligatoria, una forma di stupro da parte dello Stato.”