Soglia del dolore: cos’è davvero

Misurare il dolore è complesso, ma esistono dei parametri per farlo, fondamentali per curare e gestire il dolore

Soglia del dolore e tolleranza al dolore sono due concetti che riguardano la capacità di ogni individuo di sopportare il dolore. Il dolore è un parametro altamente soggettivo e difficile da misurare, soprattutto per i molti fattori che lo influenzano, come l’età: i bambini di solito hanno una soglia del dolore più bassa degli adulti, ad esempio. Concorrono poi a determinare il punto oltre il quale uno stimolo diventa doloroso anche fattori genetici, di genere e culturali. La percezione del dolore è del resto un meccanismo necessario alla sopravvivenza e può variare nelle diverse fasi della vita, così come può essere almeno in parte modificato. Come è misurato in ambito clinico e a cosa serve conoscere il suo valore?

Cos’è la soglia del dolore

La soglia del dolore è definita come l’intervallo di tempo prima che uno stimolo diventi doloroso. È un dato estremamente variabile da un individuo all’altro, e può essere determinato da fattori culturali, biologici e genetici.

Sembrerebbe infatti che la soglia del dolore sia più alta in quei soggetti che sono stati in contatto con modelli di elevata tolleranza al dolore e si riscontra anche, ad esempio, che la popolazione di sesso femminile sia più sensibile al dolore in percentuali significative. Questo sarebbe da attribuire agli ormoni: se il testosterone ha una funzione protettiva contro il dolore, gli estrogeni lo acuiscono.

La soglia del dolore: differenze di genere

Se ormai è chiaro che la percezione del dolore varia anche in base al sesso, purtroppo i dati in questo senso sono ancora abbastanza scarsi, visto che la medicina di genere ha iniziato ad occuparsene solo in anni recenti.

Gli studi sul dolore tendevano ad escludere la popolazione di sesso femminile perché la forte componente patriarcale della società prevedeva che l’uomo fosse lo standard a cui riferirsi, ma anche perché il quadro del dolore femminile era considerato troppo complicato e variabile per le innumerevoli oscillazioni ormonali.

In particolare, la soglia del dolore della popolazione di sesso femminile è molto influenzata dalle oscillazioni ormonali che si verificano in momento particolari (come il menarca, la gravidanza e la menopausa) e mensilmente con il ciclo mestruale. Durante quest’ultimo, la soglia del dolore sarebbe più alta durante la fase luteale e più bassa nelle fasi periovulatoria e perimestruale.

Non solo: anche i farmaci contro il dolore reagiscono in modo diverso in base al genere. Gli antinfiammatori non steroidei avrebbero un effetto analgesico sugli individui di sesso maschile ma non su quelli di sesso femminile, e i due gruppi si distinguono anche per un diverso utilizzo dei farmaci.

Gli uomini assumono infatti 2,4 volte più oppioidi delle donne, che sono però quelle più colpite dal dolore cronico. Gli oppiacei sono poi influenzati nella loro azione antidolorifica dai differenti ormoni in circolo.

Per cure contro il dolore maggiormente efficaci, quindi, è necessario ampliare quest’area della medicina di genere, tenendo conto non solo delle differenze individuali nella percezione del dolore, ma anche di quelle date dal sesso.

I geni ereditati dall’Uomo di Neanderthal che abbassano la soglia del dolore

Infine, sembrerebbe che la nostra soglia del dolore sia influenzata da particolari geni eredità dell’Uomo di Neanderthal, che circa trentamila anni fa si estinse per cedere il passo all’Homo Sapiens, lasciando però tracce nel suo DNA.

La ricerca, realizzata dall’University College of London insieme ad altre istituzioni universitarie e di ricerca, ha misurato la soglia del dolore in 16.000 soggetti e ha confrontato i dati ottenuti con la presenza o meno di una delle tre varianti di uno specifico gene, derivato proprio dall’Uomo di Neanderthal.

I portatori delle varianti di questo gene presentavano una soglia del dolore più bassa rispetto ai non portatori quando sottoposti a determinati stimoli.

Soglia del dolore e tolleranza al dolore

Se la soglia del dolore indica quanto dolore riusciamo a sopportare, la tolleranza al dolore invece indica per quanto tempo riusciamo a sopportarlo.

Anche questo parametro, similmente alla soglia del dolore, è estremamente variabile e soggettivo, ed è il risultato di fattori fisiologici e socio-culturali.

Nella “resistenza” al dolore fisico influiscono le diversità ormonali, ma un ruolo da non sottovalutare ce l’hanno anche i ruoli di genere, che attribuiscono a uomini e donne diverse strategie di sopportazione del dolore.

Come si misura il dolore

Come abbiamo già accennato, il dolore è soggettivo e determinato da un insieme di fattori eterogenei fra loro. Il dolore è infatti un’esperienza personale e complessa, ma anche naturale: si tratta infatti di una percezione strettamente legata all’istinto di sopravvivenza e può essere definito come la risposta del corpo a uno stimolo spiacevole.

Data la sua multifattorialità e soggettività, non esistono strumenti per misurarlo, ma nel tempo sono state create delle scale di valori con cui i pazienti possono esprimere la loro soglia del dolore e la tolleranza a questo, dando modo ai medici di avere dei parametri per prescrivere una terapia del dolore, nei casi in cui ad esempio sia cronico, come per la fibromialgia.

Si tratta di una scala numerica da 0 a 10, sulla quale l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stabilito che 3 è il limite massimo ammesso. Per i bambini, per i quali esprimere il dolore attraverso valori numerici o attraverso il linguaggio potrebbe essere complicato, spesso viene usata una scala analoga che però utilizza delle immagini (ad esempio delle faccine) corrispondenti ai vari valori.

Il ruolo della psiche nella percezione del dolore

Il nostro stato emotivo può influenzare la soglia del dolore, alzandola o abbassandola. Una soglia del dolore più bassa può essere dovuta a disturbi psichici come depressione, ansia, fobia del dolore e a stati emotivi alterati come rabbia e frustrazione.

Ma la sfera psichica non influenza il dolore solo in presenza di specifici disturbi: l’interpretazione del dolore, l’aspettativa che se ne ha prima di provarlo e lo stato emotivo legato al contesto contribuiscono a farci sentire più o meno dolore.

Di solito infatti, quando proviamo sentimenti ed emozioni positive e anche il contesto è sereno, la soglia del dolore si alza, mentre quando ci troviamo in stati d’animo negativi o quando la nostra emotività è alterata da un disturbo d’ansia o dell’umore, tende ad abbassarsi.