Troppi caffè, troppa dipendenza: quando la caffeina prende il controllo

Scopri come riconoscere i segnali di abuso, ridurre gradualmente le dosi e ritrovare energia senza diventare schiavo della tazzina

Caffè, donna lo beve

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    “A che bell’ò cafè pure in carcere ’o sanno fa.” E qui nessuno osa o vuole dar torto a De Andrè, sia chiaro. Classico, lungo, corto, espresso, macchiato, moka o americano: il caffè è un rito, un gesto quotidiano che attraversa generazioni e abitudini. È l’aroma che si diffonde in cucina al mattino, il pretesto per una chiacchiera al bar, la pausa che interrompe la frenesia delle nostre giornate. Da secoli accompagna i nostri ritmi, fino a diventare quasi un’estensione del nostro modo di vivere. Ma, come talvolta accade, dietro ciò che amiamo di più si nasconde un’altra verità. Perché se una tazzina è un piacere, cinque o sei possono diventare un obbligo, una dipendenza. E a quel punto non siamo più noi a scegliere il caffè, ma lui che sceglie noi.

    Perché la caffeina può creare dipendenza

    La caffeina è una piccola molecola che ci tiene svegli, ma è anche una sostanza psicoattiva a tutti gli effetti, capace di innescare meccanismi di assuefazione che la scienza conosce bene. Il suo effetto è semplice e al tempo stesso insidioso.

    Agisce bloccando i recettori dell’adenosina, responsabili del rilassamento e della sonnolenza, mantenendo il sistema nervoso centrale in uno stato di allerta, attivando il metabolismo e la sensazione di sentirsi svegli, pronti, performanti. 

    Quando la caffeina non è solo parte della routine quotidiana, ma viene assunta più volte durante la giornata, il cervello si adatta: aumenta il numero di recettori dell’adenosina o ne modifica la sensibilità. Il risultato? Senza la solita dose, l’adenosina agisce più rapidamente, e il corpo ne richiede sempre di più, ma con un effetto sempre più debole. Questo porta alla richiesta di più caffè, ma anche più stanchezza. E, talvolta, anche un bel mal di testa.

    C’è persino un termine, poco usato ma preciso: caffeinismo. Indica quella condizione in cui l’assunzione eccessiva e costante di caffeina genera sintomi simili a una dipendenza leggera, ma pur sempre reale.

    Tale dipendenza non colpisce tutti allo stesso modo, c’è infatti chi può bere quattro caffè senza problemi e chi, dopo due, sente già il cuore accelerare. In generale, un consumo di 200-300 milligrammi al giorno, che corrispondono a circa tre tazzine di espresso, è considerato sicuro per gli adulti sani. Oltre quella soglia, però, il rischio di dipendenza aumenta.

    Come riconoscere i segnali di abuso

    C’è un modo per capire se stiamo esagerando? Sì, e spesso è il nostro corpo a parlarci per primo.

    Uno dei segnali più comuni è il mal di testa da astinenza. Basta saltare qualche tazzina che compare immediatamente una pressione alla fronte, seguita da una spossatezza inspiegabile, irritabilità e difficoltà a concentrarsi. 

    Il disturbo del sonno, poi, è un altro campanello d’allarme. Dormire bene è uno dei pilastri della nostra salute, tanto quanto mangiare in modo equilibrato o fare attività fisica. Chi consuma caffeina in modo eccessivo spesso tende a dormire in modo disturbato, svegliandosi più volte durante la notte o stanco al mattino. Il paradosso è che proprio quella stanchezza spinge a bere altro caffè, in un circolo vizioso che si autoalimenta.

    Sul piano psicologico, la caffeina può accentuare nervosismo e ansia. Diversi studi, descrivono un legame diretto tra consumo eccessivo e disturbi dell’umore, tanto che dopo la sospensione, possono comparire tensione, tremori, malumore.

    La vera dipendenza, però, si manifesta nel non riuscire a diminuirne l’assunzione. Quando la pausa caffè diventa un automatismo, quando il pensiero accompagna ogni ora della giornata, la dipendenza non è più solo una sensazione. È un fatto.

    Va detto che non ogni appassionato di caffè sia un dipendente. La differenza sta nell’impatto sulla vita quotidiana. Quando la caffeina condiziona sonno, umore e relazioni, allora sì, diventa un problema, una dipendenza psico-fisica come la definiscono gli esperti, che nasce dall’uso continuativo e si alimenta da sola, giorno dopo giorno.

    Il prezzo che paga il corpo

    Il caffè ci tiene in piedi, ma non deve essere il nostro motore. L’effetto più evidente della caffeina è un aumento temporaneo della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. 

    E se per chi è in buona salute può non apparire così grave, anche se comunque è necessario monitorare i parametri, per chi soffre di ipertensione o aritmie può essere un rischio concreto favorendo ipertensione e disturbi cardiovascolari.

    Non solo, il nostro stomaco non è progettato per assorbire una bevanda che stimola la secrezione di acidi gastrici, anzi una reazione diffusa è la comparsa del reflusso gastrico, fino alla gastrite.

    Il prezzo più alto, però, lo paga la mente. La caffeina amplifica la percezione dello stress. Nei momenti di tensione, molti si rifugiano in un espresso “per tirarsi su”, ma l’effetto è solo apparente. In realtà, si stimolano ulteriormente i recettori dopaminergici e noradrenergici, rendendo il cervello più agitato e meno stabile.

    Va sottolineato che, naturalmente, per quanto sia importante conoscere i rischi, non si tratta di una dipendenza paragonabile alle droghe. Questo perché anche gli effetti legati all’astinenza, durano pochi giorni, ma a volte bastano per scoraggiare chi ci prova. 

    Come liberarsi senza rinunciare al piacere

    Il primo passo è la consapevolezza e tenere a mente quante tazzine si bevono e quando, se è un gesto di piacere o un riflesso automatico. È così che molti comprendono come il caffè sia diventata un’abitudine più che un bisogno reale.

    Poi, ridurre gradualmente. Gli esperti consigliano di non tagliare di colpo, meglio diminuire lentamente, sostituendo una tazzina con un decaffeinato o un tè leggero mantenendo dunque il gesto attivo senza l’assunzione della sostanza scatenante. 

    Un’alimentazione equilibrata, movimento e idratazione aiutano a mantenere l’energia senza dipendere dalla tazzina. Nei primi giorni possono comparire mal di testa o sonnolenza, i disturbi svaniscono in pochi giorni, lasciando spazio a un sonno più profondo nelle ore corrette.

    Il caffè, in fondo, è parte della nostra cultura e delle nostre pause e va bene così, ma il confine tra piacere e dipendenza è sottile. Riconoscerlo è il primo passo per tornare a gustarlo davvero.

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