Il paracetamolo è uno dei farmaci più usati come analgesico e antipiretico, anche in fasi delicate come la gravidanza. Di recente, l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) hanno riaffermato le raccomandazioni sull’uso del paracetamolo in gravidanza, confermando che non vi sono attualmente nuove prove tali da giustificare un cambiamento delle linee guida.
Negli ultimi giorni, le autorità sanitarie europee hanno ribadito che il paracetamolo (noto come acetaminofene) rimane un’opzione terapeutica appropriata in gravidanza se clinicamente necessario, ma con la raccomandazione di impiegare la dose efficace più bassa per il tempo più breve possibile.
L’aggiornamento è significativo, dato che la questione suscita opinioni contrastanti: da un lato alcuni studi osservazionali segnalano associazioni deboli tra esposizione prenatale al farmaco e alcuni disturbi dello sviluppo; dall’altro diverse analisi e valutazioni regolatorie non ritengono le prove sufficienti per stabilire una relazione causale o per cambiare le raccomandazioni correnti.
Quando e perché si usa il paracetamolo in gravidanza?
Considerato relativamente sicuro alle dosi terapeutiche, il paracetamolo è ampiamente utilizzato come analgesico e antipiretico anche durante la gravidanza per gestire febbre e dolore, condizioni che, se non trattate, potrebbero essere pericolose per il nascituro: è disponibile da banco, ben noto e considerato il più sicuro rispetto ad altre alternative.
Durante la gravidanza, infatti, le alternative analgesiche e antipiretiche sono relativamente poche e molti farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), come l’ibuprofene, sono sconsigliati in alcuni periodi della gestazione, soprattutto nel terzo trimestre, a causa di possibili rischio per il feto (come per esempio la chiusura del dotto arterioso).
Il profilo di sicurezza del paracetamolo lo ha reso da tempo una scelta consolidata per le donne incinte nei casi di dolore o febbre. Tuttavia, negli ultimi anni, sono stati sollevati dubbi riguardo un’associazione tra l’uso di paracetamolo in gravidanza e un maggiore rischio di diagnosi di disturbi del neurosviluppo nei figli (come il disturbo da deficit di attenzione/iperattività o ADHD e lo spettro autistico). Queste osservazioni hanno riacceso l’attenzione pubblica.
Paracetamolo in gravidanza: cosa dicono EMA e AIFA
Nel 2019, il Comitato per la Valutazione dei Rischi in Farmacovigilanza (PRAC) dell’EMA condusse una revisione degli studi disponibili sull’uso del paracetamolo durante la gravidanza, soprattutto in termini di sviluppo neurologico nei bambini, giungendo alla conclusione che le evidenze erano inconcludenti e che non era possibile determinare un’associazione causale chiara tra esposizione prenatale al paracetamolo e effetti sul sistema urogenitale o sullo sviluppo neurocomportamentale nei figli.
Recentemente, complici le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la pressione mediatica, l’EMA ha riaffermato che non ci sono nuove evidenze sufficienti a modificare le raccomandazioni in vigore: il paracetamolo può essere usato in gravidanza se clinicamente necessario, sempre alla dose minima efficace e per il periodo più breve possibile.
Anche l’AIFA ha ribadito questa valutazione, sottolineando che, alla luce delle più recenti valutazioni a livello europeo, non emergono evidenze che giustifichino una revisione delle raccomandazioni vigenti.
Paracetamolo in gravidanza e rischi: da dove nascono le preoccupazioni?
Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha indagato su un possibile ruolo del paracetamolo assunto in gravidanza nello sviluppo di alterazioni nei nascituri. A tal proposito, alcuni studi osservazionali hanno suggerito un’associazione con disturbi comportamentali e sintomi simili all’ADHD, soprattutto in caso di esposizione prolungata.
Tra le analisi più recenti figura una revisione sistematica della letteratura pubblicata su Environmental Health (agosto 2025) che esaminava gli studi sull’uso del paracetamolo in gravidanza e nei bambini a cui è stato successivamente diagnosticato l’autismo o l’ADHD. Tali studi però hanno carattere osservazionale e, quindi, non dimostrano un nesso causale certo e possono essere influenzati da fattori cosiddetti confondenti (tra cui la difficoltà di distinguere gli effetti del farmaco da quelli della condizione che ne ha motivato l’uso, come febbre, dolore, infezioni).
I segnali di rischio emersi dagli studi osservazionali possono essere condizionati anche da uso, dosaggio e frequenza del paracetamolo e fattori genetici o ambientali condivisi all’interno delle famiglie, piuttosto che dal farmaco stesso.
A rimarcare i limiti di tali ricerche ci sono revisioni e ricerche più rigorose, come uno studio svedese effettuato su oltre 2 milioni di nascite che ha confrontato bambini esposti al paracetamolo durante la gravidanza con i fratelli non esposti (cioè i casi in cui una donna ha assunto acetaminofene in una gravidanza ma non in un’altra). I risultati non hanno sottolineato alcuna relazione causale tra uso prenatale di paracetamolo e autismo, ADHD o disabilità intellettiva.
Cosa deve sapere una donna incinta?
Alla luce delle conferme recenti, e considerando le incertezze rimaste, quando si è in gravidanza si può prendere il paracetamolo in modo ragionato. In particolare, seguendo le linee guida, si dovrebbe:
- usare il paracetamolo solo se necessario, cioè non assumere il farmaco “a scopo preventivo” o per lievi disagi senza una reale necessità clinica;
- utilizzare la dose più bassa che consenta il controllo del sintomo (dolore o febbre). Superare le dosi raccomandate aumenta il rischio di effetti avversi;
- evitare usi prolungati, interrompendo l’assunzione appena il disturbo regredisce;
- evitare somministrazioni ripetute o frequenti, se non strettamente necessario;
- chiedere il parere del medico curante o del ginecologo prima dell’assunzione del paracetamolo in modo da considerare benefici e rischi individuali e/o valutare cos’altro prendere al posto del paracetamolo in gravidanza.
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