Cure parentali: quando i ruoli si invertono

Possibile che facciano tutto le femmine? Ecco alcuni casi in cui sono i maschi a prendersi cura (più o meno) totalmente della prole

cure parentali ruoli invertiti

Sommario
    Tempo di lettura Tempo di lettura terminato
    0
    Time

    Nel mondo animale, come abbiamo già visto in questo articolo sulle cure parentali, la maggior parte delle volte sono le femmine a occuparsi della cura e del sostentamento della prole. Ma abbiamo visto anche che un sistema nuziale monogamico può evolversi solo con un beneficio reciproco dei partner o della prole. Quindi non serve scomodare mondi paralleli o realtà alternative per poter immaginare (e spiegare) specie animali in cui sono i maschi a fare tutto il lavoro.

    Quando i ruoli si invertono

    Semplificando al massimo, abbiamo visto come la selezione sessuale decide i ruoli degli attori in gioco: chi sceglie chi? Chi cura i piccoli? Tendenzialmente chi ha più da perdere, sceglie. E di conseguenza chi ha più da perdere si sforzerà maggiormente nelle cure parentali. Se investiamo tanto tempo e tante energie in qualcosa abbiamo un grande interesse a che il nostro investimento non sia vano.

    Nel mondo animale, di solito, sono le femmine ad avere di più da perdere. Di conseguenza sono loro che si spendono di più nel far sì che i piccoli sopravvivano fino alla maturità sessuale. È logico quindi chiedersi: ma se fossero i maschi ad avere di più da perdere? È possibile che a quel punto si evolva un sistema di cure parentali maschili? La risposta è sì. Abbiamo già visto alcune specie in cui si arriva a un equilibrio dello sforzo dei due genitori: quelle che in un precedente articolo abbiamo chiamato “cure bi-parentali”. In altre si arriva a un vero e proprio scambio di ruoli, fino ad arrivare addirittura a casi in cui i maschi rifiutano le femmine!

    Queste eccezioni avvengono soprattutto, ma non solo, nei pesci.

    Le prime eccezioni: i pesci

    Come in moltissimi altri animali, anche i maschi dei pesci producono e rilasciano molti più spermatozoi di quelli necessari alla fecondazione. Allora come ha fatto a svilupparsi un comportamento parentale da parte del maschio? In teoria tanti spermatozoi = tante potenziali partner. Il vantaggio deve essere “nascosto” da qualche altra parte. Andando a guardare più da vicino, però, possiamo notare un trucco. Nello spinarello (Spinachia spinachia) le femmine sono attratte da maschi che GIÀ stanno a guardia delle proprie uova. Questo dimostrerebbe la loro disponibilità a fare i genitori, ma anche la tendenza della femmina a sfruttare il cosiddetto effetto diluizione. Cos’è? Facile: sono su una torre con una freccetta in mano. Sotto di me ci sei solo tu. Chi posso colpire con la mia freccetta? Solo te (e prendo pure la mira). Ma se sotto di me siete in 1000, tu hai la probabilità dello 0,1% di essere scelto come bersaglio della mia freccetta. Lo stesso effetto che molti pesci utilizzano contro la predazione, muovendosi in grandi banchi. O le antilopi. O le zebre. O molti protagonisti di film polizieschi in cui cercano di mischiarsi nella folla. Non negli horror: lì c’è sempre uno che dice: “Dividiamoci!”. E infatti non fanno una bella fine, di solito.

    Torniamo allo spinarello. Perché il maschio è avvantaggiato nel comportarsi in modo “altruistico”? Perché riesce a badare a più covate contemporaneamente. Molte più di quelle a cui può badare una femmina. Per questo abbiamo una inversione dei ruoli: il maschio bada fino a 10 covate contemporaneamente. La femmina può badare solo alla propria. Senza contare che, oltre a fare la guardia alle uova, bisogna anche procurarsi del cibo. E l’eventuale mancanza di nutrimento influisce tantissimo sulla fecondità della femmina. Di conseguenza, la femmina è ben felice di sbolognare le uova al maschio e di tornare al suo buffet di plancton.

    A proposito di nutrimento e di impossibilità di mangiare, abbiamo anche il caso di molti pesci ciclidi. In Sarotherodon galilaeus i genitori incubano nel proprio cavo orale le uova già fecondate. E capite che diventa complicato mangiare senza per sbaglio inghiottirne una…

    Questo è un caso molto meno netto del precedente, in quanto sia il maschio sia la femmina hanno la capacità e la possibilità di attuare questo comportamento parentale. Tuttavia i costi non sono uguali nei due sessi. Ad esempio le femmine portano le uova in bocca per più tempo (11 giorni contro i 7 dei maschi). Inoltre, le femmine che covano producono, nella deposizione successiva, meno uova rispetto a un’altra femmina che invece non ha covato. I maschi quindi pagano un prezzo decisamente minore rispetto alle femmine; e questo potrebbe portare in un futuro non troppo lontano a un comportamento di cure parentali esclusivamente paterne.

    Infine abbiamo il caso in cui i maschi offrono qualcosa di più della “semplice” protezione. I maschi dei cavallucci marini, dei pesci ago e di altri pesci a loro imparentati posseggono una tasca di incubazione in cui le femmine possono deporre le uova! I maschi in questo modo non solo proteggono la nidiata, ma forniscono anche nutrimento e ossigeno e in più hanno la comodità della libertà di movimento, cosa fondamentale per la loro strategia riproduttiva. Infatti i maschi approfittano della competizione tra le femmine per poter scegliere la femmina “migliore”. La tasca ha uno spazio ridotto, può contenere solo un certo numero di uova, di solito molte meno di quelle che una femmina può produrre. Questo porta le femmine a una  competizione tra di loro per poter accedere alla tasca dei maschi.

    Gli insetti

    Anche in molti insetti abbiamo questa inversione dei ruoli nelle cure parentali. Ad esempio le femmine delle cimici d’acqua (Abedus sp.) depongono le proprie uova direttamente sul dorso dei maschi. Dopodiché ciaone. I maschi, uova in spalla, passano poi il tempo necessario all’incubazione delle uova a rimanere proprio sotto il pelo dell’acqua (che in uno stagno può variare parecchio). Questo per fornire il giusto grado di ossigenazione e idratazione alle uova. Come ha fatto a evolversi un comportamento così complicato?

    Dobbiamo tener presente dove insetti imparentati a queste cimici depongono le proprie uova: sugli steli delle piante acquatiche. Ma cosa succede se non ci sono steli in numero sufficiente? O se gli steli sono in uno stagno temporaneo, che quindi può scomparire nel giro di pochi giorni? In questo caso le uova deposte si disidraterebbero e non arriverebbero mai a schiusa. Perdendo così totalmente la possibilità di produrre una generazione di figli. Questa situazione ha portato ancestrali specie di cimici ad affinare la propria strategia riproduttiva, fino ad arrivare alla deposizione direttamente sulla schiena del partner.

    Altri insetti invece attuano una strategia più “romantica”: offrono un dono alla femmina. I maschi di alcuni tettigonidi, ad esempio il grillo dei Mormoni (Anabrus simplex),  producono una spermatofora commestibile, ovvero una teca contenente gli spermatozoi, che poi donano alla femmina. Poco romantico o accattivante? Lasciate fare: la spermatofora è estremamente ricca di proteine e la femmina accetta volentieri il regalo. Le spermatofore di alcune specie di tettigonidi sono talmente grandi che possono arrivare a pesare fino al 27% del peso del maschio! Provate voi a regalare 20/25 kg di cibo prodotto da voi alla vostra compagna. Nella cavalletta americana (Conocephalus nigropleurum) questa sacca è talmente grande che il maschio può permettersi il lusso di scegliere letteralmente a chi donarla. E di conseguenza con chi accoppiarsi.

    A tal proposito, mi viene in mente anche il caso di Pisaura mirabilis, un ragno molto diffuso in Europa. Per poter accoppiarsi con la femmina, il maschio le regala una preda appena catturata nella sua tela. Non solo, la impacchetta anche con la propria ragnatela. Essendo le femmine molto più grandi e aggressive dei maschi, questi ultimi sono praticamente costretti a ingraziarsela con qualche stratagemma. Il donare cibo, come ben si sa, è un ottimo modo per ingraziarsi qualcuno! Se la femmina ritiene adeguate le dimensioni del pacco del maschio (letteralmente, miei cari maliziosi), allora concede le proprie grazie. Dato che la femmina mangia durante l’accoppiamento, più grande è il pacchetto più tempo ci vorrà per scartarlo e mangiarlo e più spermatozoi verranno trasferiti. Tuttavia, alcuni maschi furbetti cercano di riprendersi la preda subito dopo l’accoppiamento, per poterlo utilizzare con un’altra femmina. Direte: bello stronzo. Eh no perché non c’è limite al peggio. Alcuni maschi, sfruttando il fatto che per mangiare bisogna prima scartare un discreto strato di ragnatela, impacchettano niente più che un sassolino o dei legnetti. In questo caso il maschio insemina il più velocemente possibile la femmina e scappa a zampe levate. Così facendo il maschio non solo ha ottenuto ciò che voleva, ma non ha nemmeno perso tempo ed energia per trovare una preda!

    I mammiferi

    Ed eccoci arrivati alle specie a noi più affini. Nel mondo dei mammiferi le cure parentali maschili sono relativamente rare. Fatta eccezione per i padri single…

    Ma esistono casi in cui sono esclusivamente i maschi a prendersi cura della prole? La risposta, con la dovuta approssimazione, è no. Il perché è facile da intuire: i maschi non producono latte.

    Esistono tuttavia delle situazioni “intermedie” in cui i maschi passano molto tempo ad accudire la propria prole. Abbiamo già discusso dei casi in cui i mammiferi maschi attuano una protezione più o meno attiva verso i propri figli.

    La maggior parte delle cure parentali da parte dei mammiferi maschi consiste nella protezione dei piccoli, direttamente o indirettamente. Ad esempio in alcune specie i maschi combattono letteralmente contro il predatore di turno per proteggere i piccoli. Tornando ai documentari sui leoni e gli elefanti già citati qualche articolo fa: sicuramente vi sarà capitato di assistere alla scena della caccia da parte delle leonesse. Queste cercano la preda più facile, ovvero un individuo debole o malato oppure un cucciolo. Gli elefanti ovviamente hanno una strategia per evitare tale atto di predazione, soprattutto per proteggere i più piccoli: mettono i cuccioli al centro del gruppo, mentre i maschi si tengono all’esterno. In questo modo le leonesse difficilmente riescono ad arrivare ai cuccioli.

    Con questa strategia, gli elefanti sfruttano sia il già citato effetto diluizione sia la prestanza fisica degli individui più forti. Difesa diretta.

    Per difesa indiretta consideriamo invece la difesa di un territorio, così come l’abbiamo analizzata in molti uccelli e primati. Ma anche in tanti altri mammiferi terrestri. Ad esempio nel topo californiano (Peromyscus californicus) in cui il maschio prepara e protegge il nido.

    Questo tipo di difesa indiretta della prole è sicuramente la più frequente nei mammiferi.

    Conclusione

    In conclusione: ogni regola presenta delle eccezioni. E anche la “regola” non scritta per cui sono le femmine a doversi prendere cura della prole ne presenta parecchie.

    Quello che non cambia è: chi ha più da perdere? Beh, sarà quello l’individuo che si occuperà maggiormente alla protezione dei figli. Si tratta insomma di fare un bilancio su costi e benefici.

    Fonti

    J.R. Krebs e N.B. Davies: Ecologia e comportamento animale ISBN 9788833928265

    J. Alcock: Etologia. Un approccio evolutivo ISBN 9788808067999

    Gubernick David J and Teferi Taye 2000 Adaptive significance of male parental care in a monogamous mammal Proc. R. Soc. Lond. B.267147–150

    Lascia il tuo commento

    Non verrà mostrata nei commenti
    A Good Magazine - Newsletter
    è il contenuto che ti fa bene! Resta aggiornato sulle malattie digitali