Cure parentali nel regno animale: cosa accade nei mammiferi?

Abbiamo già visto come ci sono strategie diverse riguardo la sopravvivenza della prole: la strategia r (tanti figli, speriamo che almeno uno riesca a sopravvivere e a riprodursi) e la strategia k (pochi figli, pieni di attenzioni). Ma è davvero così semplice? Cosa succede nei mammiferi, nei primati e nell’uomo?

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    Come già trattato in un precedente articolo sulle cure parentali negli animali, esistono principalmente 2 strategie per permettere ai propri figli (e di conseguenza ai propri geni) di sopravvivere e diffondersi. Ma abbiamo visto come le cose in realtà si complicano e come ci sono diverse eccezioni. Una per tutti, il parassitismo di cova del cuculo (che tanto odio ha ingiustamente ricevuto da parte di molti).

    Ma nei mammiferi la cosa si complica ulteriormente. Iniziamo a vedere come.

    Monogamia e cura della prole

    Innanzitutto va sottolineata una correlazione molto stretta tra monogamia e cure parentali nei mammiferi. E va anche fatta una precisazione: chi si prende cura effettivamente della prole? Il maschio, la femmina o entrambi? Riguardo questo punto abbiamo già in parte risposto nel precedente articolo, ma di nuovo dobbiamo scavare più in profondità. Dire mammiferi non è come dire pane. Se io dico “pane” possono venirvi in mente diversi tipi di pane: dal pane sciocco toscano alla baguette, dalla rosetta alla tartaruga. Difficilmente vi verrà in mente una bistecca, per il semplice fatto che non rientra in quella categoria. Se invece dico “cibo” ecco che può venirvi in mente anche la bistecca.

    Ecco, parlare di mammiferi in generale può essere estremamente fuorviante, in quanto questa classe contiene un numero enorme di ordini, famiglie, generi e infine specie. Parlare di leoni o di talpe, di pipistrelli o elefanti è molto diverso. Per questo partiremo vedendo le differenze generali con le altre classi, in particolare con gli uccelli, e poi vedremo come i diversi generi si comportano.

    Dopo questa divagazione, torniamo a bomba: monogamia e cure parentali sono strettamente connesse. Lo vediamo in molte specie di uccelli dove sia il maschio sia la femmina si prendono cura della prole: costruendo il nido, procacciando cibo, difendendo i piccoli da attacchi di altri animali, ecc ecc. In moltissimi casi gli uccelli, con qualche scappatella più o meno tollerata dal partner, sono animali monogami in cui entrambi i genitori si prendono cura dei cuccioli.

    E nei mammiferi? Beh se io vi dico “leone” a voi sicuramente vengono in mente le immagini del cartone Disney o di un qualche documentario. In entrambi avrete scoperto il loro sistema nuziale e come i leoni “curano” i propri piccoli: abbiamo un leone alpha che controlla un harem di femmine. In questo modo, il maschio alpha ha la certezza della paternità. Cosa succede se un altro maschio (Scar) vuole avere figli propri? Deve affrontare il maschio alpha (Mufasa), batterlo, scacciarlo o ucciderlo (eventualità rara ma non da escludere) e prendere il suo posto. E se nel gruppo ci sono già dei cuccioli? Beh questo è un bel problema! Le leonesse vanno in calore (e quindi sono feconde) ogni 2 anni circa! Il che significa, se i cuccioli sono appena nati, astinenza per 2 anni! Questo sì che è un bel problema: ho affrontato il maschio più forte, l’ho battuto, ho preso il suo posto e non posso nemmeno ciulare? Per di più con il rischio, nell’attesa, di essere spodestato da un nuovo maschio più giovane e forte?

    Per “fortuna” il nuovo maschio alpha ha un piano B: uccidere i cuccioli del predecessore. Questo evento così cruento e drammatico fa entrare nuovamente in calore le femmine e così lui può accoppiarsi e fare dei cuccioli propri. Con buona pace per Simba.

    Ma in cosa consistono queste cure parentali nei leoni? Il maschio, dopo l’accoppiamento e la fecondazione, ha un ruolo relativamente “marginale”. Si tratta di cure parentali di tipo passivo: protegge il territorio in cui vive il branco. Discorso diverso per le femmine: loro accudiscono i cuccioli nel senso più stretto del termine. Li proteggono in modo più attivo, insegnano loro come muoversi nella savana, oltre al più ovvio dei comportamenti: l’allattamento.

    E nei primati?

    Ma veniamo più vicino a noi. Cosa succede negli animali più strettamente imparentati all’uomo? Qui le cose cambiano. Molte scimmie (sia del vecchio che del nuovo mondo), a differenza della maggior parte degli altri mammiferi, hanno un sistema nuziale monogamo come succede per gli uccelli. Le “forze” che tengono unita la coppia sono simili, ma le dinamiche sono diverse: c’è sempre la necessità di propagare quanto più possibile i propri geni, ma il modo in cui ciò avviene segue strade diverse.

    Come sempre quando si parla di vita animale, non possiamo separare totalmente l’individuo oggetto di studio dall’ambiente in cui vive. Ecologia ed etologia sono strettamente imparentate e senza una attenta analisi della prima non avremmo una corretta interpretazione della seconda. Il sistema nuziale di molti animali dipende moltissimo dall’ambiente in cui vive o che controlla più o meno direttamente, o dalla probabilità di incontrare un membro del sesso opposto (più e ampio il territorio, meno probabilità ci sono), e così via. 

    Di conseguenza, anche tra i primati possiamo trovare specie che sfruttano un harem, come succede ad esempio con gli oranghi. Ma spesso troviamo un sistema monogamico, in cui non di rado il maschio offre aiuto nella cura della prole. Sui motivi di queste attenzioni del padre però si dibatte ancora. Molti pensano che in realtà sia una forma di corteggiamento da parte del maschio nei confronti della femmina, più che un vero interesse verso il piccolo.

    Ma anche qui troviamo dei comportamenti genitoriali estremamente variegati, a seconda della famiglia (nel senso tassonomico del termine) presa in considerazione. Andiamo dai comportamenti simili a quelli già visti per il leone (con alcune varianti) a comportamenti ben più complessi.

    Ad esempio in molti macachi (oggetto di studio per la mia tesi triennale) le cure parentali sono quasi esclusivamente di tipo materno. Ma anche i fratelli/sorelle maggiori hanno un ruolo fondamentale nel corretto sviluppo della socialità del piccolo. Ad esempio molti giovani macachi si avvicinano al cucciolo e mostrano diversi display facciali (per semplicità chiamiamole “boccacce”) che saranno fondamentali per la corretta comunicazione non verbale nella sua vita futura.

    In animali a noi ancora più vicini, come ad esempio alcune specie di ominidi, invece possiamo trovare un ulteriore sviluppo di queste cure parentali. Non si parla soltanto di mera difesa dei cuccioli, o del territorio, o di display facciali: in molti casi troviamo comportamenti molto più complessi. Ad esempio è stato registrato nei gorilla di montagna (e in diverse altre specie di primati, tra cui i sopracitati macachi) un comportamento che potremmo definire di adozione. Spesso se i genitori di un cucciolo muoiono per un qualche motivo, questo viene adottato da un’altra femmina del gruppo. In questo modo il cucciolo sopravvive e il gruppo non subisce una perdita numerica eccessiva.

    Fatto sta che le cure parentali nei primati sono fondamentali per diversi motivi! Innanzi tutto i neonati (come anche i nostri) nascono non ancora del tutto formati, a differenza di tantissimi altri animali. Pensiamo alle antilopi: il cucciolo nasce e in 2 minuti è in grado di correre e saltare in giro. Inoltre in questa specie le cure parentali sono quasi a esclusivo appannaggio della femmina e consistono per lo più nell’allattamento.

    Questo non succede nei primati. La prima risposta (in parte oramai istintiva) che si dà a questo fenomeno è: “Beh le antilopi sono prede, devono essere in grado da subito di correre per scappare a un eventuale attacco”. Bravi! Avete studiato! Ma questo non spiega perché ciò non debba avvenire nei primati. Non è che siccome non siamo prede (il che è tutto da verificare) non ci farebbe comodo essere in grado di camminare e mangiare da soli sin dai primi minuti di vita.

    I primati sono animali con una socialità molto varia e complessa, e questi primi mesi di vita servono ad esempio al cucciolo per imparare la comunicazione (orale e non) con gli altri membri del gruppo. Servono per sviluppare alcuni pattern di risposta agli stimoli esterni e così via.

    Ancora diverso è il caso dell’essere umano: presi appena nati, i cuccioli d’uomo sono ancora meno sviluppati rispetto ai corrispettivi cuccioli di gorilla (ad esempio). Perché?

    Perché hai già 3 giorni e non sai ancora camminare?

    La spiegazione a questa domanda è ampiamente dibattuta, ma proviamo a riassumere e semplificare un po’ la questione. Perché un cucciolo di gorilla a 3 giorni è già in grado di fare alcune cose (come ad esempio reggersi saldamente al pelo della madre) mentre un cucciolo d’uomo no? La risposta è nelle differenze strutturali tra queste due specie. E non parlo del pelo (o non solamente). Parlo della postura.

    È indubbio che una delle differenze maggiori tra noi e i nostri parenti ominidi stia proprio nella posizione bipede e nella stazione eretta. Questa novità che ha dato il via al genere Homo è stata uno dei più grandi fautori della nostra evoluzione. Stare in piedi su due gambe vuol dire, ad esempio, avere le mani libere per fare altro. È molto probabile che la nostra manualità, così come la forma e le capacità del nostro encefalo, si siano evolute proprio a partire dalla stazione eretta.

    Ma ha portato anche alcuni svantaggi. Uno su tutti, la rotazione all’indietro delle ossa del bacino. “E quindi? Chissene del bacino. C’ho le mani libere per poter usare lo smartphone e il pollice opponibile per messaggiare. Chissene del bacino!”. Eh no! La rotazione del bacino nelle femmine ha portato a un restringimento del canale del bacino, canale da cui dovrà passare il nascituro. E come si fa a far passare un neonato in un canale che l’evoluzione mi ha ristretto? Lo faccio nascere prima! Così è più piccolo, anche se meno sviluppato. Tanto ci sono mamma e papà che con le loro cure si occupano delle necessità che il neonato non può soddisfare da solo…

    Conclusioni

    Per concludere, cosa succede nei mammiferi? La risposta è estremamente varia. Abbiamo imparato ad esempio che la “crudeltà” di Scar (che rimarrà sempre il mio preferito) non serviva per ottenere il potere e diventare re, ma per poter avere dei cuccioli (piezz’ e core). Abbiamo visto come molti mammiferi come le antilopi attuano cure “minime” come l’allattamento, o come altri proteggano in modo più o meno interessato i cuccioli (questo vale soprattutto per i maschi).

    Infine, abbiamo visto come mai i nostri cuccioli hanno così tanto bisogno di attenzioni. Non solo devono imparare la socialità del nostro gruppo (con tutto quello che comporta, dai segnali visivi a quelli verbali), ma anche perché se nascessero più sviluppati (e quindi ad una età gestazionale più avanzata) ci potrebbero essere problemi nel parto. Già pensare a questi capoccioni e al luogo da cui escono fa sorgere delle domande, immaginate se queste testoline fossero ancora più grandi…

    Fonti

    J.R. Krebs e N.B. Davies: Ecologia e comportamento animale ISBN 9788833928265

    J. Alcock: Etologia. Un approccio evolutivo ISBN 9788808067999

    Thierry, B., Anderson, J.R. Adoption in Anthropoid primates. Int J Primatol 7, 191–216 (1986). https://doi.org/10.1007/BF02692318 

    Biopils

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