La depressione è una delle principali cause di disabilità in tutto il mondo e può avere un tremendo impatto sulla salute e sulla qualità della vita. Infatti, aumenta i costi sociosanitari, ma anche il rischio di sviluppare altre patologie e di mortalità. Ma nonostante ciò, il numero di antidepressivi consumati, seppur in aumento, se comparato all’impennata della depressione negli ultimi anni (complice la pandemia), resta non adeguato. Che succede?
Depressione in aumento
Già svariate volte l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva delineato il problema. Dal 2012 si prefigurava che nel 2020 la depressione sarebbe stata la patologia più diffusa tra i disturbi psichiatrici. Nel 2017 si eleggeva come maggior causa trainante per le 128 000 morti per suicidio che incombevano ogni anno nella regione europea. Il numero di disordini depressivi ammontava già a 40 milioni. Nel 2020, l’OMS stima circa 280 milioni di casi di depressione nel mondo, registrando oltre 700 000 morti per suicidio ogni anno. A seguito, arriva anche la certificazione dalla rivista The Lancet: nel 2020 l’incidenza dei disturbi d’ansia e depressione maggiore (la forma più grave) è aumentata del 25%. Sicuramente, il COVID-19 ha dato una bella spinta. Pandemia nella pandemia, effetto matrioska.
Ad oggi sono disponibili numerosi trattamenti efficaci, ma comunque gli stati depressivi sono spesso sottovalutati e poco riconosciuti. Ciò è dovuto, da una parte, ad una profonda demotivazione che accompagna i pazienti, e quindi ad una scarsa tendenza al chiedere aiuto, dall’altra da una relativa mancanza di formazione, di tempo e di strumenti che non permettono una diagnosi rapida, che in molti casi può essere determinante.
L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), nel suo Rapporto OsMed 2020, suggerisce un miglioramento nell’approccio terapeutico, soprattutto valutando il sotto-dosaggio nell’utilizzo in alcune terapie, l’uso incongruo di alcune classi di farmaci e il trattamento precoce della condizione depressiva.
Consumo di antidepressivi
Secondo lo stesso Rapporto, si è assistito ad un aumento nei consumi degli antidepressivi, sia in Europa che in Italia. Nonostante ciò, numerosi studi hanno evidenziato come soltanto una quota ridotta di soggetti sia in trattamento con tali farmaci in modo continuativo e appropriato. Tutto ciò si ripercuote sull’efficacia dei trattamenti farmacologici, con conseguente aumento delle complicanze e della spesa a carico del SSN (Servizio Sanitario Nazionale).
Negli ultimi sette anni si è assistito ad un aumento di oltre il 10% del consumo degli antidepressivi. C’è stato un incremento dell’1,7% nel consumo di antidepressivi dal 2019 al 2020, stando al 3,7% nel consumo totale di farmaci. La scadenza brevettuale di importanti principi attivi, quali escitalopram (2014), duloxetina (2015) e bupropione (2016), ha permesso un costo più contenuto per giornata di terapia.
In particolare, i farmaci che hanno mostrato un incremento maggiore sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI):
- la paroxetina, con 1,01 euro pro capite, si conferma la molecola a maggior spesa;
- la sertralina è quella a maggior consumo.
La Toscana continua ad essere la Regione italiana con il maggior utilizzo di farmaci antidepressivi con un valore quasi doppio rispetto alla Campania. Le Regioni del Centro hanno un livello di uso superiore di circa il 10% a quello del Nord e del 34% rispetto al Sud.
Un paziente su cinque riceve una sola prescrizione, ad indicare come spesso questi farmaci vengano prescritti per condizioni cliniche non legate alla patologia depressiva, ma che potrebbero essere trattate con approcci di tipo non farmacologico.
Incidenza
Di per sé, la depressione colpisce maggiormente le donne, le quali sono caratterizzate da un’incidenza di circa il doppio rispetto a quella per gli uomini. Nel 2020 sono emersi, in Italia, 5 nuovi casi di depressione ogni 1000 pazienti. Dal punto di vista geografico, le Regioni del Centro risultano caratterizzate da un valore di incidenza più elevata, rispetto a quelle del Nord e Sud. L’incremento del consumo degli antidepressivi nel 2020 è in linea con la tendenza documentata negli anni precedenti e sembrerebbe non essere stato influenzato dalla pandemia in corso. In realtà il fenomeno appare più complesso, dal momento che ci sono rilevanti differenze regionali e per macro-aree (diversa accessibilità regionale e differente ruolo dei medici in pandemia).
Quello che preoccupa è che durante la pandemia il 32% delle persone contagiate dal virus ha avuto sintomi depressivi e il 42% problemi di ansia e insonnia. E, con oltre 4 milioni e mezzo di casi dall’inizio della pandemia, la preoccupazione è lecita. La crisi economica, l’assenza dalle scuole, la scarsa possibilità di socializzare hanno portato, oltre agli adulti, a coinvolgere anche una grossa fetta di popolazione più giovane. Il ricorso agli psicofarmaci (antipsicotici in primis, antidepressivi in secundis) presenta un andamento crescente per età, raggiungendo il massimo nella fascia 12-17 anni di età, nella quale si registrano un tasso di prescrizione di 65 per 1000 bambini e una prevalenza dello 0,71%.
Se si considerano i dati sulla frequenza della patologia, quelli su prescrizione e aderenza al trattamento esaltano un loro sottoutilizzo e inadeguatezza. Questo quadro rappresenta, ormai da molti anni, una grande sfida per la sanità pubblica: si rende necessario un nuovo rapporto tra la medicina specialistica e la medicina generale. Se si considera che dei 49 milioni di confezioni di psicofarmaci venduti in Italia (36,5 milioni di antidepressivi e 12 milioni di antipsicotici) le confezioni di antidepressivi venduti in farmacia superano i 36 milioni, mentre 565.000 sono quelle fornite in distribuzione diretta (tramite i Servizi di salute mentale o gli ospedali), il termine di inappropriatezza prescrittiva assume ancora più valore.
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