Rituali di Natale: come rafforzano la nostra identità familiare?

Il Natale da sempre è un esempio dei comportamenti umani più comuni: l’utilizzo dei rituali. In che modo questi rituali hanno costruito la nostra identità e perché sembra che non possiamo farne a meno?

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    Il Natale non è solo una festività che ricorre ogni anno, ma è un periodo, piuttosto lungo costellato di rituali che lo accompagnano: pranzi e cene, addobbi, scambio di regali. Questi rituali possono portare a vari tipi di emozioni: nella maggior parte dei casi positive, ma spesso anche negative, poiché l’ansia da feste è sempre dietro l’angolo. Ma perché esistono questi rituali? Quanto influiscono sulla creazione di un’identità familiare? Quali possono essere le emozioni che vengono tramandate tramite questi riti? E perché spesso non possiamo farne a meno?

    I rituali e la costruzione dell’identità.

    Per la sociologia la costruzione dell’identità personale e collettiva avviene tramite due importanti fondamenti: il nome o emblema, ovvero quel sistema di forme simbolico espressive più elementari attraverso le quali gli individui di una collettività si riconoscono e il rito. Quest’ultimo soprattutto ha un potere di evocazione identitaria ancora più forte perché, mentre il simbolo agisce solo come “segno” evocativo, il rituale implica un’esperienza che si compie e non si limita solo ad “indicare” una realtà per descriverla. Esistono almeno quattro tipi di rituali: rievocativi, dimostrativi, regolativi e proiettivi. Il Natale può inserirsi comodamente sia nel rito rievocativo che in quello proiettivo. Infatti:

    • Il rito rievocativo: risponde a quella esigenza di consolidare il sentimento di appartenenza operando dei richiami su elementi della storia, reale o mitologica che sia, della collettività. Spesso avvengono rievocazioni simboliche o narrative che riguardano tutti quegli eventi che ne hanno segnato l’esistenza o la trasformazione. Con questi rituali i membri della collettività vanno a rispondere alla domanda “chi siamo?” attraverso l’atto del fare memoria. Così l’atto si iscrive nel culto che assume la valenza pedagogica del tenere vivi i ricordi e trarre forza ed energie positive da essi;
    • Il rito proiettivo: attraverso i quali una collettività esprime il bisogno di superamento del qui ed ora, il desiderio di una realtà altra in cui si proiettano quei valori e quegli ideali che rappresentano gli ideali aggreganti di una collettività. Hanno anche una liberazione catartica, di liberazione e rimozione dei sentimenti negativi dati dalla consapevolezza dei limiti derivanti dalle proprie condizioni di esistenza. Sono riti per lo più religiosi, caratterizzati dal senso di attesa e di speranza del suo compimento (vedi la nascita di Gesù bambino).

    In questo senso il Natale, visto come insieme di rituali sia dimostrativo che proiettivo, risponde a due bisogni essenziali della vita di una collettività, ovvero: il bisogno di stabilire le proprie origini (dimensione fondativa) e il bisogno di dare un senso alla propria esistenza (dimensione escatologica).

    Perché il Natale crea forti emozioni nell’individuo e nella collettività?

    Come ogni buon rito sacro che si rispetti, anche il Natale è di per sé un insieme di riti solenni e dal carattere sacro. Questo fa sì che la sua celebrazione porti a situazioni di emozionalità collettiva alimentando sentimenti di unità, coesione e solidarietà tra gli individui, riuscendo spesso a far superare – o almeno sospendere – gli effetti negativi della separazione e delle distanze (culturali, di status sociale o relazionali) o anche dei conflitti che possono essere presenti all’interno di una comunità. Ovviamente questo avviene anche in piccole comunità, come quelle familiari, nelle quali per l’appunto, nel periodo natalizio si tenta di sospendere conflittualità o discussioni con membri dello stesso nucleo con i quali non si è in rapporto durante il resto dell’anno.

    Natale, identità familiare anche al di là della religione.

    Nella vita sociale di ogni individuo la famiglia è quasi sempre al primo posto influenzando con i suoi “riti quotidiani” la vita di ogni membro del nucleo. Anche la “normalità”, con i suoi schemi, è, infatti, un rito e far parte di questo rituale aiuta ad aumentare il senso di appartenenza ad una comunità. Il Natale, nell’ottica cristiana rinforza una serie di valori: la nascita, l’unione, il perdono. Ma anche per chi è ateo è vista come una festa: un momento in cui celebrare la propria famiglia e le persone care. Il Natale è un momento in cui torniamo all’infanzia, in cui si rivendica il diritto a stare bene, divertirsi e passare del tempo con le persone che amiamo. Questa festa celebra da sempre l’unità familiare e l’amore, da sempre crea un’identità familiare e la tramanda di generazione in generazione. La ciclicità di questo rito crea la memoria, un album di ricordi felici che ritornano ogni anno e che ci ricordano appunto chi siamo e da dove veniamo. 

    Natale e famiglia: quel bisogno di non sentirsi soli.

    Proprio a causa di questa ritualità nell’incontro familiare e dei propri cari c’è un bisogno fondamentale che scatta all’arrivo delle feste di Natale: quello di non sentirsi soli, di amare e sentirsi amati. Non tutti però hanno la fortuna di essere vicini ai propri familiari, di potersi ritrovare e quindi qui può giungere anche quella che viene definita “ansia da festività”. Il Natale può causare gioia ma anche grandi sofferenze e acuire le sensazioni di solitudine nell’individuo. Allora perché spesso non possiamo farne a meno? Sia di festeggiarlo, sia di compiere tutti quegli atti che vanno a comporre il rito del Natale?

    Il Natale e il rito del consumismo per Umberto Galimberti.

    Secondo Galimberti, filosofo, saggista e psicoanalista il Natale è sì rito, ma non più cristiano, anzi ormai ateo da tempo. Di religioso è rimasto solo il rito che si ripete, la ricorrenza che ritorna, la festa comandata dall’economia che ci spinge al consumismo più sfrenato, dove il consumo e lo spreco sono sotto gli occhi di tutti. 

    “Nel momento infatti in cui la società è passata dallo stato di bisogno allo stato di soddisfazione smodata del bisogno, la morale del cristianesimo ha finito la sua storia. […] Per questo un sottile, ma pervasivo senso di colpa, connesso al nostro privilegio, accompagna gli acquisti natalizi con cui nelle nostre case allestiamo l’albero di Natale. Simbolo non cristiano dove traluce il nostro benessere, e che perciò ha preso il posto del presepe cristiano che è invece uno spettacolo della povertà.”

    Probabilmente quindi il Natale, con le sue ritualità, spesso dettate dal consumismo e dall’ansia sociale ci costringe ad uniformarci nelle nostre azioni, anche se benefiche nei confronti dell’altro. Questo fa sì che non riusciamo a fare a meno di comprare regali, addobbi nuovi ogni anno per il decoro della casa, imbandire tavole sfarzose e mangiare con fin troppa voracità.

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