Spesso l’emicrania viene sottovalutata ma si tratta di una vera e propria malattia che provoca un livello di dolore talmente elevato da non permettere alla persone che ne soffrono di svolgere le attività quotidiane ordinarie. L’emicrania si presenta come malattia di genere che colpisce il genere femminile, infatti nelle donne questa malattia si presenta in forma più severa rispetto all’uomo manifestando attacchi più frequenti, di maggiore intensità e durata. Scopriamo perché.
Emicrania: cos’è?
Come già anticipato, l’emicrania è una malattia neurologica che affligge soprattutto il sesso femminile e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta la terza patologia più frequente e la seconda più disabilitante del genere umano.
L’emicrania viene spesso sottovalutata e considerata al pari di un semplice mal di testa: ma questo è un errore da non commettere! L’emicrania, infatti, non è un sintomo (come il mal di testa) ma è la malattia che si sostanza in attacchi ricorrenti e persistenti che hanno un forte impatto negativo sulla qualità della vita del soggetto che ne soffre, fino a danneggiare l’ambito affettivo-familiare e quello lavorativo o scolastico.
Come vedremo più avanti, l’emicrania si sostanzia in attacchi episodici che generano sintomi per la durata da 4 a 72 ore. Il dolore è forte, pulsante e peggiora durante lo sforzo fisico, in più spesso è accompagnato da sintomi quali nausea e ipersensibilità a luce, suoni o odori.
In base alla frequenza con cui si registra, l’emicrania può essere distinta in due tipologie:
- forma episodica (fino a 14 giorni al mese);
- forma cronica (più di 15 giorni al mese per almeno 3 mesi).
Ma vediamo nel dettaglio cosa comporta nella vita di tutti i giorni.
Non un semplice mal di testa: sintomi e durata
Già analizzando i sintomi e la durata dell’emicrania, si comprende perché questa malattia sia così invalidante per la persona che ne soffre.
Generalmente, l’emicrania dura diversi giorni e rappresenta un processo multifasico sequenziale che può comparire già 24 ore prima del dolore, con sintomi quali stanchezza, irritabilità, depressione, sbadiglio, particolare appetito per dolci (e tra questi il cioccolato) per poi sfociare nell’attacco vero e proprio che dura dalle 4 alle 72 ore. È in questa fase che si presenta il dolore acuto (che interessa tipicamente una metà del capo) insieme ad alcuni sintomi vegetativi quali la nausea, spesso molto intensa, e il vomito, caratterizzato talora da conati ripetuti. Il dolore è pulsante e si esaspera con il minimo movimento, costringendo il soggetto ad isolarsi da rumori e luci, che possono peggiorare lo stato di fastidio. Ma l’attacco non finisce qui: a questo segue una fase disabilitante, con stanchezza, inappetenza, vertigini e altri fattori che possono prolungare l’incapacità del paziente a riprendere le normali attività anche dopo il termine del dolore.
Va detto poi che nel 30% dei soggetti, la fase dolorosa è preceduta dalla cosiddetta aura, cioè da un sintomo neurologico focale (in genere disturbi del campo visivo, alterazioni della sensibilità a un arto superiore e alla corrispondente metà del volto, difficoltà a convertire il pensiero in parole) che dura mediamente 20-30 minuti, dissolvendosi poi con la comparsa della fase dolorosa.
Da quanto affermato finora, risulta facile comprendere la gravità della malattia e le conseguenze negative che questa può avere nella vita di chi ne soffre.
Sono interessanti alcuni dati che mostrano l’impatto severo che l’emicrania ha sulle attività quotidiane domestiche, scolastiche, lavorative e di svago, specialmente nella donna: il 28% delle pazienti (a fronte del 17,7% dei pazienti di sesso maschile) riferisce di aver perso più di 10 giorni di attività negli ultimi 3 mesi (dati UE). Inoltre, riferisce nello stesso intervallo di tempo una riduzione della produttività scolastica o lavorativa (più del 50%).
Occorre poi considerare anche il peso rilevante della malattia in termini socio-economici: sia per i costi diretti (farmaci, visite mediche, test diagnostici), ma anche nella perdita di produttività (giorni di assenza dal lavoro, minori prestazioni sul lavoro, opportunità di carriera perse). In più, a peggiorare il quadro clinico si aggiunge anche la comorbilità, ovvero la coesistenza di diverse patologie. A tal proposito l’emicrania si affianca spesso ad altre patologie e, in generale, può facilitare l’insorgenza di disturbi ansiosi e/o depressivi. Per di più l’emicrania comporta spesso disturbi del sonno, impattando così pesantemente sul benessere psico-fisico e sulla qualità della vita di chi ne soffre.
In sintesi l’emicrania va riconosciuta a livello “sociale” come una patologia vera e propria, invalidante, che ha gravi conseguenze nella vita quotidiana del paziente.
L’emicrania sulle donne, un po’ di numeri:
La Medicina di Genere (MdG) rappresenta un approccio biomedico finalizzato a prevenire, diagnosticare e curare tutte le malattie comuni ai due sessi e che spesso incidono diversamente su uomo e donna. L’emicrania è a tutti gli effetti una di queste: è una patologia che colpisce il 14% della popolazione mondiale, con una prevalenza tre volte maggiore nelle donne (rapporto uomo/donna 1:3).
Se poi ci spostiamo nel panorama italiano, la situazione peggiora: un’indagine svolta su 3500 soggetti della ASL di Pavia, intervistati mediante questionario postale, ha evidenziato una percentuale di soggetti affetti pari al 42,9% (54,6% nel sesso femminile, 32,5% in quello maschile).
L’emicrania è ,quindi, una patologia di genere che riguarda principalmente le donne in età giovane-adulta. Infatti, nella donna l’emicrania raggiunge il suo apice nella quarta e quinta decade di vita, quindi nel periodo di maggiore produttività lavorativa e sociale.
Questo perché l’emicrania segue l’andamento delle fluttuazioni degli ormoni sessuali femminili, presentando fasi più severe nei giorni delle mestruazioni e dell’ovulazione, manifestando un peggioramento in 1 caso su 3 con la menopausa.
Ma c’è di più: nelle donne, non solo l’emicrania si presenta con maggior frequenza, ma anche in forma più severa e con attacchi di maggior durata. Inoltre risulta essere anche accompagnata da sintomi più marcati.
Ma perché ne soffrono più le donne?
Appurato che l’emicrania sia a tutti gli effetti una malattia di genere, cerchiamo di capire il motivo per cui questa malattia interessa per lo più le donne.
Per indagare la questione, ci viene in soccorso lo studio condotto dal Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con il CERGAS SDA Bocconi School of Management. La ricerca si è proposta di indagare l’effetto dell’emicrania con particolare attenzione alle differenze di genere.
Dall’analisi emerge che le donne presentano, molto più frequentemente degli uomini, multiple condizioni dolorose concomitanti. Questa maggiore suscettibilità al dolore della donna risulta dovuta alle caratteristiche del genere femminile, che si riflettono su due sfere:
- Per quanto riguarda il piano sensitivo, giocano un ruolo fondamentale le differenze anatomiche, ormonali e fisiologiche, che spiegano una maggiore possibilità di sviluppare patologie che provocano dolore e una più bassa soglia di percezione del dolore rispetto all’uomo. In particolare, le elevate concentrazioni di estrogeni influenzano l’attività del sistema nervoso, rendendolo più sensibile e reattivo agli stimoli (anche a quelli dolorosi): in pratica le donne sono più ricettive allo stimolo doloroso, lo registrano con maggiore intensità e lo ricordano meglio.
- Mentre sul piano emotivo, la donna ha un rapporto intimo con il dolore, spesso chiamata a occuparsi e a farsi carico della sofferenza altrui, diventando così particolarmente empatica e sensibile al fenomeno.
Secondo lo studio, quindi, sono questi due fattori a decretare e spiegare il motivo per cui l’emicrania sia una malattia di genere.
Per concludere
Sulla base di quanto affermato, abbiamo compreso che l’emicrania è malattia neurologica di genere che affligge soprattutto il sesso femminile (con un rapporto uomo/donna 3:1).
Si tratta di una reale patologia che ha un impatto negativo sulla vita quotidiane del paziente che ne soffre, impedendo il raggiungimento del proprio benessere psico-fisico.
Come abbiamo visto, le motivazioni per cui la malattia interessa maggiormente il genere femminile riguardano le differenze di genere anatomiche, ormonali e fisiologiche, ma anche a livello emotivo.
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