È datata 10 luglio 2020 la notizia che presso l’Università di Shangai è stato creato un fegato bio-artificiale che secondo gli studiosi potrebbe diventare una speranza di salvezza per i pazienti con gravi disfunzioni epatiche (condizioni che risultano fatali fino all’80% dei casi) .
L’organo artificiale, costituito da un bioreattore che possiede una struttura biocompatibile sulla quale crescono cellule epatiche, è già stato sottoposto a un test di studio su maiali, pubblicato sulla rivista Scienze Traslational Medicine.
Gli animali testati, affetti da un’insufficienza epatica indotta, sono stati collegati al fegato bio-artificiale attraverso la circolazione sanguigna. In questo modo, in sole tre ore di trattamento, grazie alle cellule epatiche del bioreattore e ad un sistema di filtraggio, il sangue è stato ripulito riducendo l’infiammazione e in alcuni casi permettendo una rigenerazione parziale del fegato.
Chiaramente, prima di poter iniziare dei trial clinici sui pazienti, saranno necessari altri test su animali, ma questa notizia è comunque fonte di grande speranza per tutte le persone affette da insufficienza epatica acuta, che al momento possiedono come unica forma di salvezza il trapianto.
Bioingegneria: un settore in continuo sviluppo
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica sta progredendo in maniera esponenziale, aumentando le possibilità di trattamento e cura di molte malattie che fino ad oggi erano considerate incurabili: dalle malattie genetiche a quelle degenerative, fino ai tumori.
In particolare, la bioingegneria e la realtà virtuale che si occupano della ricerca e dello sviluppo in campo medico, unendo le competenze dell’ingegneria, della biologia e della medicina, hanno conosciuto una crescita costante che hanno portato a importanti risultati, riuscendo a riprodurre, proprio come nel caso del fegato bio-artificiale, dei dispositivi che andassero a sostituire organi o parti del corpo danneggiati senza rischiare di incorrere nel problema del rigetto, tipico del trapianto.
Se inizialmente si trattava di dispositivi interamente meccanici o elettronici, spesso ingombranti e collegati dall’esterno al corpo del paziente, adesso, come abbiamo visto, si tratta di ibridi che combinano parti meccaniche e parti biocompatibili, che possono essere inserite all’interno del paziente, garantendo così una migliore qualità di vita, oltre che la possibilità di guarigione.
La ricerca ha raggiunto livelli talmente avanzati da essere riuscita persino a riprodurre delle sinapsi artificiali in grado di connettere le cellule neuronali.
Sinapsi artificiale bioibrida
La ricerca, pubblicata su Nature Materials, è frutto della collaborazione tra i ricercatori della Standford University, con l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e l’Eindhoven University of Technology. I tre team sono riusciti a testare la prima versione bioibrida di una sinapsi artificiale e a dimostrare la sua capacità di comunicare attraverso segnali elettrochimici, in poche parole esattamente come avviene con neuroni normali (fino ad ora i segnali erano solo elettrici)
La sinapsi artificiale bioibrida è formata da due elettrodi di materiale polimerico morbido, separati da uno spazio – che ha funzione di fessura sinaptica- riempito di soluzione elettrolitica(capace quindi di condurre l’elettricità) .
Questa sperimentazione permetterà di realizzare interi circuiti neurali in grado di sostituire quelli danneggiati da patologie che colpiscono il sistema nervoso. Anche se, come nel caso del fegato bio-artificiale, dovrà passare ancora del tempo per poter ottenere un’applicazione clinica di questa incredibile innovazione.
Non solo organi bio-artificiali: il futuro sono gli organoidi?
Se per gli organi bioartificiali parliamo di strutture ibride, costituite in parte da elementi artificiali e in parte biocompatibili, quando parliamo di organoidi intendiamo strutture interamente biologiche che potrebbero essere il vero futuro della bioingegneria e della chirurgia sostitutiva.
Gli organoidi sono devi veri e propri ammassi di cellule che, assemblati in forma tridimensionale, assumono le fattezze di organi in miniatura.
La capacità di organizzazione e distribuzione di queste cellule che segue i passaggi fondamentali del processo di organogenesi (processo che porta alla costruzione di organi e tessuti), li ha resi dei modelli cellulari in 3D unici per poter ottenere informazioni sullo sviluppo dei vari organi e sulle interazioni tra i tessuti che li formano e, non meno importante, li ha resi elementi perfetti per la creazione di organi complessi come la pelle umana.
Organoidi che riproducono la pelle umana
Partendo dalle cellule staminali, il dottor Koehler insieme al suo gruppo di ricerca dell’Harvard Medical School, è riuscito a creare degli organoidi cutanei che riproducono la complessità della pelle umana.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature a giugno 2020, descrive come gli scienziati siano riusciti a ricreare esattamente l’architettura della pelle, riuscendo a ripercorrerne lo sviluppo e ottenendo degli innesti che sono stati impiantati con successo su dei topi.
Anche in questo caso, come nei precedenti già visti si tratta di una sperimentazione agli inizi: occorreranno ancora tempo e sperimentazioni sugli animali prima di poter avere un’applicazione sul genere umano.
I risultati di questi studi rimangono comunque incoraggianti e donano speranza a tutti quei pazienti affetti da malattie che purtroppo non possiedono alcuna terapia.
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