Ecco come la malattia può diventare un’opportunità

Le storie di chi ha scelto di avere più coraggio che paura e di vedere la malattia come un punto di partenza o addirittura come un punto di forza. La storia di Mario e dei suoi genitori e la storia di Ruth e dei suoi fratelli Sam e Remi. Impariamo da loro.

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    Sono i momenti difficili a dirci chi siamo davvero

    “Quando sono debole allora sono forte” queste parole sono di Andrew Salomon, scrittore che ha trascorso la sua carriera raccontando storie sulle difficoltà, sue e di altri, per dimostrare che sono i momenti più difficili della vita a dirci davvero chi siamo. 

    Spesso l’uomo è alla ricerca di un senso, di una verità per spiegare cose che sono difficili da capire, da accettare, un senso che racconti chi diventiamo dopo aver vissuto un’esperienza che ci ha forgiato. Spesso per raggiungere questo obiettivo è necessario far sì che i traumi diventino una parte integrante di noi stessi, trasformando il racconto di una malattia, nella storia di un trionfo.

    È probabile che questa storia possa aiutare chi si trova nella stessa situazione, perché l’importante, mentre si vivono le difficoltà, è decidere se vogliamo vederle come un fallimento o come un’opportunità.  

    Considerare quello che si perde come un’opportunità

    La storia di Roberto e Francesca ha inizio con la nascita del loro figlio Mario. Dopo una gravidanza difficile scoprono che il bambino aveva avuto un ictus perinatale ed era incapace di controllare la parte sinistra del corpo.

    Francesca e Roberto si sono subito chiesti se Mario sarebbe stato “normale”, se avrebbe avuto una vita piena. E hanno avuto paura.

    “Nessuno ci aveva insegnato ad affrontare questo tipo di disabilità, e sono cominciate a sorgere tante domande. È stato un periodo davvero difficile- spiega Roberto – Domande basilari sul perché fosse successo a noi, cosa fosse andato storto. Alcune più difficili come quale sarebbe stato l’impatto sulla vita di Mario, se sarebbe stato in grado di lavorare, se avrebbe avuto una vita normale”

    Hanno rivisto la loro vita sulla base delle esigenze del bambino: la fisioterapia e la riabilitazione, con cui hanno iniziato educare Mario secondo il metodo dei “neuroni specchio”, ovvero sulla capacità di questi neuroni di attivarsi sia quando compiamo una determinata azione sia quando vediamo qualcuno compierla. I neuroni a specchio si accendono per cause motorie, come muovere una mano e per cause sensoriali, come vedere qualcuno che muove una mano. 

    “Ma un giorno abbiamo scoperto che Mario non guardava la nostra mano. Guardava noi.”

    Questa svolta durante il percorso di riabilitazione ha completamente cambiato il modo di vedere le cose che avevano Roberto e Francesca, erano loro il suo specchio e Mario li vedeva abbattuti, impauriti e depressi. Quel giorno hanno capito che sarebbero dovuti diventare uno specchio migliore per loro figlio.

     “Abbiamo smesso di vedere quello che ci era successo come un problema, e abbiamo iniziato a vederlo come un’opportunità di miglioramento. Questo è stato il cambiamento. Dal canto nostro abbiamo detto, “Quali sono i nostri punti di forza che possiamo veramente trasmettere a Mario?” Abbiamo iniziato dalle nostre passioni”

    Roberto e Francesca hanno iniziato a mostrare a Mario tutto ciò che amavano. A trasmettergli la gioia delle cose che li appassionavano, hanno iniziato a portarlo con loro ovunque andassero a divertirsi.

    Oggi Mario ha due anni e mezzo e riesce comunicare bene con la parte sinistra del suo corpo e anche se il percorso sarà ancora lungo questo traguardo è già di per sé un miracolo.

    “Vogliamo condividere la lezione più importante che ci ha dato Mario, ossia considerare ciò che avete come un dono e quello che avete perso come un’opportunità.”

    Se la società non ti crede normale forse è perché sei straordinario

    Faith Jegede è cresciuta con due fratelli, Sam e Remi, entrambi autistici.

    Faith racconta di Remi come di un ragazzo che sa cos’è l’amore. E lo condivide in maniera straordinaria, a prescindere da tutto. Sam, è più piccolo e ha una memoria incredibile. Ma selettiva, si ricorda tutte le canzoni sull’ipod di Faith ma non se le ha rubato del cioccolato. 

    Sembrano incredibili. Anche se sicuramente le loro menti non rientrano in quello che la società ritiene sia normale, vengono spesso evitati e non compresi. L’autismo è un disturbo cerebrale che incide sulla comunicazione sociale, sull’apprendimento e qualche volta sulle capacità fisiche. Si manifesta diversamente in ogni individuo, come nel caso di Sam e Remi.

    Chi ha a che fare con l’autismo sa che questo spesso può rappresentare una disabilità, come nella famiglia di Faith dove sicuramente non sono mancati momenti difficili ma si può decidere di raccontare e di vivere tutte le storie in diversi modi e se la società sceglie di vedere le persone autistiche come “anormali” forse è un bene, forse sono straordinarie.

     “Se ripenso alle cose che mi hanno insegnato sull’individualità, la comunicazione e l’amore, mi rendo conto che sono cose che non vorrei cambiare con la normalità – racconta Faith-  Alla normalità sfugge la bellezza che ci danno le differenze. E il fatto di essere diversi non significa che uno di noi sia sbagliato. Significa solo che esiste un diverso tipo di giusto. Se potessi dire solo una cosa a Remi e a Sam e a voi, vi direi che non dovete essere normali. Potete essere straordinari.”

    Autistici o meno sono le nostre storie che ci distinguono, le nostre differenze che fanno di noi quello che siamo e se l’autismo diventa un’opportunità per sottolinearlo e ricordarlo allora prendiamo esempio. 

    “Inseguire la normalità è il supremo sacrificio possibile. Le opportunità di grandezza, di progresso e di cambiamento muoiono nel momento in cui cerchiamo di essere qualcun altro”

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