Eseguito a Catania il primo trapianto di utero in Italia

L’intervento è stato effettuato su una giovane di 29 anni nata priva di utero. Fondamentale la scelta fatta in vita da una donna toscana donatrice di organi

In Italia primo trapianto di utero

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    Il primo trapianto di utero in Italia

    Il primo trapianto di utero in Italia è stato realizzato al centro trapianti del Policlinico di Catania, la ricevente è una donna di 29 anni priva di utero fin dalla nascita a causa della sindrome di Rokitansky. La giovane è stata seguita da un’equipe multidisciplinare ed è stata la prima di una lista di 16 potenziali candidate a beneficiare di questo intervento storico. Come da protocollo, l’organo proviene da una donna deceduta dell’età di 37 anni che in vita aveva espresso la volontà di essere considerata donatrice di organi e che, con questa scelta, ha salvato, anche altre persone. La notizia è stata data dal Centro Nazionale Trapianti, nel cui comunicato si legge inoltre che la paziente che ha ricevuto l’utero sta bene, ma che l’esito del trapianto sarà più chiaro nei prossimi giorni.

    Cosa prevede il protocollo sperimentale

    Il primo intervento arriva a due anni dall’approvazione da parte del Centro Nazionale Trapianti del protocollo sperimentale, proposto nell’agosto del 2017 dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Vittorio Emanuele e dall’Ospedale Cannizzaro di Catania. Il protocollo dell’ospedale siciliano prevede uno specifico percorso clinico-assistenziale di 3 anni rivolto a 2 o 3 pazienti all’anno, di un’età compresa tra i 18 e 40 anni: le donne a cui si rivolge questo tipo di trapianto sono affette da infertilità assoluta del fattore uterino, sia congenita, come nella sindrome della prima ricevente italiana, sia causata da isterectomia per neoplasie o complicanze ostetriche. Le donatrici, invece, devono essere donne decedute in un’età compresa tra i 18 e i 40 anni che non abbiano subito tagli cesarei, ma possono essere andate incontro a una gravidanza terminata con parto naturale, come nel caso della donatrice di 37 anni coinvolta in questo trapianto.

    La chirurgia del trapianto di utero richiede capacità chirurgiche paragonabili a quelle del chirurgo ginecologo oncologo: prevede innanzitutto che venga mantenuta l’integrità anatomica dell’organo durante l’asportazione da donatrice, compreso il complesso sistema vascolare fondamentale per il trofismo, ma altrettanto importante, in fase di innesto, è la sua stabilizzazione, affinché ne sia garantita la funzione. L’iter specifico di questo protocollo prevede che, una volta eseguito l’intervento, trascorra prima di tutto un periodo utile dopo il quale si possa dichiarare riuscito il trapianto dal punto di vista funzionale; poi, dopo un anno, è possibile iniziare un percorso di procreazione medicalmente assistita. Una volta raggiunto il termine, il parto avviene attraverso taglio cesareo, successivamente l’utero viene rimosso chirurgicamente, il che non comporta la necessità per la donna di sottoporsi a terapia immunosoppressiva per scongiurare il rigetto dell’organo.

    Altri casi di trapianti di utero

    Questo tipo di trapianto non ha certo lasciato senza dubbi dal punto di vista etico, come si legge dal parere del Consiglio Superiore di Sanità. Sebbene l’utero non sia considerato un organo vitale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce però nella sterilità della donna una disabilità, in quanto si viene a trovare menomata di una funzione, e questo ha contribuito a indurre il Consiglio a rilasciare parere positivo. Il primo trapianto di utero al mondo era stato realizzato nel 2000 in Arabia Saudita, ma l’utero venne rimosso per complicanze tre mesi dopo l’intervento. Il primo trapianto di successo, invece, ha avuto luogo in Svezia nel 2012 e da allora, nel Paese, sono stati a decine gli uteri trapiantati con un buon esito e che hanno visto seguire delle nascite di bambini sani.

    L’importanza della donazione di organi e tessuti

    Il trapianto dell’utero, come quello degli altri organi e tessuti, prevede sempre un’amara faccia della medaglia che si lega al donatore che è venuto a mancare. Scegliere in vita di essere considerato un donatore, però, è una decisione che può salvare molte persone, spesso molto giovani. Come funziona? In Italia la donazione in vita è consentita solo per il rene oppure per una porzione di fegato, pancreas o intestino. Dopo la morte, è concesso donare cuore, polmoni, rene, fegato, pancreas e intestino, oltre a tessuti come pelle, ossa e vasi sanguigni. Per donare gli organi dopo la morte si può esprimere la propria volontà in più modi: direttamente sulla carta di identità al rilascio o al rinnovo negli uffici comunali; firmando un modulo apposito alla ASL; compilando il tesserino blu del Ministero della Salute oppure l’atto olografo dell’AIDO. Esiste infine la possibilità di dichiarare la volontà attraverso una dichiarazione su foglio bianco che contenga data e firma.

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