“La pandemia ha inciso negativamente sull’occupazione delle donne e reso ancora più evidenti alcune criticità già presenti nel mondo femminile, come la condivisione dei carichi di cura e la disponibilità degli strumenti digitali di accesso nelle attività a distanza.”* Così nel 2021 Teresa Armato e Francesca Maione, consigliere di amministrazione dell’Inail, riportavano in un comunicato stampa, in occasione dell’8 marzo, la situazione delle donne nel mondo del lavoro.
Quello che è successo con la pandemia causata dal Covid-19 è solo un acuirsi di quello che in Italia viviamo quotidianamente: “sebbene la Costituzione Italiana all’articolo 37 sostenga che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratori”, in Italia la condizione lavorativa delle donne vede ancora importanti differenze con quella degli uomini, il cosiddetto gender gap, con tassi di occupazione femminile più bassi e maggiori difficoltà negli avanzamenti di carriera, oltre che un gap salariale, cioè una differenza di stipendio tra uomini e donne, che in media nel nostro Paese raggiunge il 12%. In Italia, secondo l’Istat le donne tra i 15 e i 64 anni che a dicembre 2020 risultavano occupate sono il 48,6%, contro il 67,5% degli uomini, con una differenza di quasi 20 punti percentuali. Una condizione aggravata dalla pandemia, visto che il calo rispetto all’anno precedente è stato di 1,4 punti percentuali per le donne e di 0,4 punti per gli uomini. Secondo le statistiche Eurostat, l’Italia è uno dei paesi europei più penalizzanti per le donne. Il tasso di donne occupate (20-64 anni, in questo caso: 53,8%) è infatti il secondo più basso del continente prima della Grecia, e a una distanza abissale dalla Svezia, che col 79,7% è al primo posto nell’Unione Europea. Dati impressionanti, soprattutto se si considera che secondo una ricerca di Almalaurea sono proprio le donne a ottenere i risultati migliori negli studi. Sia perché arrivano prima alla laurea (26,2 anni per le avvocate contro i 26,6 degli avvocati o 26,9 delle biologhe contro i 28 dei biologi), ma anche perché ottengono voti più alti: 108 a 106,7 per le architette sugli architetti, 108,1 a 105,3 delle dentiste e 107,3 a 105,8 delle ingegnere edili e ambientali rispetto ai loro colleghi. Come dimostrano i dati l’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro è ancora molto lontana”, ci spiega la Dott.ssa Benedetta Faldi dell’Associazione di Promozione Sociale –Onlus Artemisia di Firenze.
Ma non è solo una questione di occupazione: le differenze di genere sul mondo del lavoro si presentano anche per quanto riguarda la salute. Elisabetta Cappelli, dottoressa dell’associazione Frida, attiva sul territorio del Valdarno Inferiore e dell’empolese Valdelsa conferma: “ci sono ancora molte malattie che colpiscono solo le donne ma che non sono ancora riconosciute o ritenute invalidanti quanto lo siano in realtà, prendiamo ad esempio l’endometriosi e la difficoltà che le donne incontrano nel ricevere la diagnosi di questa malattia, con percorsi che possono durare anni, in cui ricevono diagnosi e cure sbagliate che non funzionano”.
Dall’endometriosi alla vulvodinia, infatti, le donne non hanno ancora riconosciute alcune malattie invalidanti che influenzano e inficiano negativamente sul posto di lavoro. Una diversità che “pesa” ingiustamente insieme alla maternità, altro aspetto che tendenzialmente (generalizziamo, anche se ovviamente ci sono casi specifici in cui tutto questo non avviene) pone l’uomo e la donna nel mondo del lavoro su piani diversi. In Italia molte rinunciano alla carriera professionale (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva**): questa è una delle cause di discriminazione nel mondo del lavoro, cioè uno squilibrio nei carichi famigliari e la quasi impossibilità di trovare un giusto compromesso tra vita lavorativa e vita familiare.
Sul mondo del lavoro, poi, spesso si parla di violenze di genere e molestie: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che il 35% delle donne ha subito violenze sessuali o fisiche nel corso della loro vita, a casa, nelle loro comunità o sul posto di lavoro. Secondo uno studio dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali (FRA) del 2014, molte delle donne che hanno subito molestie sessuali sul lavoro non ne hanno parlato, solo il 4% lo ha denunciato alla polizia e solo il 4% ne ha parlato con un datore di lavoro o un manager.** Le molestie e la violenza sul lavoro sono un altro aspetto di differenza con l’uomo, che la donna può subire nel posto di lavoro: “con il termine Mobbing si intende “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori” (Ege 1997); la vittima di queste persecuzioni viene emarginata, calunniata, criticata, viene spostata da un ufficio all’altro, e spesso le vengono assegnati compiti dequalificanti. […] È un fenomeno che colpisce sia donne che uomini, non esiste una categoria più a rischio delle altre, tuttavia le donne sono frequentemente i soggetti più a rischio di Mobbing, detto di genere ovvero al rientro dalla maternità o a seguito di matrimonio o anche a seguito del rifiuto di avances. La marginalizzazione progressiva è certamente una delle ipotesi più segnalate agli sportelli sindacali e/o legali specializzati nonché ai competenti uffici (Direzione Provinciale del lavoro, Magistratura del lavoro, Consigliera di Parità): essa può avvenire tramite l’isolamento sistematico della lavoratrice, l’attribuzione di incarichi meno qualificati se non addirittura mortificanti, la esclusione da comunicazioni e riunioni interne, lo svilimento di proposte ed iniziative, l’assegnazione di postazioni di lavoro scomode o isolate, fino ad arrivare a condotte aggressive costituite da attacchi alla reputazione, ridicolizzazione pubblica, minacce di licenziamento. […] Purtroppo le conseguenze psicologiche del Mobbing sono significative sul piano psichico, fisico ed anche sociale. La persona vittima di Mobbing deve dunque rivolgersi a sportelli specializzati, chiedere un supporto psicologico e su un piano giuridico rivolgersi a professionisti del settore, quali Avvocati giuslavoristi o sindacati” conclude la Dott.ssa Faldi.
Oltre al Mobbing, poi, non è da sottovalutare l’aspetto delle donne che hanno subito violenza e che si reinseriscono, gradualmente, nel mondo del lavoro: non è un caso che associazioni come Artemisia e Frida (e come loro molte altre sul territorio nazionale) offrono attività di orientamento lavorativo, progetti specifici, come tirocini o corsi di formazione, ma anche attività per ricerca di lavoro autonomo.
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