L’attesa di un bambino può durare più di nove mesi. L’attesa di un bambino può avvenire anche senza pancione ed ecografie. L’attesa di un bambino può avere un iter completamente diverso da quello fisiologico della gravidanza. Ed essere, comunque, ugualmente emozionante. L’adozione è un parto “speciale”, è una forma alternativa di dolce attesa: un tema ancora oggi poco conosciuto su cui le informazioni sono poche e i luoghi comuni, invece, abbondano.
Quando una donna è incinta, la famiglia ha davanti a sé nove mesi per metabolizzare la novità e prepararsi all’arrivo di un bambino. Questo non avviene nella coppia che decide di adottare: i tempi sono indefiniti e l’iter non sempre così “calendarizzato” come nel corso di una gravidanza. Spesso poi molte coppie desistono dal desiderio di adottare perché non sanno nemmeno da dove partire. Qual è il primo passo? A chi rivolgersi? E poi, cosa succede? A queste, e ad altre domande, abbiamo dato noi una risposta.
Adozione nazionale o internazionale?
La coppia può dichiararsi disponibile all’adozione nazionale, ovvero quella volta all’accoglimento di un minore (di qualsiasi etnia) abbandonato in una struttura italiana, e a quella internazionale, in cui il bambino proviene da un Paese estero. In entrambi i casi, i requisiti e il percorso iniziale per adottare sono gli stessi (li vedremo nel dettaglio tra poco): ciò che cambia sono la procedura, i costi e la fase successiva all’adozione. L’adozione nazionale è praticamente gratuita (gli unici costi da sostenere sono quelli relativi alla documentazione da produrre) mentre quella internazionale prevede delle spese, talvolta onerose (oltre alla documentazione, la coppia dovrà rivolgersi ad un ente autorizzato e recarsi più volte nel Paese di origine del minore straniero). Per quanto riguarda le tempistiche, invece, nessuna differenza: in entrambi i casi, la coppia potrebbe attendere anche tre anni prima di veder concluso l’iter.
Requisiti per l’adozione: chi può adottare?
È l’articolo 6 della legge 184/83 che disciplina adozione e affidamento. Si legge: “L’adozione è permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o che raggiungano tale periodo sommando alla durata del matrimonio il periodo di convivenza prematrimoniale, e tra i quali non sussista separazione personale neppure di fatto e che siano idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendano adottare.” Oltre a questo, si aggiungono requisiti legati all’età: tra adottante e adottato deve esserci un’età minima di 18 anni e una massima di 45 anni per uno dei coniugi e di 55 per l’altro (si può prevedere una deroga se i coniugi adottano due o più fratelli o se hanno già un figlio – naturale o adottivo – minorenne).
Adozione: il primo passo
Il desiderio è forte, i requisiti oggettivi ci sono. Qual è il primo passo da compiere per la coppia che intende iniziare questo percorso di genitorialità? La strada dell’adozione si apre con la dichiarazione della propria disponibilità ad adottare presso il Tribunale per i Minorenni. La domanda si può depositare al Tribunale – o ai Tribunali – del distretto in cui si ha la residenza. In alcune Regioni, le coppie possono preventivamente rivolgersi ai Servizi Sociali del proprio Comune per iniziare un percorso di informazione e preparazione. Quali documenti allegare alla domanda di adozione?
- il certificato di nascita di ciascun coniuge e lo stato di famiglia;
- la dichiarazione dei redditi (o la busta paga);
- il certificato del casellario giudiziale;
- il certificato medico.
Cosa succede adesso?
Abbiamo detto che, tra i requisiti indispensabili per l’adozione, deve esserci l’idoneità della coppia ad educare, istruire e mantenere i minori che si intendono adottare. Spetterà quindi ai servizi degli enti sociali – incaricati dal Tribunale – il compito di effettuare, attraverso colloqui mirati, una serie di indagini per raccogliere le informazioni sulla storia personale, familiare e sociale degli aspiranti genitori, verificare la loro effettiva capacità di accogliere un figlio, la situazione reddituale e le rispettive condizioni di salute. I servizi degli enti sociali sono un team di lavoro formato da psicologi, sociologi ed assistenti sociali che hanno il compito, in questa fase iniziale, di fornire al giudice minorile – l’unico soggetto preposto alla valutazione – un quadro esaustivo dell’ambiente familiare e sociale della coppia nonché delle motivazioni alla basa del desiderio di adottare per decidere sull’indispensabile idoneità all’adozione.
I tempi di questa procedura, seppur sia disciplinati dalla legge (la n.184/1983), rappresentano spesso un’incognita. Legislativamente, i servizi sociali devono inviare la loro relazione al giudice minorile entro 4 mesi dalla dichiarazione di disponibilità, il quale ha i successivi due mesi per pronunciarsi. Tuttavia, soprattutto nei Tribunali delle grandi città, queste tempistiche possono dilatarsi fino ad arrivare a 12/24 mesi.
La ricerca dell’ente autorizzato
Lo step precedente si è concluso con il giudice minorile che ha rilasciato alla coppia il decreto per le adozioni internazionali. Ovvero, l’abilitazione a poter adottare un bambino. A questo punto, gli aspiranti genitori hanno un anno di tempo per individuare e scegliere un ente che li affianchi nel percorso all’adozione internazionale. Gli enti, infatti, sono gli unici soggetti autorizzati allo svolgimento delle procedure necessarie per realizzare l’adozione: hanno il compito di informare e formare la coppia nonché di assisterla davanti all’Autorità del Paese di origine del bambino e nel periodo di post-adozione.
Scegliere l’ente a cui conferire il mandato è una scelta difficile ma basilare: sostanzialmente, attraverso l’ente la coppia sceglie il Paese con il quale esso opera e, di conseguenza quindi, il Paese dal quale arriverà il loro bambino. È importante affidarsi ad un ente che collabori con più nazioni per scongiurare il rischio di affrontare un percorso eccessivamente lungo o interrotto da problematiche interne al Paese stesso (instabilità politica, chiusura delle frontiere, guerre in corso).
Instradamento e (finalmente) abbinamento
Dato mandato all’ente autorizzato, la coppia si troverà ad affrontare l’instradamento e il tanto sognato abbinamento. L’instradamento è sostanzialmente l’iter burocratico, seguito dall’ente stesso, durante il quale i genitori saranno informati sui documenti necessari per la preparazione del dossier da presentare alle Autorità straniere e sarà consegnata loro la modulistica necessaria. Una volta compilati e tradotti, l’ente provvederà ad inviare dossier e documenti al suo referente nel Paese di destinazione che, a sua volta, li trasmetterà alle Autorità locali. È da questo momento in poi che inizia la fase più delicata – e reale – di tutto il percorso. L’abbinamento è, di fatto, il primo incontro (virtuale, in questa fase) con il bambino. Nel dettaglio, cosa succede?
Ai genitori viene inviata la sua scheda informativa e sulla base di questa devono fare la scelta se incontrarlo o meno. Un momento psicologicamente molto delicato che, potenzialmente, potrebbe anche essere distante dalle aspettative che la coppia aveva. Se l’abbinamento è positivo, la procedura di adozione internazionale viene completata nel Paese straniero di origine. Diversamente, l’ente informa la Commissione per le adozioni internazionali in Italia con una relazione sui motivi per i quali l’abbinamento non ha avuto esito positivo. È un documento indispensabile per valutare se la coppia è idonea a continuare l’iter adottivo.
Tutti a casa
Rientrata in Italia, la nuova famiglia dovrà solo attendere che l’adozione diventi esecutiva. Nel frattempo, il bambino gode di tutti i diritti dei minori italiani in affidamento familiare preadottivo. Una volta trascritta l’adozione nei registri del Tribunale dei Minori, il bambino diventa definitivamente cittadino italiano.
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