Babywearing: quali vantaggi per i bambini e per i genitori?

Abbiamo condotto un sondaggio tra “portatrici” per scoprire segreti (e vantaggi) di una delle pratiche più diffuse tra le mamme - e i papà - negli ultimi anni.

Babywearing vantaggi

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    Se lo si traducesse letteralmente, suonerebbe più o meno così: “indossare il bambino”. Meno letteralmente, invece, babywearing è diventato “portare il bambino” proprio perché sta ad indicare quella pratica per cui gli adulti, avvolgendoli al proprio corpo, trasportano i più piccoli tramite dei supporti speciali.

    Un’immagine che evoca l’abitudine, semplice e antica, impiegata in tutto il mondo (in Africa, Asia, India e America del Sud), con cui le donne indossano il proprio bebè per accudirlo mentre svolgono altre attività necessarie alla sopravvivenza. Nei paesi industrializzati ha guadagnato popolarità negli ultimi anni grazie ad un diverso approccio alla genitorialità, più votato all’attaccamento e al contatto.

    Il babywearing ricrea per il neonato un ambiente simile a quello del grembo materno: abbracciato alla mamma ritrova il suo habitat naturale, percependone il calore, l’odore e i rumori a lui familiari (respiro, battito cardiaco…) e sperimentando così protezione e sicurezza.

    Una pratica di accudimento basata sul bisogno istintivo e ancestrale di contatto, la cui soddisfazione è estremamente importante per una sana ed equilibrata crescita del neonato.

    Per conoscere meglio il mondo del “portare” – dalla filosofia che lo guida alla scelta del supporto più adatto – abbiamo intervistato alcune mamme iscritte a “Babywearing Italia”, il gruppo Facebook ufficiale della Scuola Italiana di babywearing.

    Babywearing: filosofia o scelta di necessità?

    Il 71% delle intervistate indica nel babywearing una vera e propria filosofia di vita. Benché la storia ci insegni che la pratica del portare nasca da una necessità – fu il dottor Sears, pediatra statunitense, ad ottenere a metà degli anni ’80, il brevetto per l’invenzione della ring sling (uno dei supporti più diffuso del babywearing) prendendo spunto dall’intuizione della moglie di legare a sé il sesto genito con un lenzuolo per avere le mani libere e poter badare più agevolmente agli altri figli – nell’immaginario comune moderno, essa favorisce un’idea nuova di maternage, fondata sul contatto, quale prerogativa di benessere del neonato.

    Sostanzialmente, si ribalta il concetto – tutto occidentale – per cui l’indipendenza del bambino si raggiunga attraverso l’abitudine a lasciarlo solo (nel lettino a dormire, ad esempio), nel non prenderlo in braccio (“altrimenti prende il vizio”), nel non accorre ogni qualvolta pianga. Il babywearing si basa, invece, sull’idea che per formare bambini – e poi adulti – indipendenti è prima necessario renderli sicuri e non viceversa. 

    Il restante 29%, invece, individua nella pratica del babywearing essenzialmente una tecnica per ottimizzare il tempo mentre il bambino è in braccio e le mani sono libere per essere impiegate in altre faccende.

    La totalità delle intervistate, infine, si dichiara perfettamente d’accordo nel ritenere il “portare” importante per lo sviluppo psico-fisico del bambino. Anche se, sottolinea un’intervistata, è importante come altre forme di contatto e accudimento. Un bambino non portato, ma comunque accudito, preso in braccio, tenuto vicino, che ottiene risposta ai propri bisogni affettivi avrà ugualmente uno sviluppo psicofisico armonioso”.

    Babywearing: quali vantaggi?

    Contatto, praticità e benessere del piccolo: questi sono, per oltre l’80% delle intervistate, i benefici del babywearing. È (quasi) universalmente riconosciuto tra le portatrici, infatti, che la pratica permetta di assecondare nel migliore dei modi il fondamentale bisogno di vicinanza del bebè nonché di imparare velocemente a riconoscerne e soddisfarne i bisogni. Proprio grazie a quest’ultimo punto, poi, le mamme acquisiscono fiducia e consapevolezza nelle proprie capacità (lo ha dichiarato il 5%), trovando nel babywearing anche un alleato terapeutico contro le insidie della depressione post partum. Anche la parola “calore” è molto diffusa tra le portatrici (35%): l’abbraccio perpetuo, continuo, costante in cui le madri avvolgono il figlio è un fondamentale nutrimento emotivo del neonato. Va da sé, quindi, che il legame di attaccamento ne risulta rafforzato.

    Ovviamente, il babywearing piace anche per la sua componente di praticità: avere le mani libere, infatti, consente di poter svolgere numerose attività quotidiane in modo agevole (piccole faccende domestiche, fare la spesa, badare agli altri figli). Praticità è anche uscire di casa senza l’ingombro del passeggino o della carrozzina e senza doversi preoccupare della presenza di eventuali ostacoli.  

    Infine, un 5% di mamme portatrici, ha individuato nel babywearing un alleato nella cura del proprio corpo: prima di tutto, i supporti con cui si decide di portare il proprio bebè permettono di distribuire il peso in modo ottimale, affaticando di meno la schiena, le spalle e gli arti superiori rispetto al semplice portare un bambino in braccio; inoltre, aiutano nel fare esercizio fisico perché il bambino costituisce un carico extra che comporta maggior dispendio energetico.

    Consulenza sul portare? Sì, grazie!

    Al babywearing è possibile approcciarsi in due modi: in autonomia o con l’aiuto di un consulente dedicato che istruisce i neogenitori sui vantaggi della pratica cuore-a-cuore, sulle diverse legature delle fasce (frontale, di lato, di schiena), sulla reale ergonomia dei supporti. Ogni consulente lavora sul proprio territorio invitando i genitori ad incontri di formazione (individuali o di gruppo) – spesso realizzati in collaborazione con negozi specializzati – in modo da far sperimentare “dal vivo” quale sia il supporto più idoneo per il proprio percorso di babywearing. Ben l’83% delle portatrici intervistate ha dichiarato di essersi avvalsa dell’aiuto di un consulente.

    Fasce, marsupi & co.: l’universo dei supporti babywearing

    Ma cosa sono esattamente i supporti di cui tanto abbiamo scritto? Sono gli strumenti tramite i quali, fisicamente, portiamo i bebè. E qui, si apre un vero e proprio universo. Dall’intervista, nella quale abbiamo chiesto di indicare i tre supporti ergonomici più utilizzati, risulta subito che la fascia (in tutte le sue varianti non strutturate – lunga, corta ed elastica) sia, in assoluto, quello più diffuso (67%), seguita dal marsupio (54%) e dalla Ring Sling (41%). 

    In percentuale minori, sono stati indicati anche il Pouch Sling (8%) e il Mei Thai (4%). 

    Tra i supporti, invece, che le portatrici ancora non hanno mai “testato” ma che vorrebbero provare in un imminente futuro, la parte da leone la fa l’Onbuhimo, un marsupio ergonomico tipico del Giappone ideato per portare il tuo bambino sulla schiena da quando è in grado di stare seduto da solo (33%). Chi già non lo utilizza è altrettanto curioso di provare il Mei Tai (12,5%) tipologia di fascia che deve la sua fama alla comodità e alla semplicità d’utilizzo.

    Babywearing: cosa ne pensano i papà

    Dal sondaggio è emerso che il babywearing non è una pratica esclusiva delle mamme: ben il 63%, infatti, ha dichiarato che anche il papà è un portatore fiero e convinto. Tra coloro che, invece, hanno più difficoltà a far iniziare il compagno a questa pratica, è emerso che la “scusa” più frequente è l’imbarazzo di farsi vedere in pubblico con il supporto, frutto probabilmente degli stereotipi di genere per cui essere genitore è “roba da donne”. 

    Riassumendo…

    Il contatto con la mamma è un bisogno primario del neonato che favorisce il suo sviluppo emotivo e cognitivo. L’attaccamento madre-figlio è, quindi, prezioso per entrambe le parti. Il babywearing aiuta a sviluppare, in maniera totalmente naturale, questo legame.

    Fonti

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