Michela Murgia: una diversa narrazione di un tumore terminale

L’importanza delle parole per scardinare la narrazione combattiva legata al cancro

medico indica modellino di un rene

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    Il 6 maggio 2023 Michela Murgia ha dichiarato pubblicamente di essere affetta dal cancro al rene, una malattia che ogni anno provoca circa 3.700 morti solo in Italia.

    Nonostante la diagnosi infelice, la scrittrice italiana mostra un approccio insolito collegato alla narrazione dei tumori, che vale la pena di essere approfondito.

    Il tumore al rene

    Michela Murgia è una scrittrice, critica letteraria, opinionista e intellettuale italiana che – recentemente (inizio maggio) – ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, durante la quale dichiara ufficialmente di avere un tumore al rene al quarto stadio.

    Con l’immediatezza che la contraddistingue, la scrittrice afferma che “dal quarto stadio non si torna indietro” e che non è prevista alcuna operazione perché “non avrebbe senso. Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”. 

    Sulla base di queste dichiarazioni, l’esito sfavorevole appare chiaro. Nonostante ciò, Murgia dimostra un rapporto anomalo con la sua malattia, che appare in parte anche nel suo ultimo libro Tre ciotole, un romanzo composto da dodici storie che si intrecciano, i cui personaggi sono accomunati da situazioni critiche che cambiano radicalmente la loro vita. Tra le pagine del libro emerge la storia di un personaggio affetto da una malattia incurabile e, nel racconto, trapela l’accettazione serena di un evento che non si può spiegare, né controllare e che diventa parte integrante della complessità che ci rende umani.

    Il rapporto con la malattia e la non “battaglia”

    Come accennato, Murgia mostra un approccio inusuale alla malattia e affronta questo periodo della sua vita con serenità

    Grazie anche al sostegno del suo medico, Murgia ha raggiunto la piena consapevolezza del fatto che il tumore “non è una cosa che arriva da fuori, è un cambiamento che accade all’interno del nostro corpo: il cancro siamo noi”. Partendo da questa asserzione, appare ovvio che chi è malato di cancro segua la cura a base di farmaci specifici per stimolare la risposta del proprio sistema immunitario, e non per combattere la malattia stessa perché ciò vorrebbe dire in parte fare guerra contro il proprio corpo. Per Murgia, quindi, il cancro non è un nemico da combattere, è un complice della nostra complessità, un pezzo che fa parte del puzzle della vita di un essere umano.

    Proprio per questo Murgia sceglie una narrazione che si distacca dal registro bellico, troppo spesso utilizzata in questi casi, che descrive il malato terminale come un soldato obbligato a lottare contro il male. “Le parole sono importanti, ci si ammala anche di parole [..] io non voglio alzarmi la mattina sapendo che devo andare a combattere una guerra”, così Murgia spiega l’importanza della scelta lessicale nel racconto della sua malattia. “Come dice il mio medico la guerra presuppone un vincitore e un vinto, invece qui non c’è una vittoria o una sconfitta, è uno degli eventi della vita”.

    La fiducia reciproca con il medico

    È proprio anche grazie al medico che Murgia abbraccia una filosofia che riconosce il valore dei ricordi che la scrittrice ha raccolto durante la sua vita, anzi le sue dieci vite. Infatti, Michela Murgia ha svolto numerose attività diverse tra loro, come: operatrice in un call center, insegnante di religione, direttrice del reparto amministrativo di una centrale termoelettrica e ancora portiera notturna in un hotel. Queste esperienze le hanno permesso di incontrare persone meravigliose e collezionare ricordi preziosi, lei stessa dichiara: “ Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo fortunata“.

    Oltre alla stessa visione, Michela Murgia e il suo medico condividono anche il concetto di fiducia: la scrittrice ha sempre avuto fiducia nei confronti dello specialista e, d’altra parte, il medico le ha fornito tutti gli strumenti per comprendere la sua malattia e gli scenari futuri. Murgia ha al suo fianco una figura professionale che rispetta completamente le sue volontà e per questo lei ha  la libertà di scegliere la cura che preferisce, la tipologia e le dosi dei farmaci.

    In un momento di evidente difficoltà, Murgia sceglie di condividere una prospettiva diversa che privilegia la qualità del tempo che le rimane, continuando a condurre la propria vita sociale, circondata dai suoi affetti

    Il sistema sanitario nazionale

    Con la sua testimonianza, Michela Murgia fornisce moltissimi spunti che permettono di riflettere sul ruolo delle malattie terminali nel nostro Paese.

    Oltre a ciò, la scrittrice italiana sottolinea l’importanza del sistema sanitario nazionale italiano nella fase di terapia e cura dei tumori. I prezzi dei farmaci sono alle stelle e non potrebbero essere sostenuti da nessun individuo, se non grazie al supporto dello Stato. Per sensibilizzare questa tematica, Murgia ha preso l’abitudine di fotografare il prezzo delle medicine che assume e postarlo sul suo profilo Instagram, così che sia evidente l’importanza dell’aiuto economico statale.

    Fonti

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