Una malattia rara le ha segnato il volto e la vita ma lei dice “sono fiera di me stessa”

Sibela, 23 anni, è affetta da EEC, una sindrome rara che crea anomalie soprattutto al viso, ma affronta la vita col sorriso senza rinunciare a niente

Guardare al futuro con fiducia anche quando si è affetti da una malattia rara

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    Siamo in Bosnia, a Živinice, è il 1996, la guerra è terminata da poco lasciando dietro di sé tutti gli strascichi terribili e inevitabili di ogni conflitto: ferite nell’anima, nelle persone, nelle città. Una piccola luce, però, la porta Sibela, una bambina che trova la forza di nascere a fine anno in un Paese dilaniato, dove le strutture ospedaliere sono fatiscenti e l’assistenza minima. Il tempo di affacciarsi alla vita, che questa già si fa sentire con tutte le sue contraddizioni: la sua mamma, stringendola tra le braccia, subito capisce che qualcosa non va.

    Una prima diagnosi dei medici locali parla di idrocefalo, ma i sintomi sono in realtà molti di più e gli ospedali sopravvissuti alla guerra non sono in grado di approfondire il problema con cui è nata la bambina. Con il coraggio che solo i genitori possono avere, la famiglia si organizza in tutta fretta e sale su una nave, proprio come si fa ancora oggi, alla ricerca di un percorso migliore di quello che il destino sembra riservare. Destinazione: Italia.

    Siamo stati accolti a Vermiglio”, mi racconta Sibela, “un paese del Trentino popolato da poco più di mille abitanti, pochi, sì, ma dal gran cuore, perché fin da subito si sono dati un gran daffare per aiutarci”. Grazie a una famiglia del posto, infatti, viene organizzata una raccolta fondi in vista delle prime visite mediche ed eventuali interventi chirurgici.

    La diagnosi arriva presto: Sibela è affetta dalla sindrome EEC, una malattia genetica rara che comporta molteplici malformazioni, come labio-palatoschisi, displasia ectodermica ed ectrodattilia, manifestazioni che generano principalmente problemi al naso, alla bocca e alle mani, ma anche alla pelle, ai capelli e agli occhi, con non poche conseguenze sull’aspetto della persona malata, in particolar modo del volto.

    La storia di Sibela

    “L’impatto visivo c’è, è inevitabile”, dice Sibela in riferimento ai segni della sindrome, “ma il disagio di chi mi incontra aumenta quando apro bocca, questo è l’aspetto peggiore della patologia: il nostro modo di parlare. In questa malattia non sono previsti problemi cognitivi, mentre questo è ciò che viene percepito sempre, perché i problemi al palato ci fanno parlare con una voce nasale. Quando incontriamo una persona che non ci conosce possono accadere due cose: alcuni lì per lì si straniscono, ma poi provano ad avvicinarsi, altri, invece, appena sentono un suono diverso è come se si tappassero le orecchie per non voler sentire e in questo caso per noi diventa ancora più difficile parlare bene”. Quando racconta sensazioni legate alla sua sindrome, Sibela usa sempre il plurale, il “noi” per distinguerlo dal “voi”, quelli normali, a detta sua, però ha chiara una cosa e la dice a gran voce: “io sono una persona, al di là dei miei problemi. E per fortuna nel tempo l’ho capito sempre di più”.

    Le chiedo allora della sua infanzia, di com’è stato convivere con una malattia che non si può nascondere. “Io sono stata fortunata, perché sono cresciuta in un paese piccolo dove tutti si conoscono, ma soprattutto sono stata fortunata per il carattere con cui sono venuta su. Ci sono stati episodi spiacevoli: bambini che mi hanno chiamata mostro, maiale, che mi imitavano scimmiottando il suono della mia voce, ma non mi sento di essere stata vittima di bullismo. Altri che hanno la mia sindrome lo sono stati, anche per il carattere più debole, ma questo non significa che se uno ha una personalità meno forte gli si possa fare di tutto”.

    Crescere con la EEC non è facile, fin da piccoli si tentano interventi chirurgici per migliorare le condizioni. “Oggi ci sono ottimi percorsi costruiti ad hoc”, mi spiega Sibela, “le persone con questa patologia vengono seguite fin dalla nascita, ma per chi è nato negli anni ’80 e ’90 non è stato così, siamo stati sbattuti qua e là e alcuni sono rimasti con problemi permanenti. Da piccola spesso dovevo andare in ospedale e assentarmi da scuola, ma insegnanti e compagni mi sono sempre stati vicini. Mai ho avuto meno compiti o interrogazioni più facili per questo, così come i miei amici, se sbagliavo, smettevano di parlarmi come fanno tutti gli amici, senza compassione”. Come le persone normali, è questo l’aggettivo che torna di frequente nella conversazione con Sibela.

    “Noi ragioniamo basandoci sul fatto che daremo qualsiasi cosa per essere normali, ci fissiamo su delle piccolezze, magari della faccia; siamo consapevoli che non ne avremo mai una normale, ma questo rimane comunque quello che cerchiamo costantemente per tutta la vita”. A proposito, mi parla del suo recente intervento di chirurgia estetica: “aspettavo da tanto di rifarmi il naso, ora sto un po’ meglio. Anche se quando mi guardo allo specchio continuo a piacermi dal collo in giù, adesso ho più consapevolezza di me, dal punto di vista della femminilità, della sensualità e anche della sessualità”.

    La invito a trovare qualche parola da dire a chi ha la sua stessa malattia. “Se volete fare una cosa che vi cambierà la vita, fatela, anche se questo significa andare contro i propri genitori, perché loro non vivono direttamente quello che viviamo noi: mettetevi sempre al primo posto”. Ammette, però, che non è facile, che soffrire è normale, ma che per farcela è necessario accettarsi, per quanto difficile sia. “Il trucco è capire che non si può cambiare e poi impegnarsi a essere se stessi, perché ognuno di noi ha delle qualità, malattia o meno, e bisogna puntare su quelle qualità per farsi apprezzare, solo così si lascia il segno”.

    Sibela affetta da unan rara malattia oggi sorride

    Sibela ha una consapevolezza delle proprie emozioni disarmante, sembra aver chiaro tutto ciò che vive e come questo la fa sentire, ma questa coscienza di sé è qualcosa che ha acquisito nel tempo, esperienza dopo esperienza. Mi faccio dire tre importanti successi della sua vita, quei successi che non pensava potesse avere con la sua malattia, ma che l’hanno sorpresa.

    “Sicuramente andare a vivere da sola rientra tra questi”, mi confessa, “sono partita dal Trentino senza timori, ma quando sono arrivata in Toscana per l’università è stato difficile ambientarmi, partire da zero, fare cose solo mie. Qui non avevo nessuno, poi mi sono costruita la mia vita e adesso, quando viene qualcuno a trovarmi, posso presentargli persone che ho conosciuto qui e dire proprio ‘ti presento un mio amico’. Un altro successo? Quando ho affrontato il mio primo stage, a 17 anni. Il mio viso era messo peggio di così, mi avevano messo a lavorare in una reception di un hotel e io ero la prima persona che i clienti vedevano entrando, sentivo una grossa responsabilità per la struttura, ma piano piano ho notato che le persone si affidavano a me e anche i proprietari mi trattavano per quella che ero. Da lì mi sono messa in gioco sempre, ancora oggi prima di fare qualcosa mi dico ‘chissà cosa penseranno’, però poi la faccio comunque”. Anche approcciarsi all’altro sesso è per Sibela una meritevole conquista, per una che, come dice lei, è sempre stata il brutto anatroccolo alle scuole superiori. Per sentirsi meno impacciata incontrava persone su internet, dove aveva tutto il tempo di farsi conoscere prima di farsi vedere. Più tardi ha scoperto di essere molto più attraente di quanto credesse. “Noi vediamo voi come persone con mille opportunità, mille occasioni”, continua a parlare con il plurale per includere chi ha la sua stessa malattia, “io, però, mi sono resa conto che tanti hanno zero problemi e hanno vissuto la metà della vita che ho vissuto io, quindi posso dire di essere fiera di me stessa”.

    Quando infine le chiedo se ha un consiglio da dare a chiunque si trovi ad affrontare una difficoltà mi rivela il suo segreto: “ti dico cosa dico sempre a me stessa: resisti, perché passerà… tutto passa. Quando dicono che non può piovere sempre è vero, ho imparato che bisogna portare pazienza. Quando vedi storto, trova delle alternative: chiacchiera con chi ti fa sorridere, ascolta musica, cerca diversivi. Il tempo sembra dilatarsi quando si sta male, ma passa”.

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