Parto naturale: cosa c’è da sapere?

Le fasi, i tempi, i segnali che il corpo manda: ecco come non farsi trovare impreparate all’appuntamento più importante della vita

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    Nove mesi ad immaginare questo momento, nove mesi di paura e curiosità al pensiero, nove mesi di richieste di informazioni e testimonianze, nove mesi di attesa e poi eccolo, arriva lui: il parto.

    Se non è già stato programmato un cesareo per motivi medici, la mamma si sta preparando ad incontrare il proprio bambino con il cosiddetto parto naturale, in cui l’unica grande certezza che ha è che l’emozione del momento (difficilmente spiegabile) è accompagnata da dolore (altrettanto difficilmente spiegabile): un dolore, comunque, definito “buono” perché fisiologico e non legato ad alcuna patologia. Per il resto, però, regna una grande confusione: contrazioni, dilatazioni, spingi, respira.

    Ecco allora una guida completa al parto naturale: tutto quello che una partoriente dovrebbe (e vorrebbe) sapere per affrontare al meglio l’appuntamento più importante della vita.

    Cos’è il parto naturale?

    Il parto “naturale” è il parto spontaneo, quello cioè che avviene per via vaginale senza interventi medici. In caso di induzione tramite ossitocina (utilizzata per stimolare le contrazioni) si parla invece di parto (vaginale) operativo.

    Nel gergo comune, più in generale, si usa l’aggettivo “naturale” per differenziare il parto che avviene senza il ricorso ad un intervento chirurgico per permettere la nascita del bambino (il parto cesareo o addominale).

    Il parto naturale, a sua volta, in base al decorso, può essere definito eutocico quando non presenta problematiche o distocico se, al contrario, presenta complicanze ma non così gravi da dover ricorrere al cesareo.

    La differenza tra ostetrica e ginecologo

    Due sono le figure professionali con cui la partoriente può avere a che fare durante le fasi del parto. L’ostetrica è il professionista che assiste la partoriente nelle varie fasi del travaglio prima, e del parto poi. La sostiene fisicamente e psicologicamente, la segue passo passo e porta a termine, in autonomia decisionale, i parti naturali fisiologici. Ha, inoltre, le competenze mediche per individuare situazioni a rischio durante il parto che richiedono il pronto intervento del medico specialista (il ginecologo) o di altri operatori sanitari. Fuori dalla sala parto, l’ostetrica presta assistenza, supporto e consulenza nei primi istanti di vita del piccolo, durante l’allattamento, fino allo svezzamento.

    Il ginecologo, invece, è il medico che si occupa del parto se questo passa dallo stato fisiologico a quello patologico. È il professionista che pratica il taglio cesareo in caso di necessità e che imposta terapie mediche se si verificano complicanze.

    Le quattro fasi del parto naturale

    Il parto si compone di quattro parti ben precise.


    1. Fase Prodromica

    Questa è la cosiddetta fase di preparazione di cui la partoriente potrebbe addirittura non accorgersene perché non dà sempre segnali nitidi. Anche la sua durata è variabile: può durare qualche ora o, addirittura, qualche giorno. Nella maggior parte dei casi, però, si manifesta con contrazioni preparatorie, irregolari, più o meno intense ma sopportabili (simili al dolore mestruale, per intendersi). Può accompagnarsi con altri segnali, come ad esempio la perdita del tappo mucoso (sostanza gelatinosa che “ostruisce” il collo uterino), qualche episodio di dissenteria e spossatezza. In linea generale, in questa fase la partoriente è ancora a casa e non deve farsi prendere né dalla fretta di correre all’ospedale né dal panico: è solo il collo dell’utero che sta lavorando per appiattirsi e accorciarsi.  


    1. Fase Dilatante

    Si entra nel vivo del parto. La differenza più evidente dalla fase precedente è che le contrazioni diventano più dolorose e regolari: se si verificano ogni cinque minuti e durano dai 40 ai 60 secondi, la partoriente è entrata ufficialmente in travaglio. È a questo punto che deve recarsi in ospedale.

    Se il travaglio è fisiologico, la futura mamma potrà affrontarlo nella propria stanza e fare tutto ciò che le consente di alleviare il dolore e favorire la dilatazione. Camminare, cambiare posizione, fare una doccia calda, ascoltare la musica sono le attività più comuni per cercare di distrarsi. Può anche prendere cibi zuccherati (biscotti o cioccolato, ad esempio) e bevande per recuperare un po’ di energia. Anche in questa fase c’è incertezza sulla durata: seppur tendenzialmente, al primo parto, il lasso di tempo tra il travaglio e la fase espulsiva non dovrebbe superare le 18 ore, ci sono fattori che influiscono su questi dati (le caratteristiche materne – fisiche e psicologiche – o quelle fetali – le dimensioni, ad esempio).

    È in questa fase che la partoriente può richiedere l’epidurale, ovvero il più comune tipo di anestesia utilizzata per alleviare il dolore durante il travaglio (seppur sia il medico anestesista ad avere l’ultima parola sul suo effettivo impiego).

    Ma cosa sta succedendo al corpo della mamma? Il collo dell’utero si sta dilatando (per essere completa, la dilatazione deve raggiungere i 10 cm) e la testa del bambino comincia a scendere lungo il canale del parto.

    È adesso, infine, che potrebbe avvenire anche la famosa rottura delle acque (termine improprio per designare la rottura delle membrane) con cui si annuncia che il parto è vicino e che altro non è che la fuoriuscita, del tutto fisiologica, del liquido dal sacco amniotico in cui è immerso il bambino. Qualora capiti che le acque si rompano prima della partenza delle contrazioni, la partoriente deve andare in ospedale.


    1. Fase espulsiva

    Come anticipato dal nome, è la fase della nascita vera e propria e coincide con il tempo che il bambino impiega a percorrere il canale del parto per uscire. Può essere preceduta da una fase “cuscinetto” – chiamata di latenza: una pausa fisiologica molto importante, una tregua dalle contrazioni, prima dello sprint finale. Che si annuncia con i cosiddetti premiti, ovvero la sensazione impellente di spingere. Per quanto dovrà spingere la mamma? La durata, nuovamente, è variabile: orientativamente dalle 2 fino ad un massimo di 3 ore.


    1. La fase del secondamento

    Il bambino è finalmente nato e, miracolosamente, i dolori delle contrazioni spariscono all’istante, lasciando spazio solo alla gioia più pura. Tuttavia, il parto non è ancora completamente concluso. Oltre al taglio del cordone ombelicale (clampaggio), mancano l’espulsione della placenta (secondamento) e l’eventuale sutura vaginale. Il secondamento avviene dopo 15-20 minuti dall’uscita del bambino e può essere indotto dall’ostetrica con lievi pressioni addominali (qualora l’espulsione non avvenisse in maniera fisiologica entro l’ora, sarà necessario intervenire chirurgicamente con anestesia). Durante lo svolgimento di queste ultime pratiche, la mamma avrà già sul petto il suo bambino.

    Per concludere

    Non ci sono consigli generali da dare né regole da seguire: ciascuna mamma asseconderà i segnali che il corpo le manderà nella maniera più spontanea e naturale possibile. Tuttavia, la consapevolezza di ciò che avviene in quei momenti indescrivibili è sicuramente d’aiuto: per questo, può essere consigliabile affidarsi ad un’ostetrica già durante la gravidanza e/o frequentare un corso preparto: conoscere le varie fasi del parto, capire cosa succederà al proprio corpo e condividere timori con altre mamme (e coinvolgere anche il partner) è un modo per “esorcizzare” la paura più bella del mondo. 

    Fonti

     

    Wikipedia

     

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