Esiste una predisposizione genetica al Covid-19?

Il DNA regola praticamente tutti gli aspetti della nostra vita biologia e non solo: alcuni studi suggeriscono infatti, che la sequenza genetica di alcuni geni sia coinvolta nella manifestazione clinica del Covid-19

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    Numerosi studi di gruppi di ricerca internazionali stanno portando alla luce evidenze sempre più forti che alla base delle forme più gravi di Covid-19 vi sia una predisposizione genetica: le risposte immunitarie, come tutti i processi biologici, sono governate da geni, che a causa delle leggi dell’evoluzione possono essere caratterizzati da cambiamenti nella loro sequenza da una persona all’altra, per questo motivo due individui diversi potrebbero avere risposte immunitarie differenti, anche abbastanza da provocare due quadri clinici opposti.
    Vediamo un po’ più nel dettaglio l’argomento.

    La risposta immunitaria ai virus: come funziona

    Il nostro sistema immunitario è composto da una rete di cellule e molecole che “dialogano” tra loro al fine di sconfiggere intrusioni da parte di organismi patogeni.
    In generale possiamo dire che le difese immunitarie sono organizzate in due reparti distinti:

    • immunità aspecifica o innata: quella composta dalla maggior parte delle cellule che comunemente chiamiamo “globuli bianchi” che intervengono subito appena il microrganismo penetra le nostre barriere difensive; alcune cellule specializzate, i fagociti, sconfiggono il patogeno inglobandolo dentro il loro corpo per distruggerlo.
      Durante questa fase, le cellule dell’immunità producono una serie di sostanze chimiche, le citochine, che funzionano come messaggeri chimici, richiamando altre cellule immunitarie in luogo, aumentando il flusso sanguigno e innalzando la temperatura del corpo: questo insieme di eventi va sotto il nome di infiammazione.
      I globuli bianchi che entrano in gioco durante la reazione innata dell’immunità riconoscono componenti standard dei patogeni, come il suo DNA, grazie all’esposizione di recettori proteici.
    • immunità specifica o acquisita; in questa fase della risposta immune una particolare classe di cellule immunitarie, i linfociti, iniziano a produrre gli anticorpi diretti contro gli antigeni esposti sulla superficie del virus o del batterio, per neutralizzarlo.
      La facoltà di generare le molecole anticorpali, perdura anche nel periodo successivo alla risoluzione dell’infezione, permettendo all’organismo un’immunità nei confronti del patogeno.
      La componente acquisita della risposta immunitaria si conserva per un periodo prolungato di tempo, grazie a un fenomeno conosciuto come “memoria immunologica”, sulla quale si basa il funzionamento dei vaccini.

    All’interno della vasta gamma di molecole prodotte dai globuli bianchi durante la risposta immunitaria, troviamo una particolare classe di molecole tipiche della difesa contro i virus: gli Interferoni.
    Gli interferoni sono proteine che riescono a interagire con dei recettori sulla membrana delle cellule: quando si legano al recettore, innescano una risposta biologica a valle che determina la produzione all’interno della cellula di fattori che impediscono la replicazione del virus, o addirittura di enzimi che distruggono le componenti virali, ponendo un freno notevole al dilagare del patogeno da una cellula all’altra.
    Come tutte le altre proteine del nostro corpo, anche gli interferoni sono prodotti a partire dalla lettura del DNA, e mutazioni private di un singolo individuo possono portare a una diminuzione della produzione di interferoni.

    La predisposizione al Covid

    Un gruppo di ricerca internazionale ha condotto uno studio su un campione di 987 pazienti affetti da forme gravi di Covid-19 nei quali ha notato la presenza di anticorpi anti-interferone, caratteristica assente nel campione di confronto, costituito da 663 individui con manifestazioni non gravi o asintomatiche di Covid-19: questo significa che c’è una notevole correlazione, almeno in una parte del campione, tra manifestazione grave dei sintomi e presenza di auto-anticorpi anti-interferone, ossia molecole anticorpali che attaccano gli interferoni, mettendoli fuori uso.
    Gli anticorpi sono prodotti dai linfociti: all’interno di ogni linfocita avviene un riarrangiamento genetico che permette la produzione di un anticorpo specifico contro una molecola; in questo caso una linea di linfociti ha sviluppato la ricombinazione genetica che permette di generare anticorpi diretti contro gli interferoni.
    La neutralizzazione degli interferoni, impedisce al sistema immune di mettere in campo la sua arma più efficace contro i virus, permettendo a quest’ultimo di moltiplicarsi senza ostacoli e innescare una pericolosa infezione polmonare.

    Mutazioni genetiche nei geni dell’immunità

    Un secondo gruppo di ricerca ha preso in considerazione l’incidenza delle mutazioni genetiche a livello dei geni che codificano per le molecole dell’immunità.
    Nella fattispecie, è stato studiato il DNA dei geni che portano le informazioni per queste due classi di molecole:

    • I recettori dei globuli bianchi che riconoscono il patogeno
    • Le molecole che promuovono la produzione di interferoni

    I ricercatori hanno scoperto che nel 3,5 % dei pazienti esaminati con forma grave di Covid-19 (pazienti in terapia intensiva), sono presenti mutazioni che annullano la funzionalità di queste molecole, cioè gli impediscono di funzionare correttamente.
    La mancanza di recettori anti-patogeno con la giusta struttura non permette al sistema immunitario di rispondere correttamente alle prime fasi dell’infezione, mentre la mancata funzionalità delle molecole che promuovono la produzione degli interferoni determina una mancata sintesi degli interferoni stessi, sottraendo al sistema immune una potente strategia contro il dilagare del virus da una cellula all’altra.

    Il DNA e la predisposizione al Covid

    Un ulteriore studio è stato condotto sulla genetica delle molecole MHC, ossia i complessi proteici usati dai globuli bianchi per innescare la produzione di anticorpi.
    Quando il patogeno viene inglobato dalle cellule dell’immunità innata per essere distrutto, alcune parti di esso vengono lavorate dentro la cellula e, attraverso dei complicatissimi sistemi molecolari, vengono esposte su questi recettori MHC a livello della membrana cellulare: questo super complesso MHC-antigene viene riconosciuto dal linfocita come segnale per iniziare a produrre anticorpi per fronteggiare il patogeno.
    Come nell’esempio precedente anche le molecole MHC sono codificate da geni e possono risentire della presenza di mutazioni; un gruppo di ricercatori, prevalentemente russi, ha evidenziato come il DNA contenuto nei geni MHC possa essere correlato con la gravità della forma di Covid-19: una diversa sequenza di DNA può portare a una diversa struttura molecolare dei recettori MHC, che diventano diversi e non funzionanti, impedendogli di innescare la produzione di anticorpi.
    La potenzialità di questo studio risiede nell’aver evidenziato come i meccanismi molecolari tra antigeni e cellule dell’immunità siano fondamentali per capire l’andamento della pandemia: mutazioni del virus a livello di molecole che interagiscono con questi recettori MHC potrebbero portare a evoluzioni in varianti capaci di evitare l’immunità acquisita dai pazienti, anche quella evocata dai vaccini, per questo motivo è importante avere chiare queste dinamiche, in modo da implementare lo sviluppo di piani vaccinali basati su tecnologie che possano proteggere anche da nuove mutazioni e permetterci di salvaguardare l’immunità di gregge che speriamo di essere prossimi a raggiungere.

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