Chi è in dolce attesa – o chi lo è stato – avrà sentito, almeno una volta, questa raccomandazione: “stai lontana dai gatti”. È infatti consuetudine associare al felino domestico uno dei principali rischi della gravidanza, ovvero la Toxoplasmosi, tra le malattie infettive più diffuse al mondo (soprattutto in quelle aree caratterizzate da scarse condizioni igieniche e alimentari).
Ma è proprio vero che stato interessante e gatti non vanno d’accordo? Partiamo con lo spoilerare la risposta: no, non è vero. O meglio. Non è certo superstizione o leggenda metropolitana: è vero che la malattia e l’animale hanno una stretta connessione – e vedremo quale – ma è un’esagerazione ritenere pericoloso per la salute della gestante (e del nascituro) tenere un gatto in casa.
A meno che non si sia disposti a un minimo di prudenza e buon senso. Perché? Lo spieghiamo in questo articolo.
Toxoplasmosi: cos’è?
Secondo la definizione dell’Istituto Superiore della Sanità, la toxoplasmosi “è una zoonosi causata dal Toxoplasma gondii, un microrganismo che compie il suo ciclo vitale, estremamente complesso e diverso a seconda dell’ospite, solo all’interno delle cellule”. In termini più semplici, la Toxoplasmosi è una malattia infettiva degli animali (mammiferi, uccelli, rettili e molluschi) trasmissibile all’uomo attraverso:
- ingerimento diretto del toxoplasma;
- contatto diretto con le feci dell’animale infetto
È soltanto nei felini che il parassita riesce a completare il suo ciclo vitale, ovvero il gatto è l’unico animale in cui si riproduce, raggiungendo una forma potenzialmente dannosa. I felini, infatti, producono notevoli quantità di oocisti – uova particolarmente resistenti che fungono da agenti infettivi – emesse nell’ambiente esterno attraverso le feci.
Per dare una misura della diffusione di questa malattia, in Italia ogni anno nascono in media 350 neonati che manifestano sintomi medio gravi di infezione congenita da Toxoplasma gondii. In Europa, invece, circa 3000.
I sintomi della malattia
La Toxoplasmosi nelle persone adulte è una malattia lieve. Nella sua versione cosiddetta primaria, è prevalentemente asintomatica, tant’è che le maggior parte delle persone infettate non sa di esserlo.
In altri casi, invece, si può manifestare con sintomi simili a quelli tipici influenzali:
- stanchezza;
- febbre;
- dolore alle articolazioni;
- ingrossamento dei linfonodi, di fegato e milza;
- mal di testa e mal di gola
In genere, comunque, non ci accorgiamo di averla contratta e conferisce una immunità permanente: ovvero, chi entra in contatto con il Toxoplasma gondii sviluppa una risposta immunitaria che lo protegge da successivi contatti.
Per soggetti che presentano un sistema immunitario indebolito e in donne in gravidanza contrarre la Toxoplasmosi può comportare, invece, conseguenze più serie (si parlerà, in questo caso, di Toxoplasmosi primaria grave).
Toxoplasmosi e gravidanza: quali rischi?
Contrarre la Toxoplasmosi in gravidanza potrebbe essere particolarmente pericoloso perché esiste un’alta possibilità che il parassita, attraverso la placenta, infetti il feto provocando un aborto spontaneo, malformazioni e gravi lesioni cerebrali nel bambino o, addirittura, la morte in utero.
Secondo quanto riporta il sito dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, nel primo trimestre di gestazione, la probabilità di infezione fetale si attesta al 17% (pertanto molto bassa) ma i danni potrebbero essere assai rilevanti considerando che è in quest’epoca che gli organi del feto si formano. Al contrario, si legge ancora, nell’ultimo periodo della gravidanza si innalza la probabilità di trasmissione del parassita (dal 65 al 90%) ma l’entità dei danni al bambino è trascurabile.
Nell’eventualità di infezione da Toxoplasma, questa si cura con antibiotici che consentono al neonato di nascere senza problemi con la quasi totale delle probabilità.
L’importanza della prevenzione
Come per ogni altra malattia, molto di quanto possiamo fare per proteggere il bambino dipende dalla precocità della diagnosi.
Per questo, prima di tutto, è importante eseguire un test di screening, se non prima del concepimento, almeno all’inizio della gestazione e ripeterlo, in caso di doppia negatività, una volta al mese per tutta la durata della gravidanza (il toxo-test – semplice prelievo di sangue – è a carico del Servizio Sanitario Nazionale). Se il primo test risultasse positivo per IgG specifiche ma non per IgM significherebbe che sussiste una situazione di immunità (tradotto, il soggetto ha già avuto la toxoplasmosi e sarà impossibile contrarla una seconda volta). Se invece IgG e IgM specifiche risultassero negative, vorrebbe allora dire che la gestante può contrarre l’infezione.
Ma cosa fare, in concreto, per evitare di ammalarsi? Bastano pochi accorgimenti:
- Evitare tassativamente di mangiare (e manipolare) carne cruda, salumi o insaccati poco stagionati (meno di 30 giorni e soprattutto se prodotti a livello familiare) e lavare accuratamente frutta e verdura prima di mangiarla;
- Lavare bene mani, utensili e superfici della cucina entrati in contatto con la carne cruda;
- Evitare di assaggiare la carne durante la preparazione;
- Indossare sempre i guanti se ci dedica al giardinaggio (poiché la terra potrebbe essere contaminata da feci animali) e lavare bene le mani prima di toccarsi bocca o occhi.
Toxoplasmosi, gravidanza e gatti
Seppur il gatto sia un “contenitore naturale” di Toxoplasma gondii, ha un ruolo marginale nella trasmissione diretta della malattia. È il consumo di carne poco cotta – e non la convivenza con il gatto – la principale fonte di infezione. Allontanare il gatto, pertanto, è una misura non necessaria. Ci sono, però, accorgimenti da seguire con un animale in casa:
- Se possibile, non farlo uscire;
- Nutrirlo con cibi secchi o ben cotti;
- Non pulire personalmente la lettiera o, se non si può delegare, non farlo senza utilizzare guanti usa e getta;
- Pulire e igienizzare la lettiera quotidianamente;
- Evitare di toccare gatti randagi e di accogliere nuovi gatti proprio durante la gravidanza.
Toxoplasmosi e allattamento
Da sapere: una donna che abbia contratto la Toxoplasmosi subito dopo la nascita del neonato o che risulti ancora positiva all’infezione presa in gravidanza, può tranquillamente allattare poiché il parassita non viene trasmesso attraverso il latte materno.
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