Aspettavamo la fine del 2020 per poterci scordare quei giorni a cavallo tra febbraio e marzo in cui, notizia dopo notizia, il Covid-19 iniziò subdolamente a modificare la realtà che fino ad allora davamo per ovvia, ma il 2021 inaspettatamente si è aperto con la notizia del nuovo ceppo brasiliano del Sars Cov2, la cui narrazione ci ricorda un qualcosa di già vissuto. Vediamo di approfondire un po’ l’argomento.
Virus ed evoluzione
Come tutte le entità biologiche, anche i virus evolvono e lo fanno accumulando mutazioni all’interno del proprio genoma. Le mutazioni sono errori che compaiono nella struttura del DNA, capaci di generare delle modifiche in vari contesti relativi alla vita dell’organismo; queste modifiche possono essere vantaggiose o svantaggiose: se sono vantaggiose e portano a un miglioramento nel rapporto dell’organismo nei confronti dell’ambiente che lo circonda, allora vengono selezionate e trasmesse alla generazione successiva che potrà beneficiare di questa sorta di upgrade biologico.
Il fenomeno della comparsa e selezione delle mutazioni favorevoli, se ripetuto per miriadi di generazioni, porta a quel fenomeno chiamato “evoluzione”, lo stesso che da scimmie seminude ci ha resi costruttori di plastica e microcircuiti.
Esattamente come nel nostro caso, anche un virus muta e si modifica per un solo motivo: migliorarsi, aumentare le sue chances di sopravvivenza all’interno del contesto naturale in cui si trova.
Certe volte all’interno di una stessa specie virale abbiamo gruppi di virus che a causa del processo evolutivo a cui sono sottoposti, hanno acquisito set di mutazioni diverse; quando questi raggruppamenti di microrganismi sono riconoscibili gli uni dagli altri proprio a partire dalle diverse modifiche genetiche, allora vengono identificati come “ceppi” o “varianti”: la variante ha sviluppato un numero di mutazioni più basso rispetto a un ceppo, quest’ultimo infatti, ha caratteristiche genetiche tipiche che gli permettono molto spesso di modificare anche il suo rapporto con il sistema immunitario.
Le varianti del Sars Cov 2
All’interno della specie virale “Sars-Cov-2”, il virus che causa il Covid-19, possono essere riconosciute delle varianti con caratteristiche genetiche leggermente diverse dalla specie di partenza; queste variazioni genetiche potrebbero sfociare in differenze relative all’infettività del microorganismo, rendendolo più virulento o più bravo a diffondersi; per questo motivo è molto importante sorvegliare la nascita di ceppi diversi dalla linea principale poiché potrebbero essere più pericolosi, specialmente se siamo all’interno di una pandemia.
All’interno della variabilità genetica del Sars-Cov2 sono state trovate principalmente 5 linee di varianti:
- Lineage B.1.1.7: conosciuta come “Variante Britannica” caratterizzata da un rafforzamento del legame tra la proteina Spike e il recettore ACE umano, che gli permetterebbe di aumentare le sue capacità di infettare le cellule polmonari oltre che la possibilità di sfuggire ad anticorpi.
- Lineage B.1.1.207: sequenziata per la prima volta in Nigeria nell’Agosto 2020; ha una mutazione a comune con il ceppo britannico e sebbene possa incrementare la sua diffusione non va oltre l’1% dei casi nigeriani.
- Cluster 5: Variante capace di usare come serbatoio gli animali appartenenti alla Famiglia dei Mustelidi (nella fattispecie i Visoni)
- 501.V2 variant: Variante Sudafricana, incapace, secondo i dati epidemiologici di aumentare la contagiosità del virus
- Lineage P.1: chiamata dalla stampa “Variante Brasiliana”, caratterizzata da un gruppo di 17 mutazioni, 10 delle quali a livello della proteina Spike che, vista la sua rapida diffusione all’interno delle regioni amazzoniche, potrebbero determinare un’aumentata capacità di contagio
- Lineage B.1.429: ceppo virale individuato in California.
La variante brasiliana: Lineage P.1
L’avventura della variante brasiliana del Sars-Cov2 inizia il 6 gennaio a Tokyo, dove quattro cittadini giapponesi appena rientrati da un viaggio in Amazzonia risultano positivi a un ceppo alternativo di Covid-19.
Grazie ai dati forniti dai colleghi giapponesi, i ricercatori di un centro di ricerca anglo-brasiliano riuscirono subito a effettuare un primo tracciamento della variante scoperta in Giappone, scoprendo che il 45% dei casi di Covid-19 registrati a Manaus (principale città dell’Amazzonia, nel Brasile centro settentrionale) da Dicembre 2020 fossero ascrivibili a questo ceppo, mentre nei campioni compresi tra il Marzo e Novembre 2020 non se ne individuava nessuna traccia; in un intervallo di tempo di poco più che un mese, la nuova variante è riuscita a imporsi sul totale delle infezioni con un’incidenza di quasi un caso su due; questo prova un’impressionante capacità di diffusione di questo virus.
La nuova variante è stata battezzata “Lineage P1”.
Lo studio delle varianti virali è di fatto uno studio genetico; quello che si fa è andare a comparare le mutazioni che si trovano nella variante specifica, con quelle che abbiamo alla stessa posizione genica in altri ceppi immediatamente correlati: se la differenza è significativamente alta allora quel virus preso in considerazione viene ascritto a una nuova variante. La variante brasiliana rispetto ai ceppi più prossimi ha sviluppato una ventina di mutazioni delle quali quelle che destano più preoccupazioni sono quelle caratteristiche della proteina Spike: le mutazioni E484K e N501Y.
Entrambi questi cambiamenti genetici coinvolgono una porzione specifica della proteina Spike, chiamata RBD “Receptor Binding Domain”, ossia quel gruppo di aminoacidi che prende intimamente contatto con la proteina ACE2 esposta sulle nostre cellule polmonari, il profilo molecolare che permette al virus di oltrepassare la membrana cellulare e irrompere al suo interno.
Nella fattispecie la mutazione N501Y è stata associata con una più elevata capacità di aderire alla cellula polmonare e quindi aumentare la contagiosità del nuovo ceppo rispetto alla linea originale.
È molto interessante notare come il “parente più prossimo” del virus brasiliano sia la variante Britannica con la quale condivide un set specifico di mutazioni, tra cui la N501Y: gli scienziati si sentono abbastanza sicuri sull’affermare che le mutazioni a comune tra queste due linee virali siano in realtà originarie da eventi evolutivi diversi, e che le due linee, pur essendo simili, non siano esattamente l’una la discendente dell’altra, ma il risultato di un fenomeno che in biologia si chiama “evoluzione convergente”.
Sembra che entrambi tipi virali siano stati selezionati da andamenti epidemici simili, caratterizzati da rapidi aumenti del numero dei casi.
I futuri passi da muovere nei confronti della variante brasiliana riguardano la necessità di analizzare una quantità sempre maggiore di campioni in modo da avere dati relativi alla diffusione del virus nella popolazione.
Un ulteriore approfondimento dovrà essere fatto nei confronti di quello che potrebbe essere il pericolo maggiore derivante dalla nascita di nuove varianti, ossia la comparsa di resistenza a vaccini: questo pericolo potrebbe palesarsi se le mutazioni riguardanti la proteina Spike avessero la facoltà di modificare profondamente la struttura tridimensionale della proteina inficiando il riconoscimento da parte degli anticorpi generati dalla vaccinazione; è proprio su quest’ultimo aspetto, quello relativo all’efficacia dei vaccini attualmente in uso contro la variante brasiliana che si concentra
Lascia il tuo commento