Parkinson: svelato meccanismo alla base delle difficoltà motorie

Un gruppo di ricerca toscano ha guidato, insieme a colleghi tedeschi, una ricerca che ha dato alla luce nuove importanti conoscenze riguardanti il morbo di Parkinson.

Le ultime ricerche sul morbo di parkinson

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    Purtroppo la complessità di alcune patologie appare essere oltre i limiti delle possibilità del genere umano, e il morbo di Parkinson sembra appartenere proprio a questa schiera di nemici invincibili, ma a volte le vittorie si conquistano a piccole battaglie e in questi giorni un nuovo piccolo, ma importante passo verso la comprensione di questa malattia sembra essere stato compiuto.
    C’è anche l’Italia, più precisamente la Toscana, in questa recente scoperta: la Scuola Superiore Sant’Anna, insieme all’ospedale universitario di Wurzburg ha evidenziato come la mancanza di uno specifico neurotrasmettitore potrebbe essere la causa primaria di perdita delle facoltà motorie nei soggetti affetti da Parkinson. Analizziamo nel dettaglio l’argomento.

    Cos’è il morbo di Parkinson

    Il morbo di Parkinson è una malattia del sistema nervoso caratterizzata da una graduale degenerazione della funzionalità del sistema nervoso, soprattutto nella sua componente motoria, i sintomi principali infatti riguardano una diminuzione della capacità motoria del soggetto con:

    • rigidità
    • lentezza dei movimenti
    • difficoltà a camminare
    • tremori

    A cui possono aggiungersi sintomi di carattere cognitivo come

    • apatia
    • depressione
    • ansia

    Le cause dei sintomi a livello del sistema motorio sono correlate a una morte cellulare dei neuroni della sostanza nigra del mesencefalo, una porzione del cervello: il decesso delle cellule in questa zona dell’encefalo porta a un deficit delle segnalazioni di dopamina, un importante neurotrasmettitore, la cui liberazione nei pazienti affetti da Parkinson diminuisce drasticamente.  La dopamina è anche coinvolta nella patogenesi delle sindromi depressive.

    Purtroppo le origini precise delle cause di questa patologia sono in parte sconosciute, tuttavia è noto che nelle cellule nervose dei soggetti affetti da questo morbo si inneschi un difetto nel ripiegamento tridimensionale delle proteine, che vanno a formare dei conglomerati proteici altamente disturbanti nella struttura molecolare interna delle cellule nervose, che appunto possono rispondere con una morte programmata.
    La medicina e la ricerca biomedica fanno passi da gigante, ma alcune scoperte ancora non sono state ahimè ancora raggiunte; è il caso proprio del Parkinson che ancora è orfano di  un trattamento efficace: ad oggi non esistono cure che siano in grado di revertire completamente il quadri clinico ma solo dei farmaci che riescono ad alleviare i sintomi e permettere di contrastare gli effetti della patologia.
    Il farmaco più utili in questo senso sono:

    • Levodopa: è una molecola con una struttura chimica assai simile a un precursore della dopamina; quando arriva nel cervello viene convertita in dopamina in modo da coprire la mancanza di questo neurotrasmettitore e aiutare il paziente ad alleviare i sintomi
    • Inibitori delle MAO: le MAO sono enzimi che metabolizzano la Dopamina; un loro blocco aumenta la quantità netta di dopamina disponibile.

    La scoperta

    Una prima intuizione dei ricercatori è stata quella di sottoporre i pazienti in studio ad alcuni test di locomozione abbastanza innovativi nella ricerca contro il Parkinson. 

    Solitamente per raccogliere dati sulle capacità di coordinazione si chiedeva ai pazienti di eseguire movimenti poco articolati come la rotazione del polso o la mobilitazione delle dita; il gruppo di ricerca italo-tedesco invece ha provato a studiare le dinamiche parkinsoniane prendendo in considerazione movimenti più dinamici come afferrare un oggetto che si trova di fronte al paziente: questo tipo di locomozione va a evocare la conduzione di impulsi nervosi all’interno dei gangli della base.
    Grazie a questa intuizione gli scienziati sono riusciti a individuare l’informazione neurale che codifica per questo tipo di movimento e quindi risulta difettosa nei pazienti affetti da Parkinson.
    I dati provenienti da questo lavoro mettono in evidenza come il nucleo di tutta la patogenesi del morbo di Parkinson sia un’area del cervello chiamata “gangli della base” che sono coinvolti nella coordinazione dei movimenti, ossia ci permettono di armonizzare la nostra locomozione in modo fluido e dinamico: i pazienti che soffrono di Parkinson si muovono con molta difficoltà e comunque con movimenti rigidi e scattosi a causa della depressione della segnalazione da parte di un particolare messaggero chimico chiamato “dopamina”.
    I messaggeri chimici, o neurotrasmettitori, sono delle sostanze chimiche la cui liberazione tra un neurone e l’altro permette la progressione dell’impulso neuroelettrico: di fatto la liberazione del neurotrasmettitore è come se portasse con sè una sorta di informazione neurale che poi viene trasferita alla cellula nervosa a valle proprio come un testimone in una staffetta.
    Nei gangli della base dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson, questo ricircolo di dopamina tra un neurone e l’altro è largamente depresso e di conseguenza è come se la funzione neurologica di questa zona cerebrale risulta ampiamente ridotta, determinando una rigidità totale dei meccanismi di locomozione.
    L’importanza di queste evidenze scientifiche non solo è fondamentale per l’ampliamento delle conoscenze generali sulla malattia di Parkinson e sul funzionamento del sistema nervoso centrale, ma anche per implementare un’abbastanza efficace terapia non farmacologica contro questa grave patologia, ossia la Stimolazione Cerebrale Profonda, o DBS (Deep Brain Stimulation). La DBS è una pratica medica abbastanza invasiva, ma molto efficace, che consiste nell’inserire degli elettrodi in sede intracranica, in modo permanente; come se fossero dei pacemaker neuronali, questi dispositivi invia impulsi elettrici nel subtalamo dell’encefalo determinando un miglioramento delle segnalazioni neuroelettriche che portano beneficio al paziente: la nuova scoperta del team italo-tedesco può portare a un’implementazione degli algoritmi di programmazione di questi elettrodi, prendendo in considerazione le nuove evidenze riguardanti la segnalazione di dopamina a livello dei gangli della base e quindi migliorare l’efficacia della terapia.
    Le parole dei ricercatori che hanno condotto il progetto sono abbastanza confortanti: l’obiettivo è quello di usare queste nuove conoscenze al fine di fornire terapie personalizzate nei confronti dei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson, e, secondo loro, è un traguardo abbastanza raggiungibile.

    Fonti

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