Il tema del bullismo e del cyberbullismo ci sta molto a cuore. Sulle pagine virtuali di A Good Magazine hanno trovato spazio l’intervista ad Andrea Bilotto, Presidente dell’Associazione italiana Cyberbullismo e Sexting e un’inchiesta più ampia sul tema a partire dalla prima legge europea che tutela le vittime.
Proprio a partire da quest’ultima (Legge 71/17 ‘Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo’) abbiamo deciso di intervistare chi questa legge l’ha fortemente voluta, al punto da esserne promotrice e prima firmataria. Stiamo parlando di Elena Ferrara, Senatrice della Repubblica Italiana, che si è resa disponibile per condividere con noi il suo punto di vista partendo dalla storia tragica di Carolina Picchio, per chiudere con quella altrettanto drammatica di Jasmine, morta lo scorso 9 febbraio, forse in seguito a una “sfida social”.
Vorrei partire dalle origini di questa legge che è nata sulla scia del caso tragico di Carolina Picchio. Le va di raccontarci la storia di Carolina dalla sua prospettiva?
Si. Carolina Picchio si è tolta la vita otto anni fa, il 5 gennaio del 2013. Era stata mia alunna alle medie, ma nel passaggio alle superiori si era trasferita nel capoluogo di provincia, a Novara, e quindi era qualche tempo che non la frequentavo più. Tutto era iniziato durante una festa di suoi coetanei, quando alcuni ragazzi avevano girato con il cellulare un video di Carolina che si trovava in bagno priva di coscienza. Questo video, in cui si simulavano degli atti sessuali nei suoi confronti, venne pubblicato e in breve tempo Carolina fu ricoperta di insulti molto pesanti. Nonostante fosse una ragazza forte, una giovane donna con molte frecce al suo arco, probabilmente in quel momento ebbe uno shock emotivo. A seguito della pubblicazione del video Carolina si tolse la vita gettandosi dal balcone della propria abitazione, lasciando una lettera nella quale si rivolgeva direttamente ai bulli e si complimentava con loro per le loro azioni, per il loro “ottimo lavoro”, per essere riusciti “farcela”.
Nonostante il momento tragico Carolina ebbe la lucidità di lasciare la sua testimonianza, che poi si sarebbe rivelata preziosa per indirizzare le indagini. Scrisse anche i nomi di quelli che lei riteneva avessero contribuito a organizzare questo atto sconsiderato, di pubblico ludibrio, legato al video. Questo ha innescato un processo nel quale i ragazzi si sono dichiarati responsabili di una serie di capi di imputazione ma allo stesso tempo hanno chiesto la messa alla prova (sospensione del procedimento che però prevede lo svolgimento di un programma di trattamento con attività obbligatorie che vanno dall’esecuzione di lavori di pubblica utilità fino al risarcimento del danno cagionato. Ndr), ottenendo nel 2019 il perdono giudiziario.
Questo episodio mi ha spinto a lavorare ad una proposta normativa a tutela delle vittime di bullismo e cyberbullismo in ottica di prevenzione che poi è diventata legge.
Che è stato un percorso, come ha lei stesso dichiarato in passato, non semplicissimo.
No, non è stato semplicissimo. Era un argomento nuovo, il Parlamento non lo aveva mai affrontato. Questa è una legge di diritto mite che guarda alla dignità del minore e inserisce degli strumenti di tutela nel mondo digitale, un ambito piuttosto nuovo. C’erano altre proposte di legge che avevano un approccio diverso, più sanzionatorio, mentre la mia norma non entra nel merito del penale. Per quest’ultimo aspetto, non lo dico io ma gli operatori di giustizia, ci sono già tutte le fattispecie di reato utili nell’online per poter stigmatizzare, condannare anche delle condotte inappropriate e/o criminose. Per questo motivo ho lavorato più sulla parte della prevenzione, ipotizzando una scuola che attiva una specifica programmazione e attività di gestione delle segnalazioni in funzione di questo problema che è molto più subdolo rispetto al bullismo tradizionale che in qualche modo l’insegnante riesce ad intercettare.
Qui si tratta davvero di prevenire e accendere delle luci, alzare le antenne, su certi fenomeni. Fenomeni che sono sulla rete per cui un insegnante riesce magari solo a vedere i sintomi di un ragazzo che perde fiducia in se stesso, che non riesce a studiare, che non riesce a dormire la notte. A fronte di questi segnali è opportuno interrogarsi, tra le altre cose, anche sulla sua vita online, cosa che non era nella cultura fino a qualche anno fa e ancora adesso non sempre viene preso in considerazione. Quindi, anche rispetto alla vita familiare, la scuola ha un compito importante che può esercitare anche invitando a fare una didattica partecipativa e online, che veda i ragazzi come soluzione del problema della prevaricazione fra pari. Una scuola che si adatta, sia con le procedure, i progetti, le attività , le verifiche, i monitoraggi, la formazione per gli insegnanti, un referente per ogni istituto, sia con gli strumenti che sono stati messi a disposizione attraverso le linee guida ministeriali, i numeri verdi e la rete con tutte le istituzioni che possono coadiuvare la scuola ad affrontare il fenomeno. Si tratta infatti di sostenere le vittime e prendersi carico dei bulli, ma anche di agire sul gruppo-classe e sul contesto in cui si è sviluppata la prevaricazione.
Il fenomeno del cyberbullismo si consuma però anche fuori dalle mure scolastiche. Come si può fare dunque?
Sappiamo che la maggior parte degli episodi di sopraffazione avviene tra studenti frequentanti la medesima scuola, ma non possiamo escludere che non accade in altri contesti aggregativi. È quindi necessario creare un sistema più ampio, che riguarda la comunità , un’alleanza che coinvolga tutte le agenzie educative. Quando una vittima effettivamente ha bisogno di essere presa in carico, curata, così come un bullo, la scuola deve poter avere intorno dei servizi territoriali in grado di interagire, così come deve poter contare sulle forze dell’ordine, le istituzioni, gli enti locali, che possano affrontare un fenomeno niente affatto minimizzabile e peraltro molto complesso. Quando gli episodi sono ricorrenti e di una certa gravità la scuola deve potersi rivolgere a operatori di servizi esterni socio-sanitari, di giustizia minorile, ecc. per una presa in carico anche di cura in grado di coinvolgere i ragazzi e anche le famiglie che spesso sono inconsapevoli, forse anche più dei figli.
La legge nasce per tutelare un pubblico di minori, di ragazzi comunque che vanno a scuola e non la fascia adulta. Questa scelta deriva dal fatto che la norma nasce sulla spinta del caso di Carolina Picchio, che era una coetanea di chi è intercettato da questa legge, oppure c’era una difficoltà a crearne una per tutelare chi è più grande? Mi viene in mente il caso di Tiziana Cantone, ad esempio, per quanto riguarda il cyberbullismo, un fenomeno che certamente non coinvolge soltanto i ragazzi…
Effettivamente la legge nasce dalla storia di Carolina, dalla storia di un’adolescente, dal fatto che stiamo parlando di minori che hanno diritto a tutele rafforzate sulla rete, che hanno diritto ad essere alfabetizzati anche dal punto di vista della capacità di emotivo-relazionarsi, non solo dal punto di vista tecnologico. Per quanto riguarda la questione adulti, il caso della Cantone, ad esempio, ha portato il legislatore ad individuare una fattispecie specifica che è il reato di revenge porn, un fenomeno in questo momento molto impattante anche sui minori spesso da parte di adulti. Diciamo che il revenge porn è una delle condotte afferibili al cyberbullismo. Quando si parla di bullismo secondo la letteratura, però, si parla di fenomeni di prevaricazione fra pari, fra minori o comunque persone che vivono la fase di crescita psicologica in cui l’affermazione della propria identità passa spesso e purtroppo anche dal fatto che si utilizzino delle relazioni di carattere distorto o violento.
Come mai?
È antropologico nelle dinamiche degli adolescenti che si coalizzi un gruppo, nei casi peggiori un branco, a cui è funzionale una o più vittime e per quanto noi cercheremo di fare sempre di più sul piano dell’educazione affettiva, dell’empatia, ci sarà sempre (ho insegnato decenni nella scuola media) il momento in cui questo fenomeno potrà ripresentarsi. Fa parte del percorso di autoaffermazione, della ricerca della propria identità , della proiezione/rifiuto delle proprie fragilità su altri per farne un bersaglio: queste dinamiche vanno messe in conto e la prevenzione deve essere a 360 gradi. Poi, naturalmente, noi dobbiamo pensare che questi ragazzi stanno subendo una fase di gap tecnologico.
In che modo?
Ne sanno più loro dei loro genitori in termini tecnologici, ma nessuno spiega loro come ci si comporta sulla rete dove le cose sono molto veloci, mediatizzate, intermediate da schermi, possono facilmente indurre all’errore. Considerando che sbagliano anche gli adulti e tanto, diciamo che anche loro hanno il diritto di sbagliare. Proprio l’abbassamento di filtri morali e la polarizzazione tra posizioni, che intrappola anche gli adulti, producono l’offesa, l’aggressione piuttosto che il dialogo e la mediazione.
È questo un altro motivo per cui la legge si concentra sugli adolescenti?
Si e in particolare su questa generazione che ha bisogno di essere protetta, tutelata, diventando partecipe di una crescita digitale che possa metterli nella condizione di usare la rete meglio di quanto la stiamo usando noi. Ma evidentemente lavorando con gli studenti non dimentichiamo le famiglie. Noi adulti, che abbiamo prodotto questa tecnologia, abbiamo un dovere, una responsabilità , nei confronti dei ragazzi. Questa è una grande sfida educativa, un’opportunità per tutti di umanizzare la rete. Se portiamo questa educazione digitale nella scuola, nelle famiglie e tra i più giovani questi ultimi la trasmettono ai loro nonni. È probabile che sia un po’ questa la chiave di volta: un ribaltamento dove tutti si sentano coinvolti, I ragazzi insegnano le procedure tecnologiche e gli adulti il valore del rispetto delle regole, delle relazioni e della legalità . Poi c’è un problema di carattere giuridico legato al diritto all’oblio. Se lo applico nei confronti di un minore non devo pormi i problemi di bilanciamento con il diritto all’informazione. Le tutele rafforzate in rete aiutano in tal senso. Il discorso è diverso per quanto riguarda gli adulti. Per capirsi, oscurare un contenuto dalla rete è un’operazione che ha più probabilità di successo nei confronti di un minore, piuttosto che nei confronti di un maggiorenne.
Quanto questa legge, dal suo osservatorio, è efficace e quali risultati sta dando?
La legge non è stata ancora del tutto applicata, perché c’è tutta una parte che riguarda la scuola, di cui le ho parlato finora, che richiede i suoi tempi ma di zone di luce se ne sono viste tante. Ci sono progettualità che sono nate, Uffici scolastici regionali che hanno attivato o hanno ripreso le attività degli osservatori che erano stati introdotti nel 2007 da una importante direttiva del Ministro Fioroni. Si è provveduto alla formazione dei docenti referenti per il cyberbullismo che sono presenti in ogni istituto scolastico. Di contro c’è che la legge prevedeva la creazione di un tavolo permanente interministeriale che doveva produrre un piano nazionale integrato che doveva, a sua volta, dar vita a un codice di coregolamentazione con le aziende digitali che non è stato fatto. A tutto ciò doveva seguire la nomina di un Comitato di monitoraggio proprio incentrato sulla esigibilità del diritto alla rimozione dei contenuti lesivi da parte del minore. Nulla per ora è stato portato a compimento.
Questo purtroppo non ci mette nella condizione di fare una verifica e una valutazione dei risultati attesi, però possiamo dire che è servito molto avere degli strumenti che permettessero interventi concreti. Si sono attuati interventi di rimozioni di contenuti offensivi anche per interessamento del Garante della Privacy come prevede la norma. Sono anche state attivate procedure di ammonimento del Questore, un atto preventivo di tipo amministrativo volto a responsabilizzare un minore rispetto a delle condotte disdicevoli, un “cartellino giallo” in presenza di un genitore ed un richiamo forte alle responsabilità personali. Quindi non so fornire dei dati precisi, però posso dirle che è stato fatto tanto sul territorio nazionale: il fenomeno è molto più percepito e contrastato.
Dobbiamo costruire, un po’ alla volta, una cultura e quindi bisogna lavorarci, a maggior ragione in questa terribile emergenza sanitaria. Difficile poter quindi tirare le somme: dobbiamo però pretendere che la norma sia attuata in tutte le sue misure. Purtroppo invece il Parlamento ha approvato in prima lettura alla Camera una proposta di legge con un approccio più sanzionatorio nei confronti dei minori. Come ho già detto ritengo non sia la strada giusta e mi stupisco che si voglia modificare una norma approvata nemmeno 4 anni fa all’unanimità. La domanda che ci dobbiamo fare tutti è come affrontare questo nuovo modo di sviluppare la nostra identità online, le nostre abitudini digitali, costruire la nostra nuova cittadinanza digitale in modo più consapevole e più solidale. Umanizzare la rete, come dicevo prima, deve essere un obiettivo di tutti e non è con una legge sanzionatoria nei confronti dei ragazzi che ci possiamo lavare la coscienza.
Quali sono altri cambiamenti importanti portati da questa Legge?
Le scuole, in risposta alla legge e alle Linee di orientamento previste dalla stessa, hanno attivato strategie, peer educator, sportelli, sensibilizzazioni e formazione anche del personale ATA per avere le segnalazioni che possano permettere di intervenire in modo adeguato. Le segnalazioni sono cresciute anche se non sempre i ragazzi sono adeguatamente informati sulla legge e sulle misure contenute. La norma deve essere ancora conosciuta da studenti e famiglie per poter fare la differenza. Per questo da tanti anni sto facendo formazione e testimonianza nelle scuole con tutte le componenti. È importante che la legge ci sia ed è importante che tutti la conoscano, anche i genitori. Stiamo un po’ risalendo la china da questo punto di vista. Ho riscontrato che i ragazzi mediamente sono maggiormente informati sulle principali misure di tutela e soprattutto sono attenti al fenomeno del cyberbullismo, però fanno ancora fatica a segnalare, fanno fatica a pensare che non ci siano ritorsioni nel momento in cui segnalano, utilizzano troppo poco le policy, i dispositivi di allarme pur presenti nelle varie piattaforme social, dimostrano ancora troppa diffidenza nel rivolgersi ad un adulto di riferimento.
Tenga presente, inoltre, che rispetto al bullismo tradizionale la metà dei ragazzi che si dichiara vittima di cyberbullismo, si dichiara anche autore di condotte di cyberbullismo. Vittime e responsabili alla fine sono da considerarsi altrettanto bisognosi del nostro aiuto. Le vittime non si devono sentire sole nella loro sofferenza e i responsabili devono sapere che condotte disdicevoli saranno affrontate seriamente senza criminalizzare, ma con fermezza. In questo senso le scuole si stanno attrezzando, modificando i regolamenti di istituto anche rispetto alle attività riparative e le sanzioni sia nei confronti dei bulli sia nei confronti di chi, spettatore, ha sostenuto anche solo con un like. Va scardinato questa sorta di girone infernale dell’offesa e dell’umiliazione per guadagnare notorietà. Un tema che non possiamo eludere, ma dobbiamo assumerci da adulti responsabili. Purtroppo invece siamo a nostra volta spesso protagonisti di gogne mediatiche in cambio di like. Non possiamo pensare che i ragazzi possano costruire una cultura della solidarietà in rete senza essere noi per primi a imprimere un cambiamento, contrastando nei fatti e nella quotidianità il linguaggio d’odio in rete. Nella società del narcisismo e della spersonalizzazione dell’altro anche la cura psicoterapica deve essere attivata nei casi di necessità. È quindi necessario creare una rete molto importante e sinergica fra i vari servizi e istituzioni.
La pandemia di Covid-19 immagino abbia inciso sul fenomeno del cyberbullismo. Come e quanto si è evoluto con la didattica a distanza?
Il Covid-19 ci ha indotto a un’accelerazione importante nell’uso delle tecnologie. Sicuramente oggi, per via del distanziamento sociale, le relazioni fra pari sono in gran parte online. Per fortuna si stava già lavorando su questi temi, perché credo che sarebbe stato ancora più pervasivo il fenomeno in mancanza di cultura, di alfabetizzazione.
Per concludere. Il 9 febbraio scorso si è consumata un’altra tragedia che lega adolescenti e mondo virtuale. La dodicenne Jasmine a Vittoria, provincia di Ragusa, è morta probabilmente in seguito a una “sfida social”, altra piaga di questo periodo.
Sono ancora in corso le indagini e non trovo opportuno rilasciare delle dichiarazioni. Posso però esprimere un commento generale riferendomi alle parole della madre. A 12 anni non si può essere essere registrati su alcuna app, su alcun social network. Tantomeno a 10 o 9. Quello che può succedere è qualcosa che addolora profondamente tutta la comunità , si tratta di tragedie che lasciano sgomenti. Il lucido appello della madre coglie il punto rispetto alla necessità di stare vicini ai propri figli. L’accompagnamento all’utilizzo della tecnologia presuppone come prima cosa la conoscenza e il rispetto delle regole. È importante comprendere che per confrontarsi con le piazze virtuali bisogna essere dotati di opportune competenze critiche e maturità personale. Per questo prima dei 13 anni non si può essere registrato ad un social network. Per avere maggiore consapevolezza dei rischi e opportunità è inoltre necessario provvedere ad un’educazione alla cittadinanza digitale appannaggio in primis delle due agenzie educative: la famiglia e la scuola. Così si possono prevenire i comportamenti a rischio. In poche parole i bambini non devono essere lasciati soli!
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